Nella crisi da coronavirus, l'euro sembra di nuovo a rischio. Si sente ora più che mai il bisogno di un dibattito equilibrato sulla moneta unica, per valutarne costi, benefici e prospettive. Kritica Economica ha dunque posto undici domande al professor Marcello Messori e il professor Massimo Pivetti.
Marcello Messori è professore di economia alla Luiss e Direttore della Luiss School of European Political Economy. I suoi principali campi di ricerca sono la teoria monetaria e creditizia, la macroeconomia e la storia dell’analisi economica.
Massimo Pivetti è stato professore ordinario di economia politica a “La Sapienza” di Roma. Si occupa di teoria della distribuzione del reddito, economia e politica monetaria e storia dell’analisi economica.
1. L’euro serve all’Italia? Sì o no?
Messori: Chiedere se l’appartenenza all’Unione europea serva all’Italia equivale a chiedere se serva all’Italia far parte di una delle aree economicamente e socialmente più avanzate oppure se non sia meglio essere un piccolo paese che subisce le scelte altrui nei rapporti internazionali. Ho fatto riferimento all’Unione europea e non all’euro area perché l’appartenenza all’Unione europea e non all’euro area è uno stato transitorio salvo per i paesi che hanno esercitato un iniziale opting-out.
Pivetti: L'euro non serve all'Italia. E' servito a realizzare un cambiamento epocale nelle condizioni di potere e distributive nel continente.
2. Che effetti ha avuto l’euro sull’economia italiana dall’adesione a oggi? L’Italia ci ha guadagnato?
Messori: In un’ottica standard i guadagni hanno riguardato: la caduta degli oneri finanziari sul debito pubblico, dovuta alla caduta nei tassi di interesse; la riduzione della dinamica inflazionistica; la piena partecipazione al mercato unico. I costi aggiuntivi sono derivati da: la perdita della sovranità monetaria; i vincoli alla sovranità fiscale. Io non concordo sulla valutazione dei costi. Prima dell’unione monetaria, la politica monetaria italiana era totalmente in balia delle scelte della Banca centrale tedesca, mentre dal 1999 l’Italia ha partecipato alle decisioni collegiali della politica monetaria europea. Inoltre, prima degli accordi di Maastricht, i maggiori gradi di libertà della politica fiscale italiana hanno alimentato una spirale viziosa fra tasso di inflazione e tasso di svalutazione con conseguente esplosione del debito pubblico.
Pivetti: Gli effetti dell'euro sull'economia italiana sono sono gli occhi di tutti: stagnazione, disoccupazione e precarietà. L'Italia non ci ha guadagnato; ci hanno guadagnato i percettori di redditi da capitale e impresa, essenzialmente attraverso la stagnazione dei salari e le privatizzazioni.
3. A chi ha giovato di più la moneta unica fra i Paesi dell’eurozona?
Messori: Fra il 1999 e il 2008 agli stati membri ‘periferici’, che (con l’eccezione dell’Italia) hanno fatto segnare tassi di crescita molto al di sopra della media dell’area. Fra il 2009 e il 2015 ha giovato agli stati membri ‘centrali’ perché molti paesi periferici (ancora una volta, tranne l’Italia) sono stati costretti ad attuare aggiustamenti macroeconomici distorsivi. Dopo il 2015, vi sono stati dieci trimestri di crescita rilevante e abbastanza equilibrata rotti, poi, da una forte incertezza politico-istituzionale.
Pivetti: Prima che tra i Paesi dell'eurozona, vantaggi e svantaggi vanno valutati con riferimento alle classi sociali presenti all'interno di ciascun Paese membro. Da questo punto di vista è ovvio a chi ha giovato di più: al 20 per cento più ricco di tutte le popolazioni coinvolte nel progetto. Quanto ai Paesi, attraverso i suoi persistenti flussi di esportazioni nette di beni e servizi, la Germania è l'unico Paese che ha potuto conciliare su larga scala la stagnazione dei salari e dei consumi interni con tassi di crescita abbastanza sostenuti. Naturalmente la soluzione adottata dalla Germania non è replicabile dagli altri perché alle esportazioni nette dell'uno corrispondono inevitabilmente importazioni nette degli altri.
4. A chi ha arrecato più danni la moneta unica?
Messori: Si veda la risposta alla domanda precedente.
Pivetti: Ha arrecato più danni qi salariati e più in generale ai ceti popolari attraverso l'austerità fiscale e il connesso ridimensionamento dello Stato sociale.
5. Qual è il significato politico dell’euro?
Messori: Il significato politico dell’euro dipende dall’evoluzione futura dell’Unione europea. Il mio auspicio è che l’euro sia stato il primo passo per la graduale costruzione di un’Unione politica federale che poggi sull’unione fiscale.
Pivetti: Il significato politico dell'euro è la deresponsabilità politica per i singoli governi nazionali.
6. Qual è il significato geopolitico dell'euro?
Messori: Se si realizzerà l’auspicio di un’Europa politica federale, l’euro avrà consentito di difendere il modello sociale europeo in quanto contrapposto alle derive autoritarie e/o liberiste di altre aree.
