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Se la “Fortezza Europa” ha perso la bussola a Est

Ancora una volta, tra le pagine dei media figura l’espressione “Fortezza Europa”.  A Est, l’impressione è che l’Unione Europea si sia impantanata in una palude di divergenze di interessi e rivendicazioni di competenze, proprio là dove il venir meno della “cortina di ferro” e il crescente consenso internazionale verso il modello di democrazia occidentale avevano aperto la strada all’integrazione economica europea. 

È come se l’europeismo avesse allungato la sua coperta su parte dell’Europa dell’Est nella vana speranza che bastasse il sogno di un’Europa unita a mitigare conflitti latenti, rivalità interetniche, paure insite nelle società orientali. Quale idea di Europa, non è dato saperlo, almeno dalla fine degli anni dell’entusiasmo suscitato dalla Convenzione di Nizza. 

L’insicurezza nel futuro del progetto europeo viene somatizzata dall’organizzazione sovranazionale con una smania di fortificare, erigere muri, sigillare dall’interno l’area Schengen. Senza contare che, nel sottrarsi, con forme di esternalizzazione dei confini politici, al rispetto dei principi generali e delle norme sancite nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’organizzazione arriva a rinnegare il ruolo di leadership nella tutela dei diritti umani che le spetterebbe naturaliter, in virtù di una lunga tradizione di studi filosofici e giurisprudenziali europei.

A chi accusa Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia di euroscetticismo, le classi dirigenti dei Paesi dell’Europa orientale potrebbero replicare sottolineando che la membership nell’Unione è ben motivata nella misura in cui le istituzioni europee diano prova di effettività decisionale dinanzi alle principali sfide della contemporaneità. 

La questione migratoria, i rapporti ambigui della Commissione Europea o dei Paesi leader dell’Unione con Russia, Turchia e Cina, l’incapacità di imbastire le basi per una politica estera comune, l’assenza di coordinamento sulle politiche economiche e i contrasti interni tra singoli Stati e istituzioni sovranazionali sull’attribuzione delle competenze hanno raffreddato l’euforia dei primi anni 2000, portando a nette contrapposizioni in seno agli organi dell’UE, e in particolar modo al Consiglio Europeo. [1] Nelle logiche di voto all’unanimità del Consiglio, la pressione esercitata dai Paesi del Gruppo di Visegrád (V4) ha condizionato l’avanzamento dei processi deliberativi sul bilancio europeo 2021-2027 e sul pacchetto del Recovery Fund che era al centro del dibattito nel novembre 2020. [2]

“In generale, vorremmo un meccanismo che garantisse in maniera sufficiente che non saremo soggetti a sanzioni motivate politicamente. La situazione attuale ci porta a credere che ciò avverrebbe [con questo meccanismo]”, dichiarava il ministro polacco Pawel Jablonsky al Financial Times a novembre dello scorso anno, nel periodo caldo delle trattative incentrate sul Recovery Fund. [3] L’accesso alle risorse europee sarebbe stato subordinato a condizionalità riguardanti specifiche garanzie sul rispetto della “rule of law” (stato di diritto). Ora, a distanza di poco meno di un anno, la frattura si riapre con una sentenza della Corte Suprema polacca che ha respinto la supremazia del diritto europeo e della giurisdizione della Corte di giustizia dell'Ue. 

Converrà, però, ricordare come Paesi dell’Europa orientale come Polonia e Ungheria abbiano tratto evidenti vantaggi economici dall’ingresso nell’Unione, tra cui si possono annoverare l’apertura dei mercati di Francia e Germania e i conseguenti movimenti di forza-lavoro a basso costo da Est a Ovest. Inoltre, attraverso la chiave di lettura di un’integrazione differenziata, emerge come un’Unione a geometrie variabili si sia tradotta nella possibilità per i futuri Stati membri di dotarsi di importanti clausole di opt-out: esse entrano in gioco quando un dato Paese non vuole aderire insieme agli altri a un particolare campo della politica dell'UE, tirandosi indietro ed evitando così uno stallo generale. Destano particolare attenzione, tra le clausole di opt-out, una della Polonia sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la decisione della Repubblica Ceca di non aderire al Fiscal Compact per ragioni di rilevanza costituzionale.

Motivo di straordinario imbarazzo per la “Fortezza Europa” sono le tensioni mai sopite sui temi identitari tra una Kern-Europa a trazione franco-tedesca e i Paesi dell’Europa orientale. Da una parte, si collocano le questioni sui diritti di quarta generazione, tra cui spiccano diritto all’aborto e tutela delle minoranze LGBTQ+. E queste sono alcune delle evoluzioni che hanno condotto di recente lo scontro tra istituzioni sovranazionali e l’asse Ungheria-Polonia ai massimi livelli. Dall’altra, occorre mantenere i riflettori accesi sulla risposta comunitaria alla questione migratoria, che mina oramai da quasi un decennio la credibilità dell’UE: l’inaccettabile accordo tra Unione e Turchia stretto nel marzo 2016, e poi rinnovato, che sulla carta destina risorse alla gestione dei flussi migratori, alleggerendo la pressione ai confini della “Fortezza”; le schermaglie tra forze dell’ordine greche e turche lungo il confine naturale del fiume Evros del febbraio 2020 con un rimpallo di responsabilità sull’accoglienza dei migranti; un “sistema difensivo” di tre muri edificati a Est da Lituania (una continua serie di tornanti, colline, fossati, campi arati per 678 chilometri), Polonia (con circa mille uomini in appoggio alle guardie di frontiera lungo i 400 chilometri) e Ungheria (un muro comparso nel 2015). [4] Senza dimenticare che lungo la rotta balcanica i migranti si imbattono in recinzioni, blocchi della polizia e ogni genere di barriera utile a prevenire una presunta “invasione di soldati disarmati”. [5]

