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Intervista

Marco Zanni (Lega): "La nostra visione è keynesiana. L'uscita dall'euro? Non è all'ordine del giorno, ma l'Europa deve cambiare"

Abbiamo intervistato Marco Zanni, europarlamentare di punta della Lega e presidente del gruppo europeo "Identità e democrazia" al Parlamento di Strasburgo. Eletto nel 2014 nelle liste del Movimento Cinque Stelle, Zanni ne è uscito dopo tre anni, in seguito all'avvicinamento del suo partito al gruppo dei liberaldemocratici dell'Alde. Dal 2018 è membro della Lega. Si è laureato in economia alla Bocconi ed è una delle voci leghiste più critiche verso l'Unione europea.

D: Se dovessi definire in poche parole la tua posizione economica, come la descriveresti? Ti definiresti keynesiano o liberista?

R: Sicuramente la visione dell'economia che ho è più keynesiana. Un'economia sociale dove l'uomo e i suoi bisogni stanno al centro di tutto e dove l'attore pubblico è uno strumento importante per la crescita. Anche se non mi piacciono molto le categorizzazioni di questo tipo, la mia visione è questa se devo sintetizzare.

D: La visione economica della Lega è più quella sovranista di Salvini o quella europeista di Giorgetti?

R: Credo che anche su questa divisione ci siano dei misunderstanding. La visione della Lega è una ed è condivisa da Matteo Salvini e da Giancarlo Giorgetti e, al di là di quello che scrivono i giornali ,io ne ho avuto riprova nei colloqui e nelle riunioni a cui ho partecipato. La visione della Lega è una.
Al di là di essere europeista o non europeista, è una visione keynesiana, dove il comparto pubblico ha un peso importante, soprattutto nella gestione di periodi di crisi. È una visione contraria a quella che abbiamo visto in Europa in questi anni. Non propone un modello basato sulla compressione dei salari per alimentare in maniera spasmodica le esportazioni (che è un modello che avvantaggia pochi e svantaggia molti), ma un modello più equilibrato.
Un modello dove la domanda interna non viene compressa ma stimolata, dove la spesa pubblica ha un ruolo importante come volano per gli investimenti e dove c'è ovviamente libertà degli interessi privati, tutela e supporto dell'azione privata in concerto con quella pubblica. La domanda interna e il mercato interno per noi sono molto importanti, come anche il sostegno ai salari, che è una delle lotte storiche di Matteo Salvini e della Lega. Quello che vorremmo vedere in Europa, per quanto riguarda questa tematica, è un modello più bilanciato, a sostegno e non a compressione della domanda interna, non esclusivamente basato sulle esportazioni a tutti i costi.

D: Il Mes è oggi una minaccia per l'Italia?

R: È uno strumento che nella migliore delle ipotesi è inutile e non utilizzeremo. Nella peggiore è un'istituzionalizzazione della Troika: un commissariamento dell'Italia sia nel suo formato originale sia soprattutto con l'inclusione delle cosiddette clausole di azione collettiva. Clausole con cui diventa un meccanismo di ricatto sul debito pubblico, che è uno degli strumenti più delicati e fondamentali nell'azione di uno Stato moderno.

D: Per toccare un tema bollente, l'uscita dall'euro è all'ordine del giorno della Lega?

R: No. Non lo è e non lo è stata né nel programma presentato (sia come partito sia come coalizione) alle politiche del 2018 né alle europee del 2019. Abbiamo detto chiaramente che noi lavoriamo per portare un cambiamento radicale dentro l'Unione europea. Poi, se l'Unione europea continua di questo passo, il tema non è che "la Lega porta l'Italia fuori", ma che la struttura attuale diventa insostenibile. Ci sono molti dubbi sul fatto che nello stato attuale delle cose l'eurozona possa reggere una nuova crisi come quella che abbiamo sperimentato dopo il 2008.

D: Hai delineato un po' la visione di Europa che avete: un'Europa sociale, in cui si pensa a un modello non soltanto basato sulle esportazioni.

R: Sì, un'Europa che si rifocalizza su quello che è il suo valore, ossia il mercato interno. Un'Europa che non persegue sistematicamente la compressione dei salari come metodo di competizione, soprattuto sui mercati esteri (perché sappiamo che riducendo i costi si è più competitivi a parità di prodotto). Un'Europa che non diventa un super-Stato pericoloso, ma un'Europa in cui il cuore e l'ossatura sono rappresentati dagli Stati membri. Un'Europa dove le differenze sono un valore e sono tutelate e non si cerca per legge una pericolosa omologazione.

D: Sappiamo che l'Unione europea vieta gli aiuti di Stato. A tal proposito, secondo la tua personale opinione, l'Ilva va nazionalizzata? Si possono aggirare le regole europee in qualche modo? Si può trovare un compromesso con la Commissione?

R: In realtà gli aiuti di Stato non sono vietati a priori nell'Unione europea. Sono vietati nel momento in cui un'analisi della Commissione dimostra che quell'intervento altera la concorrenza nel mercato unico. Quindi non a priori tutto ciò che è aiuto di Stato è illegale.
Dopodiché sappiamo che il modo in cui la Commissione europea ha interpretato la politica sugli aiuti di Stato e la concorrenza ha creato molti danni, soprattutto all'Italia, in termini di sistema industriale, creditizio e agricolo. Ha impattato trasversalmente tutti e tre i settori di un'economia moderna: agricoltura, servizi e industria.
Il caso Ilva è un caso difficile per due motivi. Innanzitutto, c'è un tema industriale a livello europeo. L'industria dell'acciaio in Europa non è stata più competitiva a causa anche di un'apertura troppo allegra a prodotti provenienti dall'estero: dalla Cina e soprattutto dall'India. Credo poi che senza un supporto statale sia difficile trovare una soluzione permanente, quindi mi auguro che ci sia un ruolo forte dello Stato, anche attraverso Cassa depositi e prestiti, per trovare una soluzione.
A lungo termine, penso che la presenza di un socio privato che dia una visione industriale sia fondamentale. Dunque auspico che ci sia questa soluzione. Ci sono alcuni operatori in Italia che sarebbero in grado di fare un'operazione del genere, supportati dallo Stato e da Cassa depositi e prestiti.

 

Data
4 Marzo 2020
Articolo di
Alessandro Bonetti

Alessandro Bonetti

TAG
europa, eurozona, lega

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Commenti

  1. Alessio Ver 27 Aprile 2020 alle 17.28

    Non ho capito come si concilia una “visione keynesiana” con una flat tax.

    Rispondi
    • Gabriele 5 Luglio 2020 alle 20.50

      Infatti keynes non era comunista anzi li odiava

      Rispondi
    • Mario Mastroianni 8 Agosto 2020 alle 04.26

      Perchè è a scaglioni progressivi: aliquota del 15% per i nuclei ISEE fino a 70.000 € lordi annui con sostituzione di tutte le detrazioni (inclusi gli 80€) con un’unica deduzione calcolata sul quoziente famigliare, mentre al di sopra di quella soglia l’aliquota sale al 20%.

      Rispondi

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