A lungo l'economia politica della decrescita e della post-crescita è stata discussa unicamente in ambienti accademici. Ora invece sempre più istituzioni stanno discutendo la possibilità di introdurre nella pratica modelli di sviluppo circolare che prescindano dall’obiettivo della crescita.
Basti considerare che dal 15 al 17 maggio si è tenuta al Parlamento Europeo la conferenza "Beyond Growth", con l'obiettivo di discutere modelli politici e percorsi per una prosperità europea sostenibile, in sostituzione alle politiche attuali che si fondano, come garanzia di prosperità, sulla crescita economica. Sicuramente la retorica che ha permeato la conferenza non prevale ancora nei processi decisionali pubblici, ma le ripercussioni di un'iniziativa simile possono essere molto positive, data anche la rilevanza delle personalità intervenute.
Perché c'è bisogno di un cambiamento?
Oggi, nelle economie di mercato, imprese, industrie e nazioni perseguono l'obiettivo di aumentare la produzione anno dopo anno, indipendentemente da una valutazione autonoma delle necessità sociali. Allo stesso modo, le principali istituzioni pubbliche si pongono come obbiettivo quello di una crescita economica continua, da cui così finiscono per dipendere. Questa dinamica implica un persistente aumento dello sfruttamento di risorse, che è poi alla base del cambiamento climatico e del dissesto ecologico a cui stiamo assistendo.
Un’evidenza semplice e immediata è fornita dai National Footprint and Biocapacity Accounts (NFBA). Essi mostrano come la data in cui ogni anno le attività umane esauriscono le risorse mondiali rinnovabili dalla Terra (nel corso di 365 giorni) sia passata da fine dicembre a metà luglio in “soli” 50 anni. L'attività economica è già ben oltre lo "spazio operativo sicuro" del pianeta Terra, da cui la specie umana stessa dipende per la sua sopravvivenza.

Per valutare l'impatto delle attività umane sugli ecosistemi, si ricorre sempre più spesso allo studio condotto nel 2015 dagli scienziati dello Stockholm Resilience Centre "Confini planetari: guidare lo sviluppo umano su un pianeta che cambia” 1Il titolo originale è "Planetary boundaries: Guiding human development on a changing planet".. Il concetto di confini planetari delinea nove diversi limiti ambientali per l’impatto delle attività umane che, se superati, potrebbero destabilizzare il sistema terrestre e dunque minacciare lo sviluppo stesso della società umana. Secondo la versione dell'aprile 2022, l'essere umano ha oltrepassato lo spazio verde "sicuro" in sei dei nove confini e sta per oltrepassare un altro confine, ovvero l'acidificazione degli oceani.

L’attuale regime di crescita, inoltre, presenta contraddizioni interne che devono essere considerate con urgenza. Con la convinzione di aumentare la prosperità, si sta infatti aumentando il rischio di esacerbare le disuguaglianze sia all'interno dei Paesi che a livello globale, sfruttando gli strati più fragili della società e i Paesi più poveri (un fenomeno noto come neocolonialismo). Un'altra questione rilevante è il livello sempre più elevato di stress mentale, soprattutto nelle fasce più vulnerabili della popolazione. Il funzionamento ormai consolidato dello Stato sociale si basa sulla produzione e sul consumo di massa per aumentare il benessere. Tuttavia, un regime di questo tipo, in cui la crescita della produzione finisce per essere il principale obiettivo, è socialmente sfruttante e conflittuale, poiché, anche se fortemente regolamentato, contiene le radici della sua stessa insostenibilità.
Le misure contano
Gli indicatori macroeconomici più comunemente utilizzati oggi sono stati introdotti dopo la Seconda Guerra Mondiale e sono stati concepiti come metro per la performance economica e per rilanciare in modo efficace le economie distrutte dalla guerra. Adesso, però, la situazione è molto diversa. Gli indicatori sono il primo modo in cui siamo allenati a pensare agli obiettivi sociali: incarnano, infatti, come concettualizziamo i problemi pubblici e come immaginiamo le soluzioni. Riflettono la nostra realtà così come la istituiscono.
