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Recovery e infrastrutture: quello che bisogna sapere

Intendiamoci subito: è ancora una bozza, aggiornata per così dire al “governo Conte II”, ma sappiamo già che il nuovo esecutivo Draghi non rappresenterà una discontinuità radicale. Motivo per il quale abbiamo ragione di credere che la struttura portante del Recovery Plan rimarrà la medesima e che quindi la bozza costituisca già un riferimento affidabile e paradigmatico per il futuro. C’è tempo fino al 30 aprile per redigere e presentare il piano a Bruxelles.

Il terzo capitolo di spesa del NextGeneration Italia o Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) dopo green (68.5 miliardi) e digitalizzazione (45 miliardi) ad oggi è costituito dalle infrastrutture. Il piano chiarisce subito due punti: i target infrastrutturali saranno perseguiti anche mediante le risorse ordinarie di bilancio e altre risorse europee (come il Fondo di Sviluppo e Coesione 2021-2027). In secondo luogo, le riforme procedurali del Dl Semplificazioni varato a luglio avranno un ruolo nello sbloccare i cantieri. Certamente il Dl Semplificazioni ha fornito strumenti utili ma forse è stato ancora troppo timido rispetto al decantato “modello Genova”. Intanto, alla sezione “infrastrutture per una mobilità sostenibile” del Pnrr sono allocati quasi 32 miliardi di euro. Obiettivo: un upgrade delle infrastrutture italiane entro l’inizio del 2027.

Gli obiettivi generali della “missione” sono:

  • In primo luogo, realizzare un sistema infrastrutturale moderno digitalizzato e sostenibile, col passaggio da gomma a ferro;
  • In secondo luogo, rafforzare la coesione territoriale mediante la riduzione dei tempi di percorrenza;
  • Terzo punto, dare priorità alla sicurezza dei viaggiatori mediante l’uso di sistemi di monitoraggio e opere di manutenzione e messa in sicurezza;
  • Infine, lo sviluppo del sistema produttivo attraverso i porti, intercettando i grandi traffici commerciali.

Dei 32 miliardi infatti, 3,68 miliardi saranno convogliati in “intermodalità e logistica integrata”: qui il focus è la crescita dei porti, in particolare del Sud. Per gli scali marittimi è vitale il completamento ferroviario dei valichi alpini come il San Gottardo o il Brennero e dei corridoi TEN-T (Trans-European Networks-Transport): ciò garantirebbe facilità di smistamento delle merci. Intermodalità, inoltre, significa “ultimo miglio” ovvero il collegamento dei porti, ma anche degli aeroporti alle ferrovie.

Un miliardo e 600 milioni corrispondono poi alla voce “messa in sicurezza e monitoraggio digitale di strade, viadotti e ponti”. Sotto la lente di ingrandimento ci sono le autostrade abruzzesi A24 e A25. Ma la sezione più cospicua delle risorse, 26,72 miliardi rientra nel capitolo di spesa “opere ferroviarie per la mobilità e la connessione veloce del Paese”. Dei 32 miliardi a disposizione, il gruppo Ferrovie dello Stato, leader nel settore, aprirà cantieri del valore di 28,3 miliardi. Tramite le partecipate RFI (Rete Ferroviaria Italiana) e Anas (Azienda Nazionale Autonoma delle Strade), infatti, Fs interverrà su strade e ferrovie. Saranno accelerati i contratti di programma di entrambe le società con i quali esse programmano investimenti e cantieri, semplificando anche alcune procedure come il parere VIA (Valutazione Impatto Ambientale). FS ha già costituito una task force per la gestione dei fondi.

Caposaldo del Recovery Plan è sicuramente l’Alta Velocità (e Alta Capacità): l'obiettivo è l’estensione sulla gran parte del territorio nazionale di questo standard tecnologico, colmando il gap tra Nord e Sud. Nel 2018 la Pubblica Amministrazione spendeva infatti per il Sud (34% della popolazione nazionale) solo il 22,5% delle risorse totali.

Si investirà anche sui nodi ferroviari metropolitani e sul TPL (Trasporto Pubblico Locale) tramite nuovi avanzati sistemi come l’ERTMS. Saranno potenziate le tratte Milano – Venezia, Verona – Brennero e Liguria – Alpi (Terzo Valico) al Nord, Roma – Pescara e Roma – Ancona al Centro con l’importante potenziamento della dorsale adriatica e Napoli – Bari, Salerno – Taranto, Salerno – Reggio Calabria e Palermo – Catania – Messina più un piano per le stazioni al Sud.