D’altronde, se si volesse risalire alle ragioni profonde della spinta all’integrazione europea verso Est, andrebbero messe in risalto non tanto le matrici culturali del progetto europeo, quanto gli interessi economici che la Germania ha perseguito nel caldeggiare l’ampliamento della membership in area mitteleuropea. Appare chiaro come la classe imprenditoriale tedesca fosse volenterosa di rafforzare le catene del valore con la cosiddetta “UE a 11” (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia) e di avvalersi di lavoro relativamente qualificato, ma a buon costo. [6] Per di più, i flussi commerciali tra Berlino e l’UE a 11 non sono a senso unico, bensì bi-direzionali. 

Tuttavia, l’avanguardia orientale dell’UE è ben lontana dall’essere impenetrabile dall’esterno: al confine preme la Russia, utilizzando la politica energetica come leva negoziale efficace e vigilando sullo storico alleato serbo; c’è la Cina che compie uno sforzo immane nel risalire la dorsale balcanica potenziando la rete infrastrutturale della regione (basti guardare ai casi di Macedonia, Montenegro e Croazia); incombe la Turchia, protettrice delle comunità musulmane nei Balcani, soprattutto in Macedonia, Albania, Bosnia-Erzegovina e Kosovo. [7] 

A prevalere è ancora un atteggiamento di introspezione e chiusura dell'Unione, che fatica a ritagliarsi spazi di manovra tra i giganti americano e cinese e mantiene un posizionamento ambiguo nei confronti di Mosca per via delle convulse relazioni tra Russia e Germania. Ma è chiaro che, perché Bruxelles riesca a rinvigorire il proprio status internazionale, c'è bisogno di un processo di consolidamento interno e di meccanismi all'avanguardia di tutela dei settori strategici in campo economico, finanziario e infrastrutturale (un esempio è rappresentato dal dispositivo di monitoraggio degli investimenti diretti esteri varato lo scorso anno).

Ciononostante, restano incerte le condizioni politiche, economiche e giuridiche per l’avanzata dell’integrazione europea, la quale si arresta dinanzi al perdurare di rivalità latenti, come quella ancora irrisolta tra Serbia e Kosovo. A poco sono valse le recenti visite ufficiali della Presidente della Commissione Europea e dell’ormai ex Cancelliera tedesca al confronto con le parole di figure di vertice come la Presidente del Parlamento serbo Ivica Dacic: dal 2009 i serbi ascoltano promesse di accesso alla membership dell’Unione, ma forse sarebbe meglio se la classe dirigente europea ammettesse che non esiste più una chiara intenzione di favorire l’espansione verso Est. [8] 

Un vuoto di leadership rischia di lasciare campo aperto ai diretti concorrenti (ancorché partner commerciali), primi fra tutti il “dragone rosso” e la “grande orsa russa”. Senza una svolta decisa nel processo di consolidamento interno e un rilancio della capacità effettiva di protezione dei diritti umani alle frontiere dell'Unione, lo status internazionale di Bruxelles continuerà a deteriorarsi.

Riferimenti

[1] Consiglio Europeo, How the EU manages migration flows. Accessibile a: https://www.consilium.europa.eu/en/policies/eu-migration-policy/managing-migration-flows/

[2] Strupczewski, J., Hungary, Poland block 2021-2027 EU budget, recovery package, Reuters, 16 novembre 2020. Accessibile a: https://www.reuters.com/article/eu-budget/hungary-poland-block-2021-2027-eu-budget-recovery-package-idINKBN27W2DG

[3] Shotter, J., Hopkins, V., Hungary and Poland stand firm against EU rule of law conditions, Financial Times, 18 novembre 2020. Accessibile a: https://on.ft.com/3AxHSTB

[4] Consiglio Europeo, Eastern Mediterranean route. Accessibile a: https://www.consilium.europa.eu/en/policies/eu-migration-policy/eastern-mediterranean-route/

[5] Scavo, N., I profughi «usati» da Minsk sbattono sui muri dell'Europa, Avvenire, 9 ottobre 2021. Accessibile a: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/i-profughi-usati-da-minsk?utm_medium=Social&utm_source=Twitter#Echobox=1633942640-2

[6] Buti, M., Székely, I., Trade shocks, growth, and resilience: Eastern Europe’s adjustment tale, VoxEu, 28 giugno 2019. Accessibile a: https://voxeu.org/article/eastern-europe-s-adjustment-tale

[7] Laureti, F., Shedding Light on the Noiseless Competition in the Balkans, CrossfireKM, 22 settembre 2020. Accessibile a: https://www.crossfirekm.org/articles/shedding-light-on-the-noiseless-competition-in-the-balkans

[8] Euronews, Where do Western Balkan nations stand with their EU membership bids?, Euronews, 6 ottobre 2021. Accessibile a: https://www.euronews.com/2021/10/05/eu-facing-crisis-of-credibility-in-western-balkans-as-leaders-meet-for-regional-summit

Data
20 Ottobre 2021
Articolo di
Francesco Giuseppe Laureti

Francesco Giuseppe Laureti

TAG
democrazia, integrazione, stato di diritto, unione europea, visegrad

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Francesco Giuseppe Laureti

Francesco Giuseppe Laureti

Nato umanista e appassionato di storia antica e moderna, dopo essermi diplomato al Liceo Classico “G. D’Annunzio” di Pescara, mi sono iscritto al corso di Scienze Internazionali e Diplomatiche presso…

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