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Teoria e pensiero economico

L’economia come scienza e arte: John Stuart Mill

Intorno alla metà del XIX secolo, al periodo di definizione dell’impianto economico smithiano, segue un lungo tempo di transizione che viene definito “fase di volgarizzazione dell’economia classica”. La più completa e definita razionalizzazione dei perfezionamenti e delle mutazioni che la teoria economica affronta durante questo periodo si ha nell’opera di John Stuart Mill. Il suo contributo verso lo sviluppo della scienza economica è una sorta di armonizzazione teorica della scuola classica, tentando di conciliare il pensiero di Adam Smith, quello di David Ricardo e le riflessioni scaturite dallo studio di questi ultimi.

Mill è l’economista che domina il panorama scientifico della metà dell’Ottocento. Figlio di James Mill e allievo di Jeremy Bentham, egli si configura come un interprete originale e poliedrico dell’ortodossia del suo tempo: cerca di innovare i principi dell’economia sia da un punto di vista prettamente teorico sia da un punto di vista più pratico e legato al miglioramento concreto del benessere collettivo. Il lavoro di sintesi di Mill si concretizza con la pubblicazione dei suoi Principles of Political Economy nel 1848: quest’opera può essere, dunque, inquadrata come espressione delle convinzioni e delle contraddizioni di una lunga fase di transizione.

Dal punto di vista metodologico Mill distingue l’economia in scienza e arte:

“Di primo acchito, non saremo di manica larga – circa la tipica definizione di economia politica – se dichiareremo che è una scienza che insegna, o perlomeno, intende insegnare in che modo una nazione possa arricchirsi. […] Riguardo alla definizione in questione, […] sembra che ciò confonda l’idea dell’arte e della scienza: esse differiscono l'una dall'altra […]. Una commercia nei fatti, l'altra nei precetti. La scienza è una collezione di verità; l'arte un corpo di regole.”

Secondo Mill, la scienza consiste in una “collezione di verità” sulle leggi della ricchezza; l’arte consiste, invece, in un insieme di “norme pratiche” che possono essere derivate dall’ambito della scienza.

I principi da cui Mill sviluppa queste intuizioni discendono dal pensiero positivista di Auguste Comte: il Positivismo comtiano è un movimento principalmente filosofico e sociale che conferisce, nell’Ottocento delle arti, valore e centralità alla scienza. Mill abbraccia numerosi aspetti di questa filosofia, ma soprattutto la visione di una scienza generale capace di unire le scienze naturali e sociali in un’unica prospettiva multiforme ma unitaria.

La scienza di Mill comprende leggi di carattere universale, naturale e oggettivo che possono essere interiorizzate tramite un metodo deduttivo. Il campo di attivazione di queste regole è la ricchezza, ossia il comportamento umano orientato all’accumulazione di capitale. Per Mill l’individuo è preoccupato solamente di accumulare denaro e, a questo fine, stabilisce una linea di condotta da seguire. Questa scienza milliana è anche definita come “legge di produzione”.

L’arte comprende, invece, diverse regole pratiche che coinvolgono forze sociali, politiche e culturali. Questa dimensione non si caratterizza per elementi prettamente economici, ma, secondo Mill, rappresenta comunque un aspetto fondamentale per capire la realtà economica nel suo complesso. L’arte milliana è anche detta “legge di distribuzione”.

La scienza e l’arte si configurano così come l’integrazione di ragione ed esperienza e in base a questi due elementi gli uomini provvedono a regolare i propri rapporti economici nelle varie forme di organizzazione sociale. Così come Smith, Mill crede nella concezione di uomo come “animale sociale”: all’interno di una società civile gli individui percepiscono l’esistenza di interessi comuni e agiscono collettivamente per perseguire tali obiettivi. Il modello milliano di scienza ricalca la concezione deduttiva classica mentre il concetto di arte apre lo spazio alla possibilità di interventi modificatori del sistema economico. Questo ecletticismo si trova alla base del cosiddetto “liberalismo riformatore” (o “socialismo liberale”) e anticipa alcune riflessioni importanti sul ruolo del Welfare State. Mill si dichiara, infatti, favorevole all’intervento dello Stato nel sistema economico, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza. Egli sostiene che lo Stato debba vigilare sulle concentrazioni delle ricchezze in quanto potenziali forze corrosive del valore sociale dell’economia.

Nelle società ricche, secondo Mill, l’obiettivo più importante deve essere la redistribuzione della ricchezza, non la crescita economica. Egli nega, infatti, la possibilità di crescita illimitata del capitalismo e afferma che il destino dell’economia è quello di approdare ad uno “stato stazionario” caratterizzato da un’equilibrata redistribuzione delle ricchezze. Questo stato  è una condizione ideale in cui nessuno è povero, nessuno desidera diventare più ricco e nessuno deve temere di essere respinto indietro dagli sforzi compiuti dagli altri per avanzare:

“Se la bellezza che la terra deve alle cose venisse distrutta dall’aumento illimitato della ricchezza […], allora io spero sinceramente, per amore della posterità, che i nostri discendenti si accontenteranno di essere in uno stato stazionario molto prima di essere costretti a esso dalla necessità.”

La previsione di un exitus felice allo sviluppo economico rispecchia fedelmente le inclinazioni positiviste dell’economista inglese. Inoltre, Mill intravede nella società l’opportunità di crescere e migliorare la qualità della vita individuale e collettiva da un punto di vista sia morale che pratico:

“Una condizione stazionaria del capitale e della popolazione non implica affatto uno stato stazionario del progresso umano. Vi sarebbe sempre lo stesso scopo per ogni specie di cultura intellettuale e per il progresso morale e sociale; e altrettanto spazio per perfezionare l’arte della vita, con una probabilità molto maggiore di perfezionarla, una volta che le menti degli uomini non fossero più assillate dalla gara per la ricchezza.”

In questa riflessione emerge la forza del legame tra la dimensione economica e l’uomo: l’economia - la scienza - e la società - l’arte - sono elementi intimamente connessi ed essenzialmente dipendenti l’uno dall’altro. Le parole di Mill raccontano la centralità di questo legame e rivelano l’importanza dell’agire individuale all’interno di un contesto sociale. L’uomo ritorna al centro della vita economica riscoprendo il suo potere: quello di riportare l’economia al servizio della società.


Fonti:

J.S. Mill, “Principi di economia politica”, libro IV, UTET

D. Parisi - M. Alacevich, "Economia Politica. Un’introduzione storica", Il Mulino

Data
21 Marzo 2021
Articolo di
Jacopo Sala

Jacopo Sala

TAG
economisti classici, john stuart mill

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Jacopo Sala

Studia Economics all'Università Cattolica di Milano. È profondamente interessato alla realtà economica e ai suoi fondamenti. Ha una grande passione per la filosofia e la letteratura.

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