Il segno più evidente del fatto che il principale obiettivo economico oggi è l'aumento della produzione è il modo in cui tipicamente viene misurato il benessere nazionale, ossia attraverso il Prodotto interno lordo. Il Pil, però, non distingue tra ciò che è sicuro e ciò che è dannoso in termini di costi sociali ed ecologici. Inoltre siamo abituati a pensare, in maniera troppo semplicistica, che maggiore è il Pil migliore sarà la situazione per la società. Questa osservazione, però, non tiene conto dei limiti ambientali e alimenta l'idea che una crescita infinita non solo sia possibile, ma sia addirittura necessaria per assicurare prosperità.
Il Pil non riflette a sufficienza la distribuzione del reddito, la qualità della vita delle persone, la qualità dell'istruzione, il grado di protezione dell'ambiente e i costi sociali del raggiungimento della produzione economica. Per garantire la sicurezza economica sarebbe dunque necessario mettere in atto una nuova metrica che guardi anche al benessere sociale, a politiche eque ed a uno sviluppo sostenibile.
Le modifiche necessarie
La tendenza a perseguire un aumento della produzione tendenzialmente infinito nel mezzo di una crisi ecologica è irragionevole e dannoso. Secondo l'economista Michael Green, è il momento giusto per introdurre un nuovo modo di guardare al benessere del mondo attraverso indicatori diversi, come quello che lui ha definito "Indice di progresso sociale" (Social progress index). Secondo Green, ci sono almeno 12 componenti essenziali che il Pil non considera direttamente: la facilità di accesso ai bisogni primari per la sopravvivenza e la sicurezza, le risorse disponibili per migliorare la vita delle persone (istruzione, informazione, salute e ambiente sostenibile) e la possibilità individuale di perseguire obiettivi, sogni e ambizioni senza ostacoli attraverso i diritti, la libertà di scelta, la libertà dalla discriminazione e l'accesso facile alle conoscenze avanzate.
Secondo l'economista inglese Kate Raworth, la resilienza dovrebbe essere uno dei pilastri principali per promuovere il progresso e la sicurezza economica. La resilienza è la capacità a lungo termine di un sistema di affrontare il cambiamento e continuare a svilupparsi, cioè di persistere di fronte al cambiamento e di navigare nelle turbolenze. La pandemia di Covid-19 è stata la prova tangibile dell'importanza fondamentale della costruzione di una resilienza transnazionale a lungo termine. Per Raworth i decisori politici devono porsi l’obiettivo di realizzare comunità resilienti in grado di adattarsi all'impatto del cambiamento climatico, sistemi alimentari resilienti in grado di far fronte all'aumento dei prezzi e alla perdita dei raccolti, e infine sistemi finanziari resilienti che non siano troppo inclini alle crisi.
L'idea di resilienza può essere analizzata nel quadro della doughnut economics, ossia l’"economia della ciambella", che rappresenta i confini sociali e planetari come una ciambella, per l’appunto. Secondo questa teoria, all'interno del buco della ciambella si trovano le fondamenta sociali, che consistono in 12 bisogni umani fondamentali, fra cui acqua, cibo, giustizia e istruzione. Intorno alla ciambella si trovano i nove confini planetari, che rappresentano il tetto ecologico del nostro pianeta.
Se vengono superati i limiti (come l'acidificazione degli oceani, la conversione dei terreni, l'inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico), il pianeta si danneggia al punto che non sarà più in grado di sostenere e rinnovare le risorse che la nostra specie necessiterà in futuro. Pertanto, lo spazio ideale in cui le nostre economie devono trovarsi è la "pasta" della ciambella, lo spazio tra le fondamenta sociali e il tetto ecologico. Fintanto che ci si trova in questo spazio sicuro, i bisogni dell’essere umano saranno soddisfatti e allo stesso tempo la salute della Terra sarà mantenuta. Uno dei metodi principali per raggiungere tale obiettivo e rendere l’economia sostenibile è quello di rendere circolare l’attuale processo produttivo e di massimizzare la riutilizzabilità di beni e servizi.
