In Europa il settore agricolo è in subbuglio da tempo. A marzo 2023 il BBB (il movimento civico contadino che rappresenta gli interessi del settore agricolo nei Paesi Bassi) raggiungeva uno storico risultato elettorale. Alle elezioni provinciali otteneva quasi il 20% delle preferenze, cavalcando l’onda di un forte malcontento sulle politiche comunitarie in materia agricola dell’Unione europea. Risultato importante, se si pensa che il movimento era stato fondato appena nel 2020 e che alle elezioni parlamentari del 2021 aveva totalizzato solo l’1% dei voti.
Mentre nei Paesi Bassi il malcontento del settore primario ha trovato espressione politica, nel resto dell’UE si è manifestato in maniera più spontanea. Diverse proteste sono scoppiate negli ultimi mesi, fino ad arrivare ai recenti eventi in Francia, con gli agricoltori che hanno assediato Parigi bloccando tutte le vie di entrata alla capitale il 29 gennaio.
Eurocentriche e nazionaliste, le proteste che in Italia ambivano al megafono di Sanremo nascono da squilibri economici globali e si rivolgono ai principali attori delle negoziazioni in corso tra blocchi commerciali. Infatti, al centro delle rivendicazioni non c'è solo la Politica agricola comune dell'UE. Anche il trattato di libero commercio fra UE e Mercosur (i cui negoziati vanno avanti da diversi anni) gioca un ruolo fondamentale. Ma andiamo per ordine.
I trattori e la PAC. Profitti o sostenibilità?
La politica agricola comune (PAC) dell’UE è il pacchetto di misure politiche sull'agricoltura a livello comunitario. È approvato dal Parlamento e dal Consiglio Europeo1Per il quadriennio 2023-2027, il pacchetto è stato approvato nel 2021, e definisce le necessità dei settori agricoli degli stati membri nei cosiddetti “piani strategici”. A loro volta, questi sono passati al vaglio della Commissione per l’approvazione definitiva.
La regolamentazione comune del settore agricolo è stato uno dei pilastri dell’integrazione europea fin dai suoi albori: è dal 1962 che la PAC è in funzione. Nell'UE il settore primario è fortemente regolamentato e sussidiato e ogni sette anni la PAC viene aggiornata secondo i cambiamenti contestuali e le necessità emergenti. Occorre ricordare anche che l'UE ha politiche commerciali piuttosto stringenti riguardo all’importazione di prodotti agricoli e che il mercato interno è tutelato da misure di protezione doganale. Anche se in Europa il settore agricolo rappresenta solamente l'1,4% del Pil (dati 2020), la spesa pubblica per la PAC tocca quasi il 25% del bilancio comunitario.
Le proteste che vanno avanti ormai da un anno a questa parte (e che proprio negli scorsi mesi hanno raggiunto picchi inediti) si scagliano contro le modifiche della PAC per il quadriennio 2023-2027, che prevedono maggiori condizionalità per accedere ai sussidi. Queste condizionalità sono legate a criteri di sostenibilità ambientale. Ad esempio, il 25% dei fondi PAC deve essere destinato ad attività in regime ecologico, il 35% ad attività volte alla conservazione della biodiversità, mentre il 40% deve essere vincolato ad un’azione positiva contro la crisi climatica.
Tuttavia, il settore agricolo tradizionale mal sopporta gli obblighi imposti da Bruxelles nell’ambito del Green Deal europeo, il cui obiettivo è azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050. Secondo i portavoce del movimento agricolo, il raggiungimento di questi obiettivi e gli stringenti controlli burocratici associati pregiudicherebbero economicamente il settore primario europeo. Le condizionalità introdotte per ottenere i fondi rappresenterebbero un problema specialmente per le aziende più piccole e che operano con margini più bassi di guadagno. Destinare una parte dei fondi ricevuti ad attività volte alla conservazione ambientale, così come l’obbligo di devolvere una parte delle terre ad attività non direttamente produttive, mette sotto pressione quelle aziende che in precedenza non hanno investito (o non hanno potuto investire) nella transizione ecologica. In particolare difficoltà si trovano quei segmenti del settore che ottengono bassi tassi di profitto, anche a causa dello scarso potere di contrattazione che hanno di fronte alle grandi catene di distribuzione.
Le rimostranze degli agricoltori rivelano una dipendenza vitale dal sostegno pubblico, dato che il condizionamento dei fondi agli obiettivi climatici pare aver messo in crisi l’intero settore. Ma mostrano anche qualcosa di più profondo: che il settore primario europeo, indignato dalle richieste dell’UE legate alla sostenibilità, non è pronto a cambiare modello di produzione.
Soia e buoi dei paesi tuoi: l’agro-business ce l’ha anche con l’America Latina
Come accennavamo, gli agricoltori si sono scagliati anche contro l’accordo commerciale fra UE e Mercosur (il blocco commerciale dell’America Latina). Il trattato è ancora in fase negoziale, ma gli agricoltori temono che una sua approvazione spalancherà le porte del mercato interno a prodotti meno costosi provenienti dall'estero. Nonostante la riluttanza di alcuni Paesi europei (soprattutto la Francia), la Commissione europea pareva intenzionata a concludere a breve i negoziati. Ma le proteste hanno gettato nell'incertezza le sorti dell'accordo.
