Mauro Gallegati è professore di Economia all'Università di Ancona, dove ha ottenuto il dottorato sotto la supervisione del grande economista americano Hyman Minsky. È stato visiting professor in molte università tra cui Stanford, MIT e Columbia. Gli abbiamo fatto qualche domanda sulla crisi che stiamo vivendo.
D: Perché questa crisi è differente dalle altre?
R: Siamo ormai abituati a dire che questa crisi ad una crisi di guerra. Il motivo è che questa crisi colpisce, come dicono gli economisti, sia la domanda sia l’offerta. Essendo stati più o meno tutti a casa non abbiamo potuto né produrre né consumare le cose a cui eravamo abituati, come i carburanti. Ma stavolta, a differenza che in una guerra, il capitale non è stato distrutto. Non è stato utilizzato, semplicemente perché non c’è domanda. Pensiamo a com’era la situazione dopo la seconda guerra mondiale: case, infrastrutture e porti distrutti. Invece nel nostro caso, se riparte la domanda, in teoria riparte tutto.
Un cambiamento da tenere in considerazione è che il 30% dei lavori si scopre poter essere fatto da casa. Pensiamo al professore universitario. Altri lavori invece non possono essere svolti da casa. Questo è un problema che peggiorerà la distribuzione del reddito. Alla fine, chi avrà un lavoro precario o pagato meno se la vedrà peggio.
D: Questa crisi può trasformarsi da reale in finanziaria e generare un momento Minsky?
R: Questo è ciò che temiamo tutti. Se un’impresa si viene a trovare in carenza di liquidità può fallire. Se fallisce, non ridà i soldi alla banca. La banca entra in sofferenza e comincia, come nel 2007-2008, a non essere più in grado di prestare soldi. È un problema serio, ma gli Stati stanno cercando di ovviare. Però tutto viene fuori da anni, decenni di neoliberismo, in cui si è detto: quando le cose vanno bene ci pensano i privati, quando vanno male ci pensa il mercato. È come se vai dal tuo medico e quando stai male lui ti dice: “Sono specializzato in pazienti sani. Ora che stai male vai da un’altra parte.”
D: A tal proposito, quale può essere il ruolo dello Stato per affrontare la crisi e quale sarà dopo la crisi?
R: Il primo è togliere di mezzo il problema della carenza di liquidità: cercare di non far fallire le imprese. Inoltre, si è capito che senza una sanità pubblica il privato non riesce a stare dietro ai problemi, perché deve fronteggiare troppi costi. Lo Stato deve intervenire. C’è poi un altro problema: la gente scopre che può fare i lavori a casa. Oppure che, con poca gente in giro, la natura si riprende i suoi spazi. Qui ad Ancona per esempio si sono visti per la prima volta i delfini al porto. Lo Stato sarà così bravo da dire che si può lavorare in modo diverso e ci si può interessare alla natura oltre che al solo profitto? È una grande sfida.
D: Secondo lei, alla luce di questa crisi i modelli economici che usiamo dovrebbero essere rivisti e impostati in maniera differente?
R: Per fortuna sì. Nel modello tipico che si usa si massimizza il profitto dati alcuni vincoli: tecnologia, capitale… Non c’è la natura, per esempio. Se vuoi usare modelli con natura, speranza di vita, alfabetizzazione devi passare a un altro tipo di indicatori. Il Pil non ti basta più. In Italia c’è il BES, che contiene più indicatori e non solo quelli economici.
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