Ci sono quattro modi per finanziare la spesa necessaria a fronteggiare l’emergenza coronavirus, i suoi postumi e la ripartenza. Nella prima parte dell’articolo verranno esposte le due vie attualmente percorse (affidamento su strumenti europei ed emissione sul mercato di nuovi titoli di debito che si aggiungono al rifinanziamento di quello esistente), spiegando perché chiunque voglia proteggere l’Italia dal “commissariamento” dovrebbe adoperarsi perché vengano abbandonate al più presto. Occorre dunque individuare delle alternative.
Iniziamo dalle due strade dalle quali occorre tenersi alla larga se si vuole evitare di essere “commissariati”:
1) direttamente facendo ricorso alle risorse del MES;
2) indirettamente, senza ricorrere al MES, ma continuando, all’interno di un quadro deflativo, ad avere necessità di emettere nuovi titoli di debito pubblico e dovendosi rivolgere "ai mercati" per finanziarli.
Nel comunicato dell’Eurogruppo dell’8 maggio si descrive la risposta dell’Unione Europea alla crisi: a partire dal primo giugno 2020 saranno operative “le tre reti di protezione per lavoratori (SURE), imprese (iniziative della BEI) e debiti sovrani (attivazione della Pandemic Crisis Support del MES).
ll SURE, fondo europeo per la disoccupazione, si attiverà solo nell’eventualità in cui tutti gli Stati versino su base volontaria le garanzie “irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili” che la Commissione utilizzerà per emettere i titoli necessari a raccogliere sul mercato le risorse da prestare a chi ne facesse richiesta. Nell’ipotesi (remota) che questo avvenga, comunque il SURE non potrà distribuire più di 10 miliardi l’anno tra tutti i Paesi membri. Nella migliore delle ipotesi l’Italia potrebbe contare per l’emergenza su qualche centinaio di milioni quest’anno, dovendo però versare immediatamente circa 3 miliardi come garanzia.
La Banca Europea degli Investimenti (BEI), agendo come da statuto, conta, attraverso 25 miliardi di garanzie, di attivare crediti bancari per 200 miliardi per tutta l’Unione Europea. Per avere un’idea dell’entità di questa misura si guardi all’Italia che con il “Decreto Imprese” ha fornito, da sola, garanzie per attivare un importo doppio di crediti (400 miliardi).
Quanto alla linea di credito Pandemic Crisis Support del MES: al punto 3 del documento dell’Eurogruppo si conferma che per tutti gli stati membri che ne facciano richiesta è possibile ricevere un ammontare di risorse pari ad un massimo del 2% del PIL 2019 (per l’Italia significa un ammontare massimo di 35,7 miliardi) senza condizionalità all’accesso qualora si sottoscriva un Pandemic Response Plan nel quale ci si impegni a impiegare le risorse esclusivamente per spese sanitarie connesse alla pandemia. Tuttavia lo stesso punto 3 si conclude con l’affermazione che “le norme del trattato del MES continuano ad applicarsi”. Al punto 5, quello che richiama la lettera di Gentiloni e Dombrovski (dipinta dai media mainstream come il via libera definitivo al “MES senza condizioni”), si legge che il “Il MES applicherà anche il suo ‘Early Warning System’ (sistema di allarme preventivo sulla solvibilità del debitore) per assicurare la puntuale restituzione del Pandemic Crisis Support”. Infine al punto 10 si puntualizza che gli organi di governo del MES, nell’approvare la concessione del credito a chi ne fa richiesta, seguiranno quanto previsto dall’articolo 13 del Trattato del MES (che è Trattato tra Stati).
Tale articolo recita al comma 1: “Una volta ricevuta la domanda, il presidente del consiglio dei governatori assegna alla Commissione europea, di concerto con la BCE, i seguenti compiti: ... b) valutare la sostenibilità del debito pubblico. Se opportuno e possibile, tale valutazione dovrà essere effettuata insieme all’FMI”.
