Con occhio disincantato e uno spirito critico ben conscio della drammaticità dello scenario attuale che emerge dal suo “L’età dell’oikocrazia. Il nuovo totalitarismo dei clan” (Meltemi Editore, 2020), Fabio Armao, professore di Relazioni internazionali all’Università di Torino, squarcia il sipario del mondo contemporaneo per indagare sugli ingranaggi di una macchina infernale. Questa prende il nome di “oikocrazia”, neologismo di derivazione greca che allude alla gestione degli affari di interesse pubblico da parte di gruppi a base clanica secondo i modi dell’amministrazione degli interessi privati. Ma non si arresta alla sfera del potere economico la connotazione del concetto innovativo formulato dall’autore, che, invece, sviluppa un’analisi onnicomprensiva della realtà odierna attingendo da svariati ambiti del sapere.
Il principale merito del docente consiste proprio nella versatilità dello studioso che rifugge dall’ossessione moderna per la specializzazione disciplinare, spinta al limite della miopia, e dal dominio incontrastato dell’empirismo. Armao si cimenta in un’operazione non convenzionale, avventurandosi oltre i sentieri di ricerca solitamente battuti. A seguito di una breve ma efficace ricognizione sulle problematiche che affliggono la contemporaneità, dall’espansione inosservata del mercato delle armi alle migrazioni di massa, Armao insiste sulle gravi responsabilità di un mondo occidentale sviluppato che si illude di potersi serrare dall’interno ignorando quanto accade nel resto del pianeta e proseguendo lungo un cammino di crescita incontrollata a danno dei Paesi in via di sviluppo.
Allo scopo di risalire alle radici delle disfunzioni della società odierna, vengono ripercorse le tappe che hanno condotto lo Stato moderno dal trionfo nella storia a un lento ridimensionamento della sua facoltà di affermare e tutelare i diritti civili, politici e sociali della persona e della collettività, favorendo, parallelamente, l’avanzata del mito dell’economia di mercato capace di autoregolarsi e di “ridistribuire” i vantaggi del capitalismo. Senza mezze misure, l’autore scorge nella data-chiave del 1989 gli albori di un totalitarismo neoliberale.
Nella linea di ragionamento della trattazione, la “fine della storia” in genere associata al crollo del comunismo e al prefigurarsi di un nuovo ordine globale, orchestrato dall’aquila a stelle e strisce, segna l’epilogo di una diarchia tra Stato e capitalismo e l’inizio di una “ristrutturazione globale” che porta con sé la complessità di una rete di sistemi operanti su diversi livelli. E ad agevolarsene sono i clan contemporanei, abili sia nell’accumulare capitale sociale e sia nel muoversi dalla sfera politica a quella economica e alla società civile.
È a questo punto che il saggio dimostra di tener fede alle aspettative generate dalla premessa. Attenendosi a un approccio interdisciplinare, Armao attinge da molteplici serbatoi linguistici, dalla sociologia, che accorre in aiuto nella ricerca degli elementi costitutivi dei clan, al diritto, di cui vien sottolineata l’ipertrofia legislativa e la labilità dei confini tra aree di competenza. Il lettore non vien mai abbandonato nel tentativo di orientarsi nella mappa analitica sviluppata dall’autore; anzi, non mancano dei passaggi di ricapitolazione dello stato di avanzamento dell’indagine, che conduce, infine, alla rappresentazione efficace di un moderno Behemoth, una creatura mostruosa di derivazione biblica che, già adoperata da Franz Neumann per descrivere il nazismo, funge da allegoria del totalitarismo neoliberale.
Come il quadro si colora di tinte fosche, Armao non lascia nulla all’immaginazione, penetra nelle viscere del Behemoth, illustrando con atteggiamento lucido quale aspetto abbia la “bestia delle bestie”. All’atomizzazione degli individui si affianca il consolidamento e l’espansione delle élite; e qui sta la chiave di volta dell’analisi. Delle riflessioni finali articolate attorno alla definizione del “mostro neoliberale” merita una nota di apprezzamento l’attenzione rivolta ai tanti scenari di guerra dimenticati in cui banchetta il mercato delle armi, argomento accennato già nei capitoli introduttivi.
È una vera e propria guerra civile globale permanente, dalle quali le grandi potenze fingono di astenersi, aggravandone, invece, il bilancio con le più sofisticate tecniche di cooptazione delle parti coinvolte sul campo di battaglia. Sono guerre dette con un eufemismo “a bassa intensità”, che sfuggono ai meccanismi di controllo e sanzione del diritto umanitario, anche a causa della presenza crescente di non-State subjects come gruppi di mercenari e contractor. Agli effetti collaterali della privatizzazione selvaggia dei capitali si aggiunge la privatizzazione della violenza, che caratterizza un mercato ad alta redditività in cui qualsiasi attore, dai governi nazionali ai “signori della guerra”, hanno un ruolo nell’incalzare alla corsa al riarmo.
Man mano che ci si avvicina alla conclusione viene da interrogarsi su come l’autore intenderà restituire il senso complessivo di un viaggio appassionante e difficile da sintetizzare senza correre il rischio di tralasciare una delle tante finestre di discussione aperte nello sviluppo dell’analisi. Eppure, non deve stupire che non vi sia sigillo conclusivo che costituisca un approdo definitivo della ricerca, poiché il libro fa parte, spiega Armao nelle prime pagine, di una trilogia che si chiuderà nel 2021. Non resta che sperare che con un’indagine dai caratteri indubbiamente originali l’autore riesca nel suo lodevole intento: promuovere una rilettura dei rapporti tra scienza e potere, affinché la prima possa tornare a indirizzare opportunamente l’azione della seconda, facilitando la comprensione dell’attualità e chiarendo le cause delle dinamiche politiche, economiche e sociali del mondo contemporaneo.