Per il movimento degli agricoltori in protesta, il trattato aumenterebbe la concorrenza ai prodotti europei. Essi, infatti, dovrebbero competere con quelli del Mercosur, di cui fanno parte due giganti nella produzione agricola: Brasile e Argentina. In generale, i paesi del Mercosur hanno una marcata specializzazione nel settore agricolo. Inoltre, la regolamentazione ambientale è molto più lasca che in Europa1. Sebbene l’UE stia cercando di inserire nell'accordo commerciale alcune clausole ambientali (come l’obbligo di certificare che i prodotti importati non siano frutto di deforestazione), sembra poco probabile che il settore agricolo del Mercosur adotti gli stessi standard europei. E sarà complicato anche controllare le condizioni produttive delle merci agricole esportate dall’America Latina verso l'Europa.
La questione di fondo, però, è che nell’economia mondiale l'UE si posiziona come produttore di beni industriali ad alta tecnologia e fornitore di servizi. Il settore primario, per quanto importante per l’approvvigionamento alimentare interno, non è la punta di lancia dell'UE sui mercati mondiali - se non per i paesi del Sud Europa e per prodotti particolari come vini, formaggi e olio di oliva. D'altronde, nel suo insieme l'UE è importatore netto di materie prime.
La preponderanza degli altri settori produttivi sul settore primario non rende particolarmente competitiva l’agricoltura europea sui mercati mondiali, tanto che essa deve essere protetta da dazi e sovvenzioni. Il confronto diventa impietoso con il settore agricolo di paesi come l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay e il Paraguay. Infatti, queste economie dispongono di:
- terreni agricoli molto estesi, economie agricole di scala, manodopera a basso costo;
- specializzazione produttiva nel settore agricolo come elemento di inserimento nell’economia mondiale;
- una regolazione macroeconomica tradizionalmente orientata all’economia agricola di esportazione2.
Le due anime dell'economia europea e le loro contraddizioni
Torniamo ai protagonisti della nostra storia. Le proteste degli agricoltori sono scoppiate nel cuore produttivo dell’UE. Sono stati per primi gli agricoltori olandesi, belgi, tedeschi e francesi a invadere le strade con i loro trattori. Non è un caso. Le contraddizioni interne al modello di sviluppo europeo si materializzano proprio nei paesi in cui questo modello è più radicato, e che sono spesso considerati la locomotiva dell’economia europea. Da un lato c’è l’UE dell’industria e dei servizi, moderna e con lo sguardo al futuro, che sviluppa fattori competitivi sul mercato mondiale. Poi c’è il settore agricolo che dipende dal consumo interno dei paesi dell’Unione e resta incapace di progredire, sia per limiti propri che per limiti imposti dai governi (si veda la legge contro la carne sintetica in Italia). Il contrasto è particolarmente forte in quegli stati dell’UE dove si concentrano i maggiori cluster industriali e di servizi (Benelux, Francia e Germania).
Gli eventi degli ultimi mesi ci danno l’opportunità di riflettere su differenti dinamiche nel modello di sviluppo del capitalismo europeo. Si possono rilevare due contrapposizioni. La prima è fra lo sviluppo dei vari settori (industria, servizi, agricoltura). E poi c'è la contrapposizione fra il bisogno di far fronte al cambiamento climatico e la necessità di accumulazione e valorizzazione in un settore primario già di per sé debole.
L’obiettivo dei trattori in rivolta, tuttavia, non è battersi contro il neoliberismo, ma semplicemente restaurare (e se possibile aumentare) il tasso di profitto, eroso dalla preponderanza dei settori terziario e secondario nel modello produttivo europeo. Quella degli agricoltori assume le sembianze di una lotta inter-capitalista per garantirsi privilegi, piuttosto che una lotta dal basso verso l’alto contro un sistema che fa del libero mercato l’unico vero principio da seguire, come è spesso dipinta. La lotta dei trattori non è contro il capitalismo nella sua fase neoliberale, ma contro la particolare allocazione delle risorse favorita dal posizionamento dell’UE nel mercato mondiale come produttore industriale e di servizi. Un posizionamento in cui il settore agricolo non riesce a ottenere tassi di profitto alti.
Gli agricoltori protestano contro le regole del gioco cercando di modificarle a loro favore, senza però mettere in discussione il gioco stesso, che per come è strutturato non può tutelare tutti i settori produttivi contemporaneamente. Infatti, le proteste non hanno messo in discussione la diseguale ripartizione dei fondi della PAC, la cui distribuzione (effettuata in proporzione agli ettari) finisce per privilegiare le aziende più grandi, evidenziando così la matrice corporativa di queste rivendicazioni. Le proteste dei trattori rivendicano un laissez faire a targhe alterne: protezione doganale per il loro settore ma meno norme di sostenibilità, più sussidi ma meno regole.
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Crediti immagine di copertina: Ermell/CC BY-SA 4.0 DEED.