L'8 luglio 2021 Kritica Economica ha organizzato un dibattito alle Manifatture Knos di Lecce dal titolo "Oltre Draghi: Ripensare l'economia post Covid", con ospiti il professore Massimo Amato dell'Università Bocconi e il sindaco di Lecce Carlo Salvemini. In seguito al dibattito abbiamo intervistato il sindaco sull'annosa questione meridionale e la complessa gestione delle finanze pubbliche locali in tempi di covid.
D: Come mostrano i recenti dati del rapporto annuale Istat 2021, il 2020 è stato un anno in cui le emigrazioni dal Mezzogiorno al Nord si sono ridotte del 14 per cento rispetto alla media dei cinque anni precedenti. Si è inoltre osservato un aumento di flussi dalle città del Nord verso le zone rurali. È possibile che la “rinascita” del Mezzogiorno parta dalle amenità naturali e sociali che esso può offrire ai cosiddetti smart workers, o serve un approccio più strutturale?
R: È difficile pensare che una serie di costanti, quali la mitezza del clima, la bellezza del paesaggio, il minor costo della vita, un ambiente sociale meno competitivo, che caratterizzano da sempre il Mezzogiorno d’Italia, possano generare l’inversione di un trend migratorio negativo che perdura da decenni o più. Ci sono altri fattori che hanno inciso sul dato, secondo me. Su tutti il fatto che le grandi città non riescono più a garantire automaticamente le migliori condizioni di vita e di lavoro che chi emigra cerca. E generano in questo modo flussi di ritorno o minori partenze.
La crisi economica, che ci accompagna ormai costantemente dal 2008, insieme alla crescente digitalizzazione dei rapporti di lavoro e al rafforzamento delle opportunità offerte da settori in crescita nel Mezzogiorno, quali il turismo, incidono sicuramente sulle dinamiche di movimento dei giovani lavoratori meridionali.
Spetta ai territori del Sud Italia trovare in sé la forza di generare nuove opportunità appoggiandosi ai mutamenti che hanno interessato il sistema economico e produttivo italiano ed europeo negli ultimi anni. La digitalizzazione offre possibilità diverse rispetto al passato, in termini di dislocazione logistica di sedi o di singole risorse umane? Certamente. L’abbiamo verificato nel corso della pandemia: nel settore dei servizi avanzati tantissimi lavoratori di aziende ad alto tasso tecnologico hanno potuto continuare a lavorare insieme, ma da remoto.
È una dinamica che interessa anche altri settori che fino a poco tempo fa generavano considerevoli spostamenti da Sud a Nord, ad esempio quello della formazione universitaria. Occorrerà verificare se al ripristino di condizioni di normalità di movimento, qualcuna delle eccezioni che abbiamo sperimentato durante la pandemia perdurerà come nuova normalità, andando a implementare ulteriormente il dato della riduzione dei flussi migratori.
D: I dati sui giovani di 15-29 anni che nel Mezzogiorno risultano non occupati né inseriti in un percorso di istruzione o formazione (NEET) sono drammatici. Siamo a livelli di incidenza più alti del 2008: 32,6 per cento è il dato che ci fornisce l’Istat, il doppio rispetto al Nord Italia. La condizione di NEET sembra essere influenzata dall’occupazione dei genitori e dal titolo di studio conseguito, fattori facilmente correlati. Il Mezzogiorno detiene la quota più alta di giovani che abbandonano gli studi dopo aver raggiunto la licenza media, il 46 per cento del totale italiano. Come si possono combattere secondo lei queste disparità e come stimolare una maggiore mobilità intergenerazionale, in particolare pensando alla regione Puglia?
R: Si tratta di un dato drammatico, perché coinvolge energie che dovrebbero alimentare processi non più rinviabili, come il necessario ricambio generazionale della forza lavoro. E invece restano ferme. Il drammatico dato dei neet testimonia il fallimento di politiche che hanno sostanzialmente diviso il mercato del lavoro a metà: da un lato i garantiti, i sindacalizzati, i titolari di diritti, dall’altro coloro ai quali è stato chiesto di portare da soli il peso della flessibilità a fronte di processi di crescita e maggiore produttività che questa avrebbe dovuto garantire.
Non è andata così: oggi il mercato del lavoro non è in grado di offrire a tanti ragazzi le giuste motivazioni – principalmente economiche – per lasciare la casa dei genitori e incamminarsi verso un’esistenza autonoma. Sono giovani che restano in moltissimi casi protetti dall’ombrello dei diritti – posti di lavoro stabili, pensioni, abitazioni di proprietà – che i loro genitori sono riusciti a conquistare e che loro percepiscono sostanzialmente come diritti negati.
È su questi diritti che occorre investire, per superare le disuguaglianze, aiutare i giovani a mettersi in gioco ma evitando di chiedere loro salti nel vuoto o proporgli condizioni di lavoro deprimenti. È un programma che deve tenere insieme riforme del lavoro e del welfare, che devono camminare assieme e al centro delle quali deve esserci il cittadino e non solo il lavoratore.
D: Come ci anticipava durante il dibattito tenutosi alle Manifatture Knos l’8 Luglio, in una situazione in cui i soldi sembrano esserci per gli Stati e per i piani centrali come il PNRR, i vincoli di bilancio dei comuni restano molto stringenti. In tale contesto, nel 2019 il comune di Lecce ha registrato spese di pagamento su quote interessi e capitale su mutui e prestiti per un ammontare di quasi 14 milioni di euro. Le spese per istruzione e diritto allo studio – visto che si parlava di mobilità sociale – sono state di 5 milioni. Considerata questa forte discrasia, è possibile in questo contesto immaginare delle amministrazioni locali promotrici di investimenti nel Mezzogiorno?
R: La pandemia ha esasperato le già difficili condizioni dei bilanci degli enti locali. Il blocco della vita sociale ed economica ha sottratto risorse in termini di entrate tributari e tariffe che non sono state compensate, se non in parte. E, fatto ancor più grave, agli enti locali non è stata accordata la possibilità di agire in deroga al Patto di stabilità. Ci troviamo, in un contesto nel quale i bisogni e la richiesta di servizi pubblici sono cresciuti, a dover garantire di più con meno risorse.
Nel caso del Comune di Lecce, ente in procedura di riequilibrio pluriennale, con la spesa corrente in massima parte contrattualizzata, i margini per il finanziamento di politiche che vadano oltre l’ordinaria, difficoltosa, gestione sono praticamente inesistenti. Senza mezzi termini, si tratta di una situazione insostenibile, nella quale è estremamente difficile per i Comuni prendere impegni di ogni tipo.
È urgente da parte del Governo e del Parlamento mettere mano al potenziamento delle capacità operative dei Comuni, che non sono – come propone un radicato pregiudizio – i luoghi della spesa inefficiente, ostaggio di classi dirigenti locali preoccupate solo di garantirsi consenso. Ma la prima interfaccia istituzionale per il cittadino, erogatori di servizi pubblici che sono diritti di cittadinanza, reti di protezione per le fasce di popolazione più deboli, che senza l’opera dei Comuni, coadiuvati dall’associazionismo sociale, durante la pandemia non avrebbero avuto portoni dove andare a bussare per chiedere aiuto.
Mettere i Comuni e i sindaci nelle condizioni di operare, in un momento nel quale non gli investimenti ma la spesa corrente che garantisce il funzionamento dei servizi è fortemente insufficiente, significa garantire la tenuta sociale ed economica del Paese. Anci lo ribadisce da tempo, mi auguro che il messaggio venga finalmente compreso e fatto proprio dal Governo.
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