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Abbandonare la "nuda vita" per riscoprirsi popolo

Celebre figura oscura del diritto romano arcaico è l’Homo Sacer, persona bandita che può essere uccisa da chiunque, ma non può essere sacrificata in alcun rituale religioso.

La parola sacer ha un significato ben diverso dalla parola “sacralità” che riscontriamo oggi nella religione cristiana: si tratta infatti di tutto ciò che troviamo al di fuori della cornice della società civile e dalla vita politica. Homo sacer è l’assassino che poteva essere ucciso senza che fosse considerato un assassinio; è il reietto, il fuorilegge, nonché la figura prediletta ripresa dal pensiero filosofico di Giorgio Agamben.

Torniamo quindi ai principi fondamentali da cui discende l’immagine dell’Uomo Sacro: occorre partire da una dicotomia diversa da quella schmittiana di amico/nemico (sublimata da Chantal Mouffe in amico/avversario), ossia quella di Zoe e Bios.

Questo duo di ascendenza greca soleva infatti distinguere nettamente tra “la vita politica, di gruppo, qualificata” (Bios) e il semplice fatto di vivere - “la nuda vita” - definita come Zoe. Questa distinzione, che ricorda il tradizionale dualismo anima/corpo, ci mostra dunque l’Homo Sacer come colui che è stato privato della propria Bios attraverso un “atto di sovranità”. L’Homo Sacer è biologicamente un uomo, ma egli può "esser ucciso” perché è stato ridotto al rango di sola Zoe.

Ora, tanto Badiou quanto lo stesso Agamben - proprio ripercorrendo la metafora dell’Homo Sacer - manifestano un certo antistatalismo, convinti che essere contro le istituzioni significhi esserne fuori. La crisi di legittimità e la lotta “del reietto” partorita da Agamben ha però delle implicazioni paradossalmente più pericolose della stessa criticata esuberanza del potere politico.

Lo dimostrano le indocili prese di posizione del filosofo nei confronti della pandemia di Covid-19. Vi è questa forte volontà, dunque, nel pensiero agambiano di essere contro, in particolare al di fuori dello Stato, “al di là di ogni relazione” usando un’espressione tratta dal prof. Fortunato Cacciatore (Dibattiti e Scontri, Per Un Nuovo Orizzonte della Politica, Mimesis, 2020).

A questo punto vorrei quindi mettere in evidenza le fragilità della concezione agambiana servendomi degli strumenti laclauiani: non è infatti scontato che i “fuorilegge” debbano trovarsi al di fuori di ogni legge o di ogni diritto poiché potrebbero contribuire a creare nuove identificazioni collettive anche all’interno del sistema-Stato, e perfino nuove leggi.

Il ribelle può perfino farsi promotore di una nuova legge volta a sfidare il vecchio ordinamento all’interno della cornice del sistema-Stato. Nella visione lacluaiana, la plebs aspira ad essere populus: non è ostaggio di una secca spaccatura come quella dell’originaria dicotomia Zoe/Bios.

La domanda in cui si cristallizza il “popolo” risulta scissa al suo interno: da un lato resta una singola domanda particolare, dall’altra si trascina una serie di domande equivalenti. Ne La ragion populista di Laclau il concetto è chiaro:

pur restando una domanda singola, essa diviene al contempo il significante di una universalità più ampia.

Il sistema di inclusioni/esclusioni laclauiano è pieno di incroci, trasformazioni sfumate, ed è inscritto in una più ampia lotta per l’Egemonia. Per Agamben, invece, non è così che è strutturato il potere politico. L’esiliato, il rifiutato, la vittima dei campi di concentramento sarebbero tutti homines sacri al di fuori dello Stato e della Politica. Il popolo di Agamben è frutto di una frattura bio-politica fondamentale: la nuda vita e l’esistenza politica.

Il prof. Cacciatore mostra come la prospettiva agambiana rischi di sottrarre alla Politica ogni possibilità di intervenire: lo Stato diventa dunque la perennità del male radicale secondo un messianesimo ben distante dalla prospettiva egemonica. Perfino Badiou appare d’accordo con Agamben su un punto chiave: la Politica non è il conflitto volto ad instaurare una temporanea egemonia, ma la lotta di una singolarità contro lo stadio estremo della forma-Stato.

Lo stesso Laclau fa notare come in Badiou la politica di emancipazione ha luogo fuori dallo Stato, mentre nella visione mouffiana-laclauiana la lotta ha luogo all’interno e contemporaneamente all’esterno dello Stato. Il limite di Laclau è semmai, come ho già espresso in passato, ascrivere la comunità locale a inaffidabile campo di democrazia “presentista”, oltre alla difficoltà insita nel modello laclauiano di spiegare la genesi degli “eventi epocali”, quelli che vanno oltre ad una fugace e temporanea padronanza dell’Egemonia.

Ho spesso sostenuto la necessità di integrare il pensiero laclauiano con quello di filosofi post-anarchici come Murray Bookchin, nella speranza di creare un connubio assurdo e necessario tra razionalismo e psicanalisi, tra Egemonia ed evento epocale, tra Stato-Nazione e Comunità.

La ragione per cui sono assolutamente schierato dalla parte di Laclau è la centralità della lotta egemonica contro l’Ordine Nuovo utopico di Bookchin e la visione singolaristica di Agamben e di Badiou. Oltretutto, credo che il potere politico vada configurato in termini retorici - come Laclau e Mouffe - e non con, seppur affascinanti e accurate, teorie matematiche (come Badiou).

L’Homo Sacer è dunque colui che non lotta contro lo Stato al di fuori dello Stato, ma colui che permette l’insorgenza di una nuova domanda democratica, che (necessariamente!) trascina dietro di sé delle altre, per riempire un Universale Vuoto, che sarà occupato dalla pars.

Nel caso di Laclau esiste perciò un vuoto costitutivo che si riempie solo grazie all’articolazione politica, discorsiva, volontaria: ogni costruzione è contingente, destinata a essere sovvertita in una sfida continua di sedimentazione e de-sedimentazione.

Non esiste alcuna identità populista che preesista all’attacco dell’avversario: è l’attacco la precondizione di qualsiasi identificazione collettiva. Nelle manifestazioni di Occupy Wall Street si urlava “noi siamo il popolo”: il rapporto egemonico prevede dunque necessariamente la contaminazione tra il particolare e l’universale.

Non esiste - né mai esisterà - alcun popolo senza articolazione politica.

Data
27 Febbraio 2021
Articolo di
Yahia Al Mimi

Yahia Al Mimi

TAG
agamben, egemonia, laclau, Populismo, reietti

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Yahia Al Mimi

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Yahia Al Mimi è nato a Pavia il 2/3/1999. Scrittore e teorico, studia Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Genova. Autore di “Storia di Miraggi Interplanetari e Interspecie” -…

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