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C'è vita oltre la crescita

Cos'è successo alla conferenza "Beyond Growth" e perché è importante

Centinaia di under 30 hanno partecipato alla conferenza "Beyond Growth" al Parlamento Europeo, per pensare un nuovo modello economico in linea con i limiti planetari e gli ecosistemi. Letizia Molinari era lì e ci racconta com'è andata.

Fra 15 e 17 maggio si è tenuta al Parlamento Europeo di Bruxelles la seconda edizione di "Beyond Growth", tre giorni di intensi dibattiti e plenarie per immaginare un futuro modello economico che rompa con il dogma della crescita del Pil e apra una riflessione sui limiti planetari. Promossa tenacemente dall'eurodeputato belga dei Verdi Philippe Lamberts e dal suo team, ha visto la partecipazione di più di 4mila persone in presenza e online e la stretta collaborazione di 21 membri del Parlamento Europeo provenienti da diverse famiglie politiche.

philippe lamberts
Philippe Lamberts. Crediti: CC-BY-4.0, European Union 2019 – EP.

Si tratta di un salto qualitativo e politico molto significativo, se si pensa che la prima edizione cinque anni fa aveva visto riuniti solamente qualche centinaio di partecipanti, prevalentemente accademici ed esperti del settore. I motivi del successo sono vari. Dal 2018 ad oggi, sono cambiate moltissime cose: c’è stata la pandemia, i primi scioperi per il clima, lo scoppio della guerra in Ucraina, la crisi energetica e molto altro ancora.

Sempre più frequenti, gli eventi estremi di siccità, inondazioni, incendi e picchi di calore, impongono la riorganizzazione e l’adattamento della nostra società alla crisi climatica, e questo è possibile solo attraverso l’abbandono dell’attuale modello economico capitalista ed estrattivista. A cinquant’anni dalla loro pubblicazione, il rapporto Meadows sui limiti dello sviluppo e la profetica lettera Mansholt, rimangono oggi di drammatica attualità.

Una "Woodstock della decrescita"

A fare pressione sulle istituzioni c’è una nuova generazione climatica sempre più numerosa e impaziente, per la quale il termine "decrescita" non è più un tabù, ma un progetto comune. Così, il lunedì mattina della plenaria, l’emiciclo del Parlamento Europeo era insolitamente gremito di facce giovanissime, di backpacks, jeans e sneakers.

C’è chi scherzosamente ha parlato di una "Woodstock della decrescita". Giovani studenti, ricercatori, attivisti leggono Hickel, Moore e Raworth e macinano centinaia di chilometri in treno da ogni angolo d’Europa per arrivare a Bruxelles. Tra di loro, alcuni sono saliti sul palco insieme ad eminenti esperti e politici, per rappresentare una voce scomoda ma ormai talmente forte da non poter più essere silenziata.

Adelaide Charlier, 22 anni, attivista belga di Youth for Climate, ha preso la parola nel silenzio dell’emiciclo dopo la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, riportando nell’aula la gravità della crisi climatica e la necessità di un cambiamento radicale. Insieme a lei, tante altre giovani leader dei movimenti climatici, come Leonor Canadas, Agata Meysner e Anuna De Wever, e con loro decine di attivisti e studenti, che nell’ultima giornata di lavori hanno sollevato i loro cartelli di protesta nell’emiciclo.

La radicalità del giovane pubblico ha trovato solidarietà nei graffianti interventi di ospiti d'eccezione provenienti da orizzonti molto diversi. È forse proprio questa diversità che ha permesso di rinnovare il dibattito sulla decrescita, talvolta troppo teorico, per riportarlo su temi concreti, nei settori e nelle problematiche del nostro tempo. Penso agli interventi di Raj Patel e Lebohang Liepollo Pheko per una prospettiva decoloniale nella transizione ecologica; l’economista Lucas Chancel sulla necessità di fare della tassazione uno strumento di giustizia climatica e sociale; Kate Raworth per un’economia circolare; Dominique Meda per la settimana di lavoro di quattro giorni; o ancora Timothy Lang per nuove filiere alimentari e agroecologiche.

A portare uno sguardo più strettamente scientifico sui problemi dell’attuale modello economico erano presenti vari ricercatori e scienziati, come il teorico dei limiti planetari Johan Rockström e Yamina Saheb, membro della commissione IPCC. Insieme al mondo accademico, molte personalità politiche sono intervenute nella conferenza in più occasioni, per moderare i dibattiti e portare il loro contributo sul tema, come dall’area francese Aurore Lalucq e Manon Aubry sulla fiscalità o Marie Toussaint sulla biodiversità, e dall’area spagnola la ministra del lavoro Yolanda Diaz.

Solving the climate crises requires a major increase in wealth redistribution between and within countries.