Pivetti: È difficile coglierne il significato geopolitico. Una politica estera europea degna di questo nome non esiste. L'Europa - Unione europea e eurosistema - non contano niente a livello internazionale. È sostanzialmente un mondo di tecnocrati della finanza e di banchieri culturalmente impresentabili.
7. Quali sono i pregi dell’euro?
Messori: L’aver mantenuto bassi i tassi di interesse, bassi i tassi di inflazione, forte capacità di assorbimento degli shock. Aggiungerei: l’aver assicurato una maggiore convergenza fra stati (con l’eccezione di Italia e Grecia) rispetto ai periodi precedenti.
Pivetti: Non vedo pregi. Considerevoli pregi avrebbe invece un sistema di cambi stabilmente fissi tra diverse valute europee, difeso da ciascuna nazione tramite controlli severi di tutte le sue transazioni economiche con il resto del mondo.
8. Quali sono i difetti dell’euro?
Messori: Il difetto fondamentale è che le istituzioni europee prendono spesso le decisioni corrette ma con troppo ritardo. Questo ne aumenta i costi economici e sociali.
Pivetti: I difetti dell'euro si riassumono nella perdita da parte di ciascuna nazione aderente al sistema della sua sovranità in campo economico - il mantra "non ci sono i soldi" a fronte di milioni di disoccupati.
9. È possibile salvare l’euro con delle riforme?
Messori: La scommessa vincente è completarlo, non smantellarlo. Naturalmente, il vero problema è di discutere quali siano le riforme da attuare. Al riguardo, rifiuto l’espressione “riforme strutturali”.
Pivetti: Non è possibile, perché ciò che si vuole a tutti i costi preservare è proprio la duplice assenza in atto: lo svuotamento delle sovranità nazionali in campo economico, non accompagnata dalla costituzione (del resto inimmaginabile in Europa) di un potere politico sovranazionale.
10. Che effetti e costi avrebbe l’uscita dell’Italia dall’eurozona?
Messori: Il fallimento del nostro bilancio pubblico e, di conseguenza, il crollo del settore finanziario nazionale e di quello produttivo. Un drammatico impoverimento della popolazione e il disfacimento del nostro tessuto sociale e istituzionale.
Pivetti: Effetti e costi dipenderebbero dalle forze politiche che gestissero l'uscita - dalle loro idee e programmi, specialmente per quanto riguarda il controllo dei movimenti internazionali di capitali, merci e forze di lavoro. Da questo punto di vista, per quanto riguarda l'Italia è francamente difficile essere ottimisti.
11. In definitiva, è meglio restare o uscire?
Messori: Alla luce delle precedenti risposte, mi sembra pleonastico spiegare perché non ho dubbi sul "rimanere" ed essere parte attiva del processo decisionale europeo.
Pivetti: Se fossi il "despota illuminato" del Paese non avrei la minima esitazione ad uscire, subito dopo aver fatto ogni possibile tentativo per giungere a uno smantellamento consensuale della macchina infernale.
[…] fine di comprendere l’eurozona, i suoi problemi e gli squilibri che la caratterizzano, è necessario fare un salto indietro nel tempo sino agli inizi degli anni ’70, anni […]
…ma una disamina sulla moneta(statonote) fiscale parallela, a circolazione…Nazionale ? e, per infrastrutture& attività strategiche ripristinare una banca di stato, con egida Ministero del Tesoro ? vedi germania(x3), ecc…
Mah, non vorrei essere scortese, ma il professor Messori mi sembra in lieve conflitto di interessi per la sua carica (che non so se ricopre ancora) in Assogestioni. Riguardo ai supporti vantaggi di un’unione monetaria, a parte la questione teorica riguardo alle Aree Valutarie Ottimali, rimanderei a un importante paper di Alesina, che spiega come mai dal secondo dopoguerra in poi il numero delle nazioni è aumentato, invece di diminuire. La ragione, spiega Alesina, è che per potersi integrare efficacemente nell’economia mondiale è necessario che ogni Paese possa preservare uno spazio di manovra che richiede una certa omogeneità al suo interno. Aree con caratteristiche molto differenziate all’interno dello stesso paese, finirebbero inevitabilmente per confliggere, da qui l’incremento davvero notevole nel numero di Stati Sovrani. Concluderei con un’osservazione: l’economia neoclassica avrà tutti i difetti di questo mondo, ma non mi sembra che nella sua visione di fondo affermi che i paesi piccoli siano in qualche modo favoriti, cioè che una buona politica consista nell’accorpare gli Stati in entità sempre più grandi. In ogni caso, trovo il complesso delle affermazioni del professore Messori estremamente deludenti. Parlare di Germania senza mai usare la parola “mercantilismo” mi sembra fuori dal mondo, o più semplicemente, molto sospetto.
Errata corrige: i”paesi piccoli siano in qualche modo SFAVORITI”.