Stefano Fassina è un deputato del gruppo parlamentare Liberi e Uguali, nelle cui liste è stato eletto. Ha fondato nel 2018 il movimento Patria e Costituzione, che coniuga il recupero della sovranità popolare con temi tipici del keynesismo e del socialismo. Lo abbiamo intervistato per conoscere l'opinione di un "sovranista di sinistra" su temi di attualità, dal Mes alla globalizzazione.
A trent'anni dalla svolta neoliberista, quali sono le possibilità per lo Stato di recuperare la sua sovranità e di gestire la globalizzazione?
L'obiettivo è molto difficile da raggiungere, sebbene sia un obiettivo necessario, perché purtroppo i processi storici non sono facilmente reversibili. Quindi semplicemente tornare indietro è una strada ostruita. Bisogna capire come recuperare elementi di sovranità in un contesto che è profondamente mutato e che deve tener conto dei mutamenti intervenuti.
Cosa pensa dell'attuale assetto dell'Unione europea e del ruolo preponderante dei mercati finanziari in Europa?
Penso che sia un assetto che determina in modo sistematico la svalutazione del lavoro e contraddice i nostri principi costituzionali. È un assetto che, non solo per quanto riguarda i mercati finanziari, ma anche per quanto riguarda più in generale il mercato unico (cioè i movimenti di servizi, oltre che di capitali, di merci e di persone) determina in modo ordinario svalutazione del lavoro, impoverimento del welfare e svuotamento della democrazia costituzionale.
A questo proposito, quali sono le criticità della riforma del Mes in discussione?
Il Mes è un ulteriore approfondimento dell'impianto che ho appena descritto. Un impianto che è scolpito nei Trattati e che non vuole essere rimesso in discussione. Con il Mes, come con altri strumenti, si prova ad arginare gli effetti negativi di un sistema patologico, non a intervenire a eliminare le patologie. Il Mes, in estrema sintesi, rende ordinario, con la presunzione di gestirlo, il default dei debiti sovrani, che invece fino ad oggi è stato un evento considerato estremo, estremamente improbabile e contrastato da tutte le istituzioni europee. Qundi, la trasformazione di un evento straordinario in un evento ordinario ha effetti ovviamente negativi, in particolare su chi come noi ha un debito pubblico e lo rende ancora di più esposto e ricattato dai cosiddetti mercati dei capitali.
A cosa è dovuta la sua votazione favorevole alla risoluzione di maggioranza sul Mes?
È dovuta al fatto che la risoluzione di maggioranza non contiene valutazioni sul Mes, non si esprime in merito al Mes, prevede delle caratteristiche da evitare per quanto riguarda l'unione bancaria e soprattutto (questo è il punto chiave che motiva il voto su quella risoluzione da parte di chi come me non voterebbe il Mes) contiene il passaggio sul Parlamento. Cioè sul fatto che prima di assumere qualunque posizione a Bruxelles il governo è impegnato a ricevere il mandato dal Parlamento. Questo è il punto politico decisivo. Veniva considerato chiuso quel capitolo, la risoluzione lo riapre e rimette al centro il Parlamento su quella che sarà la posizione del governo.
Più in generale, cosa può fare la politica per riscoprire un pensiero economico critico ed eterodosso?
Stefano Fassina: Con riferimento alla politica in generale è difficile rispondere. A mio avviso il punto è quali interessi si intende rappresentare. Chi vuole rappresentare gli interessi del lavoro e della piccola impresa legata alla domanda interna deve riconsocere che l'attuale assetto regolativo liberista colpisce il lavoro e la microimpresa. Per una parte politica va bene così. Non ha bisogno di riscoprire Keynes e un approccio interventista dello Stato, tant'è che continua a ostacolarlo. Quella parte politica che vuole rappresentare chi è colpito dal'assetto attuale è chiaro che deve andare alle fondamenta dei problemi. Tutta questa insopportabile chiacchiera sulla disuguaglianza che poi si limita ad affrontare con qualche aggiustamento sul versante della tassazione è ridicola. Vanno affrontate le cause strutturali, che sono innanzitutto l'aggravamento dello sfruttamento sul mercato del lavoro, che è determinato appunto da un quadro regolativo che favorisce il dumping sociale e il dumping fiscale.
Cosa possono fare gli economisti per uscire dalla loro torre d'avorio e intervenire nella società a sostegno del lavoro, della piccola impresa e di una maggiore uguaglianza?
Innanzitutto devono riconoscere che l'economia è politica e che non è una scienza astratta, e quindi assumersi le responsabilità conseguenti al fatto di essere scienziati politici. Non considerare neutre le conclusioni a cui giungono o le teorie che sposano. Anche la cosiddetta economia neoclassica, che espunge la politica dalla disciplina, in realtà è la più politica delle teorie, proprio perché pretende di essere tecnica, oggettiva, una sorta di scienza esatta.