More reading: https://t.co/BmZ1Lxfd8F pic.twitter.com/2w48Hr7DEF

— Lucas Chancel (@lucas_chancel) May 17, 2023

Il campo delle istituzioni è ancora chiuso

L’entusiasmo del mondo della ricerca e degli attivisti per questa nuova prospettiva stride con i saluti della componente istituzionale, incarnata nei discorsi di Ursula von der Leyen, Roberta Metsola, Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis. Se è necessario riconoscere la progressiva apertura al dialogo simboleggiata dalla loro presenza durante la tre giorni, i temi non sono ancora davvero sul tavolo.

Ad oggi, le politiche europee sono interamente costruite e giustificate sull’obiettivo della crescita economica e della competitività. La vera essenza dell’Europa è imbrigliata nel fantasma della crescita ed il rifiuto di ogni possibile modello alternativo lo si è ritrovato in ognuno degli interventi istituzionali. Se von der Leyen concorda con la platea di giovani che un modello di crescita centrato sui combustibili fossili sia obsoleto e che il Pil non sia un buon indicatore, la soluzione che porta somiglia più ad una crescita verde, che ad una decrescita o una post-crescita. Meno diplomatico di von der Leyen, Paolo Gentiloni, nel suo video-intervento difende a spada tratta il bisogno di una crescita verde, scontrandosi chiaramente con le idee della maggioranza dei presenti, che lo fischiano ripetutamente.

Da un lato le istituzioni, con discorsi su crescita verde, progresso tecnologico e bisogno di sicurezza e stabilità, dall’altro la platea, pronta a mettere in discussione il concetto stesso di crescita. Al centro, l’annosa polemica sul decoupling tra emissioni e crescita, di cui si è molto occupato il giovane economista francese Timothée Parrique. Nel suo intervento durante la tre giorni ha spiegato che "la crescita verde consiste nel disaccoppiare la produzione e il consumo da tutte le pressioni ambientali a un ritmo sufficientemente veloce da evitare il collasso ecologico, e mantenere tale disaccoppiamento nel tempo. Questo tipo di crescita ad oggi non è mai stata provata concretamente".

Timothée Parrique
Timothée Parrique.

La questione fondamentale

Un altro giovane economista, Louison Cahen-Fourot, è tornato sul problema essenziali posto dalla crescita verde, al di là della sua fattibilità o meno: "Il capitalismo può essere migliorato e il Green deal europeo migliorerà sicuramente il capitalismo europeo. Tuttavia, il capitalismo rimane un sistema basato su rapporti sociali di produzione competitivi, conflittuali e di sfruttamento e in quanto tale contiene le radici della sua insostenibilità, anche se fortemente regolamentato e anche se sostanzialmente migliorato".

Un superamento della crescita non può essere pensato come un accessorio da aggiungere all’attuale crescita. Serve un cambio di paradigma, come spiega in una metafora divertente Benoît Lallement, segretario del Finance Watch: "Per alcuni politici la post-crescita è la crescita del Pil con l’aggiunta di qualche indicatore di sostenibilità. Come se si facesse un programma per smettere di bere, beyond-alcohol, continuando però a bere come prima, e semplicemente aggiungendo della meditazione e dello yoga". Come ha detto una giovane militante, Anuna De Wever, presente alla conferenza, "quando parliamo di crescita, dobbiamo porci prima di tutto due domande: per chi stiamo facendo crescere la nostra economia e quale storia ci raccontiamo per giustificarlo".

Uscire allo scoperto

Nel parco Leopold, giusto dietro il Parlamento, si può ammirare da qualche anno un'installazione artistica molto curiosa di una decina di grandi struzzi di pietra. Se alcuni scrutano l’orizzonte, la maggioranza sta con la testa sepolta nel terreno. La spiegazione ufficiale vuole che le sculture facciano eco all’antica presenza di uno zoo proprio in quel parco. In effetti, nel 1851 il sito divenne proprietà della Società reale di zoologia, che creò un parco zoologico e di divertimenti pensato per lo svago mondano della haute-société belga. Rimane però il fatto che la scelta di rappresentare proprio lo struzzo è assai curiosa.

Non si può negare un parallelismo con gli eurocrati e le istituzioni, che incapaci di leggere le sfide del nostro tempo, nascondono la testa nella sabbia. Lo struzzo, d’altronde, è anche un simbolo del movimento ecologista Extinction Rebellion. Forse, per evitare l'estinzione, è tempo anche per l’Europa di uscire allo scoperto e prendere sul serio quei fermenti più giovani e radicali che da ogni parte l’attraversano, da Lützerath a Sainte-Soline, dai blocchi stradali ai monumenti imbrattati, dalle occupazioni in università alle manifestazioni per il clima, fino ai banchi del suo Parlamento.

Data
16 Giugno 2023
Articolo di
Letizia Molinari

Letizia Molinari

TAG
cambiamento climatico, decrescita, Ecologismo, europa, post-crescita
Editing

Alessandro Bonetti

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Letizia Molinari

Letizia Molinari

Classe 1998, si è la­ureata nel 2020 in psicologia tra Milano e Parigi con una te­si sul Disturbo Post Traumatico da Stress in Palestina. Ha studiato arabo a Pari­gi e…

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