Al comma 3: “il consiglio dei governatori affida alla Commissione europea – di concerto con la BCE e, laddove possibile, insieme all’FMI - il compito di negoziare con il membro del MES interessato, un Memorandum of Understanding che precisi le condizioni contenute nel dispositivo di assistenza finanziaria. Il contenuto del Memorandum of Understanding riflette la gravità delle carenze da affrontare e lo strumento di assistenza finanziaria scelto.”
In sintesi, con le parole dell’onorevole Fassina nell’articolo pubblicato su Huffington Post il 9 maggio: “si accede, senza condizioni e senza Memorandum, alla linea di credito speciale del Mes. Una volta dentro, viene valutata la sostenibilità del debitore, in conseguenza dei punti richiamati del comunicato dell’Eurogruppo (punti 3, 5 e 10). Dato che siamo avviati a superare, nel 2020, il 160% nel rapporto tra debito pubblico e PIL, siamo oggettivamente a rischio di solvibilità. Pertanto, dopo l’accesso, scatta, per statuto Mes, l’art. 13: programma di aggiustamento macroeconomico e Memorandum. Qui è il nodo: il programma di aggiustamento macroeconomico e il connesso Memorandum con la Troika arrivano una volta dentro il Mes”.
La cura troika per gli interessi di una parte del capitale italiano (finanziaria ed export oriented) e di quello internazionale, che infatti promuovono l’accesso al MES attraverso i propri media, potrebbe paradossalmente rappresentare un vantaggio, perlomeno nel breve termine: poter contare su una situazione di ulteriore prostrazione sociale abbassa il costo della manodopera, farebbe pagare ai più deboli il prezzo degli “aggiustamenti strutturali” imposti (attraverso taglio a pensioni, salari e servizi pubblici) e, ultimo ma non ultimo, uno Stato obbligato a svendere ciò che gli è rimasto per fare cassa a ogni costo è facile preda per gli avvoltoi del capitalismo finanziario di tipo predatorio. Il caso greco fa scuola. Il non detto riguardo al MES è che probabilmente ci è stato chiesto di accettarlo come contropartita perché la BCE assuma un ruolo più energico (attraverso Outright Monetary Transactions, OMT) negli acquisti dei titoli di stato dei Paesi in difficoltà dopo che l’improvvida frase pronunciata dalla Lagarde “non siamo qui per chiudere gli spread tra titoli di stato” aveva causato un’impennata dello spread stesso. Un ricatto insomma, al quale però dobbiamo sfuggire.
Se resistessimo alle forti pressioni esterne e, ahinoi, in parte anche interne per fare ricorso al MES, non è detto che lo scenario “commissariamento” sia accantonato. Infatti, nel caso in cui il nostro debito continuasse ad essere detenuto e rifinanziato principalmente da investitori esteri, ci potremmo trovare in breve a dover sostenere tassi d'interesse molto alti. Questo, unito alla mole crescente del debito in relazione al PIL, potrebbe portarci presto su un sentiero di insostenibilità. Quando ciò accadesse si può chiedere aiuto (alle altre linee di credito del MES) oppure tentare autonomamente di convincere “i mercati” a continuare a sostenerti. In entrambi i casi la ricetta standard prevede “riforme strutturali”, il che significa politiche di austerità - avanzo primario per fare scendere il rapporto debito/PIL. Nel primo caso chi "aiuta" le impone forzosamente, come accade alla Grecia con l'arrivo della Troika nel 2010. Nel secondo esse sono autoinflitte, come accadde in Italia durante il governo Monti, anche se poi sortirono l’effetto opposto: il rapporto debito/PIL passò dal 116% al 129%.
Se non percorreremo vie alternative il “commissariamento” è molto probabile. Le vie alternative sono diverse e presentano diversi livelli di difficoltà a seconda di cosa si consideri modificabile. Sarebbe opportuno rivalutare le conseguenze di svolte come quella che, con la
separazione Tesoro-Banca d'Italia del 1981, simbolicamente oltre che nei fatti, contribuı̀ al passaggio delle redini dalle mani della politica a quelle dei mercati, consegnandosi di fatto al “vincolo esterno” per le scelte in materia di finanza pubblica.
