Boeri giudica il blocco licenziamenti come un ostacolo, un attrito, all’occupazione giovanile in questi tempi di pandemia, crisi e "chi più ne ha, più ne metta". Per essere concepito come ostacolo rispetto al raggiungimento di qualcosa, si deve aver ben chiaro che cosa sia questo "qualcosa". A ben vedere, il qualcosa in questione è quella posizione di equilibrio di piena occupazione che le leggi naturali dell’economia, se non ostacolate, tenderebbero spontaneamente a realizzare. O almeno così la teoria marginalista, quella della domanda e dell’offerta, per intenderci, ci racconta da anni.
Con questo breve commento vogliamo sottolineare come il concetto di una libera mobilità generazionale nel mercato del lavoro sia un altro figlio legittimo della teoria marginalista.
Iniziamo con il definire il concetto di equilibrio di piena occupazione. Da un lato, questo equilibrio rappresenta il centro di gravità del sistema economico che, abbiamo detto, le leggi naturali dell’economia realizzerebbero in un mondo senza attrito (libera concorrenza, no incertezza e simili). Le suddette leggi, infine, ci guiderebbero precisamente verso un equilibrio di piena occupazione. Che fortuna, pensiamo noi, il centro di gravità di un’economia di mercato è proprio una posizione di piena occupazione!
Ma procediamo. In che senso piena occupazione? Tutti, proprio tutti, lavoriamo? Bambini e anziani e, se riesco, anche il mio cane? Chiaro che no, ci risponde la teoria. Piena occupazione deve essere intesa come una condizione in cui non vi sia ingente e persistente disoccupazione involontaria (gente che vuole lavorare, ma non riesce a trovare accesso al famigerato ‘mercato del lavoro’).
Come ci ricorda Kalecki (1943), tuttavia, un pizzico di disoccupazione fa sempre bene all’economia. La mantiene vivace, competitiva! Veniamo, dunque, a coloro che fanno parte, anche solo in potenza, del mercato del lavoro. Possiamo di nuovo fare una distinzione interna a questo mercato stesso. Da un lato ci sono gli anziani (i senior), dall’altro lato i giovani con il loro ‘capitale umano’ (termine che andrebbe abolito dal lessico globale, a nostro parere).
Ora, dato che sempre più bambini crescono e diventano i giovani potenziali partecipanti del mercato del lavoro e, la natura suggerisce, i seniors a loro volta si avvicinano sempre più all’uscita dal mercato del lavoro, fra queste due correnti, una in entrata e una in uscita, sembrerebbe esserci un equilibrio. Un ciclo naturale e fluido da non ostacolare.
Ma questa idea del ricambio generazionale spontaneo nel mercato del lavoro è un altro derivato della teoria marginalista. L’idea del passaggio di testimone tra generazione e generazione è alla base della nozione della libera mobilità del lavoro in un mercato competitivo. Siamo abituati a pensare la libera mobilità del lavoro auspicata dalla teoria dominante in termini prettamente geografici.
Se non trovo lavoro (o meglio, oggi, se non trovo uno stage) qui forse posso trovarne uno lì (a malapena posso pagarmi l’affitto ma, ahimè, da qualche parte bisogna iniziare). Tuttavia, questa è solo un’accezione della libera mobilità del lavoro. L’altra, e fondamentale per gli autori marginalisti tradizionali, è la libera mobilità del lavoro fra generazioni[1]. Ovvero, la libera mobilità del lavoro si ha quando, fluidamente, la porta di ingresso del mercato del lavoro si apre ai giovani nel momento in cui la porta di uscita si apre per gli anziani-seniors.
Questa manifestazione della libera mobilità non comporta necessariamente un trasferimento fisico da qui a lì. Posso restare qui (o dovermi spostare solo un po’ più in là), perché proprio qui potrò trovare lavoro grazie alla mobilità interna al mercato del lavoro stesso tra giovani e senior. Questa seconda nozione di libera mobilità del lavoro, notare bene, è quella che consente agli autori marginalisti di considerare l’offerta di lavoro come un dato sufficientemente persistente nella determinazione dell’equilibrio di lungo periodo. Ovvero, il ciclo continuo giovani-senior è precisamente ciò che consente alla teoria di mantenere sostanzialmente inalterata la dotazione di forza lavoro di un’economia in un’analisi di lungo periodo, durante il quale inevitabilmente c’è chi nasce e c’è chi muore.
Riconosciuta l’esistenza di questo naturale equilibrio di "compensazione" tra giovani e senior, quali sono le condizioni perché questa libera mobilità del lavoro possa realizzarsi? Come sempre, dobbiamo limitare gli elementi di disturbo che potrebbero ostacolare il funzionamento delle naturali leggi dell’economia. Il mercato del lavoro, come ogni altro mercato, deve essere competitivo e, soprattutto, flessibile (leggere: precarietà, contratti a temo determinato, stage sottopagati se non gratis) per accomodare questa esigenza di competitività.
Se accettiamo tale visione del mondo e delle leggi economiche, ecco che uno rintraccia la genesi teorica delle proposte di Boeri. Da un lato, in tempi di pandemia, dobbiamo aumentare la competitività tramite un aumento della flessibilità in ingresso e in uscita nel mercato del lavoro, dall’altro lato dobbiamo limitare gli attriti che possono ostacolare un ‘recupero’ dell’agognato equilibrio normale di piena occupazione (ovvero, una normalità che non esiste). Ecco, dunque, l’accusa al blocco licenziamenti come la supposta causa dell’attuale - ma di lunga data - esclusione dei giovani dal mercato del lavoro. Così, ci dice Boeri, creiamo attrito, ostacoliamo la libera mobilità del lavoro intesa come continuo ricambio generazionale. I senior (i pochi fortunelli, magari, a contratto indeterminato) al sicuro mentre noi, giovani ambiziosi, ingiustamente a casa e per di più senza la possibilità di poter ‘massimizzare’ l’investimento nel nostro “capitale umano”! Siamo, dunque, noi giovani, a “pagare il prezzo della pandemia”.
Al contrario, vorremmo ricordare a Boeri, quello che stiamo pagando non è il prezzo della pandemia, bensì il frutto stesso delle "salvifiche" ricette per il mercato del lavoro che da anni ci vengono imposte e che, anziché essere riconosciute come velenose, ci vengono oggi, in tempo di crisi e pandemia, riproposte in modo miope come la cura.
[1] Per una definizione esplicita di questo tipo di libera mobilità del lavoro, si veda Clark, J.B. (1908) The Distribution of Wealth.