Una riforma economica profonda
Per realizzare un'economia più sostenibile, non sono necessari solo nuovi modelli, ma anche riforme nelle politiche fiscali e monetarie. Innanzitutto, l'aumento dei tassi di interesse che sta perseguendo oggi la maggior parte delle banche centrali per contrastare l'inflazione può essere controproducente, in quanto disincentiva gli investimenti necessari per la decarbonizzazione e le energie rinnovabili che favorirebbero la transizione ecologica. Inoltre, l'aumento dei tassi di interesse può ostacolare l'adeguamento del mercato del lavoro, causando disoccupazione e intensificando ulteriormente le disuguaglianze.
Secondo l’antropologo Jason Hickel, una parte degli investimenti necessari per la transizione verde dovrebbe essere promossa in primo luogo dai governi tramite la riscossione delle imposte. Nella situazione corrente, i governi potrebbero imporre diversi tipi di tasse coerenti con l'obiettivo di incrementare la sostenibilità, ad esempio aumentando le tasse sull’anidride carbonica per disincentivare le emissioni inquinanti, o le tasse sui profitti delle multinazionali per controbilanciare l'attuale tendenza all'aumento delle disuguaglianze.
Gli ingenti investimenti necessari per la transizione potrebbero rivelarsi molto maggiori delle tasse che sarà possibile raccogliere, per cui sarà necessario, almeno in parte, finanziarli a debito. Ma il debito pubblico non deve fare paura. Una certa quantità di debito è utile, anzi necessaria per sostenere uno Stato sociale ben funzionante e una resilienza a lungo termine, come sostengono economisti come Joseph Stiglitz. Inoltre, guardare solo al lato del debito nel bilancio dello Stato, senza considerare il lato delle attività da esso promosse, può essere controproducente. Queste considerazioni, purtroppo, sono ancora poco presenti nei dibattiti sui parametri fiscali europei che limitano il debito pubblico, come la soglia del 60% del rapporto debito/PIL.
Nell’ottica che abbiamo delineato, lo scopo dovrebbe essere quello di sviluppare convenzioni condivise sul benessere sociale e sulla sostenibilità socio-ecologica, promuovendo contemporaneamente la democrazia attraverso l'ascolto delle voci delle comunità. Per determinare democraticamente quale tipo di produzione dovrebbe essere promossa e quale ridimensionata, occorre costruire un impegno congiunto tra istituzioni, organizzazioni internazionali, governi, politici, mondo accademico e imprese. Come ha affermato l'economista francese Florence Jany-Catrice durante la conferenza europea "Beyond Growth", per garantire il buon funzionamento dell'economia sono necessarie trasparenza, democrazia informata e integrazione nelle politiche dei Paesi più sviluppati anche dei mercati emergenti e in via di sviluppo.
Compensare o ridurre al margine le emissioni non è più sufficiente. Sono necessarie una mitigazione molto più rapida e una riduzione significativa dell'uso intensivo delle risorse se si vuole cambiare la tendenza alla perdita di biodiversità, che la nostra specie sta causando, e assicurare la possibilità di una vita dignitosa anche alle generazioni future. Immaginare un mondo post-crescita significa pensare a una società basata sul benessere collettivo, sulla stabilità politica, sulla coesione sociale e sulla percezione della presenza umana entro i confini di un pianeta vivente.
Per raggiungere questo obiettivo, è necessario considerare seriamente una prospettiva di decrescita (o quantomeno di post-crescita) per iniziare a essere realistici e tenere conto dei limiti delle risorse reali disponibili. Come disse l'economista Kenneth Boulding nel 1970, "chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all'infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista". È giunto il momento di cambiare questa narrazione e sfruttare al meglio le possibilità che le scienze economiche offrono.
Altri suggerimenti di lettura
Hickel, J., Kallis, G., Jackson, T., O'Neill, D.W., Schor, J.B., Steinberger, J.K., Victor, P.A., e Ürge-Vorsatz, D. (2022) “Degrowth can work — here’s how science can help”. Nature.com, consultabile qui.
Kallis, G. (2011). “In defense of degrowth”. Ecological Economics, 70 (5): 873-880, consultabile qui.
Jackson, T. (2016). “Prosperity without Growth: Foundations for the Economy of Tomorrow”. Routledge, lo trovi qui.