Occorrerebbe ridiscutere le fondamenta stesse dell’edificio economico dell’Unione Europea (quello politico semplicemente non esiste). Queste poggiano sull’imposizione ai paesi membri dell’ideologia neoliberista e di tutto ciò che ne consegue, in primis l’idea che l’economia sia solo economia di mercato, che il ruolo della politica monetaria sia quello di scongiurare l’inflazione e che il mercato interno possa essere compresso a piacimento a favore di una politica export-oriented mercantilista. Affrontare, fuori dagli slogan, questi temi non è più rimandabile. Tuttavia non può essere fatto né in breve tempo né in maniera unilaterale. Senza perdere di vista questa necessità, l’emergenza che stiamo vivendo e i dati della nostra economia ci impongono di individuare nell’immediato alternative per scongiurare il rischio di essere commissariati condizionando le prospettive del Paese ad emergenza finita. Eccone due.
a) Insieme agli altri Paesi che hanno difficoltà nel rifinanziamento del debito si potrebbe orientare il proprio “capitale politico” affinché la BCE sia messa nelle condizioni di comportarsi come le altre banche centrali del mondo, ovvero di fungere da prestatrice di ultima istanza con facoltà di “stampare moneta”, cosa che ora formalmente non può fare, dovendo per statuto occuparsi di stabilità dei prezzi e controllo dell’inflazione. Ciò significherebbe ad esempio superare il meccanismo che attualmente regola il Quantitative Easing (prestiti di denaro alle banche centrali nazionali demandando loro l’acquisto e il relativo rischio), fornendole un mandato per comprare direttamente titoli di debito emessi dai Paesi membri:
- Se ce ne fosse bisogno fuori dalle logiche di capital key (che impongono di acquistare titoli dei Paesi in proporzione al capitale versato nella BCE)
- A tasso zero (cd. perpetuity) o comunque inferiore a quello di mercato
- Sterilizzando (almeno una quota) del debito pubblico detenuto dalle banche centrali nazionali e acquistato nell’ambito del QE, rinunciando alla pretesa che queste restituiscano alla BCE quanto ricevuto per acquistarli
Agendo in questo modo la BCE potrebbe ridurre la dipendenza dei Paesi dai “mercati” scongiurando il rischio che alcuni Paesi si riavvitino in politiche fiscali di austerità e/o che poi finiscano per dover chiedere aiuto venendo commissariati. Non si può consentire che ciò accada di nuovo, men che meno ora come conseguenza di uno shock esogeno simmetrico (rispetto al quale nessuno ha una responsabilità). In questo modo la BCE potrebbe finanziare nel breve termine la spesa corrente per l’emergenza sanitaria e per coprire le misure di sostegno e le mancate entrate, mentre nel medio termine potrebbe finanziare un piano di investimenti verdi per (ri)costruire “l'infrastruttura del domani” (nel frattempo garantendo lavoro a una costellazione di imprese). La logica è quella seguita dalle altre banche centrali del mondo (anche in una versione più spinta, si veda ad esempio la Bank of England).
Tuttavia con la sentenza di qualche giorno fa la Corte Costituzionale tedesca (peraltro ribadendo indirettamente il primato delle Costituzioni nazionali sui Trattati UE, compresi quelli che regolano l’azione della BCE) intima alla BCE di fornire adeguate spiegazioni su come il proprio agire nel passato e nel presente risponda esclusivamente a logiche di politica monetaria e non di politica economica. Ciò indica che la Germania, e con lei i cosiddetti “frugali”, non accetteranno facilmente che la BCE estenda il proprio mandato oltre il perimetro di quanto si renda strettamente necessario in termini di politica monetaria per il contenimento dell’inflazione e, forse, la sopravvivenza dell’Euro. Questo non segna certo il compimento di un passo avanti verso la definizione di una strategia comune per il futuro post pandemia, anzi.