Le direttrici appaiono quelle corrette anche se la divisione tra AV e velocizzazione lascia perplessi: solo la metà di queste tratte avrà uno standard effettivamente di AV, le altre saranno potenziate ma non al livello delle prime. Inoltre, non è risolta la questione del collo di bottiglia che costituisce lo Stretto di Messina: i treni a lunga percorrenza Sicilia – Centro/Nord Italia dovranno continuare ad essere caricati sui traghetti costituendo una debolezza in termini di tempo, risorse e ambiente? Già, perché il collegamento stabile sullo Stretto sarebbe compatibile con le linee guida ambientaliste del NextGeneration Italia poiché limiterebbe le considerevoli emissioni inquinanti delle imbarcazioni e delle autovetture. Ammesso e non concesso che tale grande opera non possa essere inserita nel Pnrr poiché richiederebbe un allungamento dei tempi impossibile viste le scadenze temporali che dà Bruxelles sui fondi, si potrebbe riprendere l’iter burocratico in separata sede.

L’ammontare delle risorse per le infrastrutture e i trasporti individuato dal precedente governo appare soddisfacente, specie se consideriamo che in altri capitoli di spesa (come in “Rivoluzione verde e transizione ecologica”) sono presenti interventi che potrebbero anche rispondere alla sezione “infrastrutture”. D’altronde, l’acquisto di un mezzo di trasporto ecologico, a qualunque sezione lo si attribuisse, risponde ad ambedue le esigenze: potenziare i trasporti e rispettare l’ambiente.

Le direttrici “politiche” del piano, anche in materia infrastrutturale, che vanno verso la digitalizzazione e la transizione ecologica, oltre ad essere condivise con la UE, costituiscono la giusta rotta. Ad oggi, privilegiare lo sviluppo del sistema ferroviario (il meno inquinante e ancora troppo datato) è corretto. Ma non concentrare abbastanza gli sforzi anche su aeroporti e strade/autostrade sarebbe un errore. Ricordiamo che non esisterebbe la prima industria del Paese, quella del turismo, senza una adeguata rete infrastrutturale. Il comparto turistico registrerebbe numeri ben maggiori con uno sviluppo in qualità dei trasporti. La speranza è in un miglioramento ulteriore della bozza del Pnrr.

Sarebbe ragionevole capire prima cosa fare e come farlo, e solo dopo verificare quante risorse sono necessarie per i progetti in programma. Il dibattito pubblico invece si ferma spesso ad un livello di pochezza intellettuale in cui pare basti individuare una certa quantità di risorse per risolvere un problema. Se non si ha ben chiara la direzione su come spenderli, anche fondi generosi si rivelano inutili.

Inoltre, sarebbe bene non considerare il Recovery Plan come una specie di deus ex machina, buono a risolvere ogni tipo di difficoltà. Se le tempistiche dell’erogazione dei fondi saranno rispettate costituirà certamente un “boost” per l’economia italiana ma l’uscita dalla crisi dipende anche dalla condotta della classe dirigente e da noi cittadini.

Data
17 Marzo 2021
Articolo di
Stefano Guarrera

Stefano Guarrera

TAG
draghi, infrastrutture, recovery

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Stefano Guarrera

Stefano Guarrera

Siciliano e appassionato alle materie umanistiche. Studia Filosofia, grazie a cui punta a comprendere strumenti e metodi per interpretare l'uomo e la società. Ritiene che la scrittura e la comunicazione…

Commenti

  1. Perché il Sud ha un’importanza strategica per l'Italia 13 Luglio 2021 alle 12.15

    […] per i nuovi investimenti, è l’intermodalità: metodologia di trasporto che combina efficacemente mezzi come nave, treno e camion, al fine di […]

    Rispondi
  2. Infrastrutture e globalizzazione: una sfida strategica 5 Giugno 2021 alle 13.39

    […] e cure (come scritto sopra, scuole e ospedali). Posti dunque in quest’ottica, comprendiamo che le infrastrutture siano e debbano essere al servizio di una comunità, permettendone lo sviluppo e promuovendone il […]

    Rispondi

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