b) Un’altra ipotesi è quella del prestito non forzoso "autarchico" avanzata da alcuni economisti. La versione che ha avuto più risonanza è quella proposta a fine marzo dall’ex ministro Tremonti e da Ferruccio De Bortoli sulle pagine del Corriere della Sera alla quale hanno aderito, tra gli altri, Bazoli, presidente emerito di Intesa San Paolo insieme all’attuale ad Messina. La proposta prende le mosse dall’analisi di un dato: al grande debito pubblico italiano, 2409 miliardi, corrisponde una enorme ricchezza privata: 4374 miliardi di attività finanziarie (contro solo 926 miliardi di passività ) da parte delle famiglie e 1840 miliardi di attività finanziarie nella pancia delle società non finanziarie. Partendo da questi presupposti l’idea è quella di proporre agli Italiani di impegnare una parte relativamente contenuta della propria ricchezza finanziaria (300 miliardi nelle intenzioni dei proponenti) sottoscrivendo titoli a lungo termine (illiquidi), garantiti dai beni dello Stato ma a condizioni per quest’ultimo migliori rispetto a quelle ottenibili finanziandosi sui mercati, al fine di ampliare gli spazi di manovra per il presente e il futuro post-pandemia senza dover dipendere dall’alchimia tra interventi della BCE per calmierare gli spread e benevolenza delle agenzie di rating o, peggio, dagli aiuti erogati in cambio della rinuncia completa a quegli stessi spazi.
Chiaramente perché una proposta di questo tipo, ispirata dal “prestito per la ricostruzione” proposto nel 1948 dal governo De Gasperi e al quale “aderı̀” anche Togliatti (che invitò gli operai a sottoscrivere il “prestito per la democrazia”), abbia successo deve poter contare su un clima tra le forze politiche all’altezza e sulla risposta dei cittadini. Per quanto riguarda quest’ultimi Bazoli non ha dubbi, dicendosi convinto, e io con lui, che, se informati adeguatamente, gli Italiani confermeranno le virtù morali, la solidarietà e lo spirito d’unità emersi in questo tempo e comprenderanno l’importanza per il Paese di non trovarsi né nella condizione di doversi indebitare per poter pagare gli interessi sul debito né di essere “commissariati” e risponderanno conseguentemente.
Qualche dubbio in più riguarda le forze politiche che, seppur plausibilmente (e legittimamente) divergendo sul “come” utilizzarlo, dovrebbero però convenire sul fatto che assicurarsi questo “spazio di manovra” sia interesse comune per chiunque ritenga che tra democrazia rappresentativa, politica e cultura da un lato e “mercati” ed economia dall’altro gli ultimi debbano essere strumenti a servizio delle prime e non viceversa. Questo era chiaro nel 1948 quando si trattava di “mettere le gambe” alla neonata Costituzione e questo dovrebbe accadere nel 2020 quando c’è da difendere (ed ampliare) gli spazi di manovra residui di quella Costituzione.
Concludo con la speranza che non prevalgano coloro i quali si augurano che “il commissariamento” in un modo o nell’altro arrivi per assestare i colpi finali a ciò che è rimasto del modello di economia mista, per obbligare alla svendita di ricchezza pubblica e privata e per allontanare ancora di più le masse dalle decisioni sugli elementi strutturali della realtà socio- economica. Non c’è da augurarselo in una logica oppositivo-aggressiva di affermazione nazionale ma di difesa degli spazi minimi di manovra per le costituzioni democratico-repubblicane (a partire dalla nostra), necessari perché poi si possano reimpostare, a partire da questi e su basi diverse - politiche e non solo tecno-economiche - le relazioni con i vicini europei e, ancora più in generale, per poter affrontare in maniera partecipata e solidale le grandi sfide del nostro tempo.