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Ricardo vs Malthus. Esistono leggi universali in economia?

Nel suo sforzo di assomigliare sempre più a una scienza “dura” come la fisica, alla nascente scienza economica del XIX secolo non restava che trovare la propria Legge della Gravitazione Universale, ovvero un insieme di leggi economiche valide universalmente in ogni luogo e in ogni momento della storia.

Una delle prime formule a rivestire il ruolo di legge generale dell’economia fu la cosiddetta legge di Say, che prende il nome da Jean-Baptiste Say (1767-1832), sintetizzabile nella frase "l'offerta crea la sua domanda". Fu uno dei primi tentativi di formalizzare e universalizzare la teoria della capacità autoregolante del mercato. Secondo questa legge, infatti, ogni crisi economica si risolverebbe autonomamente nei sistemi in cui vige il libero scambio, ogni eccesso di domanda verrebbe bilanciato da un aumento del prezzo che incentiverebbe i produttori a incrementare l’offerta di quel bene fino ad incontrare un equilibrio con la domanda, e viceversa ogni eccesso di offerta provocherebbe un calo dei prezzi che farebbe rapidamente riassorbire il surplus.

A promuovere la necessità per l’economia di formulare leggi di validità universale fu l’inglese David Ricardo (1772-1823), forse il più influente fra i padri fondatori della disciplina dopo Smith. Egli attirò su di sé l’attenzione intervenendo in una disputa riguardante le tariffe doganali sulle importazioni di grano in Gran Bretagna. Ricardo avvertì che il rincaro di tali tariffe avrebbe provocato un crollo delle importazioni che, a sua volta, avrebbe consentito ai proprietari terrieri locali di avere una leva maggiore per esigere pagamenti di rendite più elevate ai contadini fittavoli.

Ricardo si accorse che era possibile generalizzare questo fenomeno in una legge valida indipendentemente dal contesto storico o geografico. La sua teoria della rendita individua, infatti, una correlazione sistematica fra l’ampiezza dello sfruttamento delle terre coltivabili e le rendite esigibili dai proprietari: in breve, più si estende l’utilizzo del terreno, più aumenta la necessità di ricorrere a terreni meno fertili o più lontani rispetto al luogo del consumo. Se si ipotizza che i salari siano sempre costanti e fissati al livello della minima sussistenza (ipotesi, questa, tutt’altro che fantasiosa), la concorrenza fra i capitalisti per lo sfruttamento delle terre migliori consentirebbe ai proprietari di esigere da questi rendite più elevate, creando così un inevitabile conflitto fra il proprietario che incassa queste rendite e il capitalista che vede ridursi sempre più il margine di profitto.

Per Ricardo questo tipo di correlazioni ha carattere di necessità ed è perciò valido universalmente a prescindere da qualsiasi considerazione di tipo culturale, storico o sociale. Egli va così delineando un metodo di ricerca per l’economia politica che predilige un approccio di tipo deduttivo.

Così facendo entrò in conflitto con altri studiosi di economia che concepivano la loro disciplina come una ricerca di tipo fondamentalmente storico, e quindi basata su un metodo perlopiù induttivo. Uno di questi era un altro economista inglese a lui contemporaneo, Thomas Robert Malthus (1766-1834), che criticò il metodo di Ricardo accusandolo di essere troppo semplicistico e di sottovalutare la molteplicità di cause all’opera nella produzione di determinati effetti.

Malthus riteneva che l’economia non potesse essere studiata prescindendo dal contesto, perché "le leggi che regolano i movimenti della società umana", al contrario di quelle fisiche, "sono continuamente modificate dall'intervento umano".

La disputa fra induttivisti, fra cui spiccavano i rappresentanti della Scuola storica tedesca, e deduttivisti, fra cui figuravano – oltre a Ricardo – anche Karl Marx e i primi marginalisti, fu probabilmente la prima grande spaccatura nel pensiero economico, nella quale si riflettevano due interpretazioni inconciliabili sulla natura della disciplina e quindi sul metodo più appropriato per studiarla: i primi promuovevano un approccio di tipo perlopiù empirico-storico, i secondi privilegiavano invece un approccio logico-analitico.

Fu questa divergenza a porre le premesse per la futura separazione della disciplina nelle due grandi e spesso opposte correnti di ricerca della Storia dell’economia e della Scienza economica e ad avviare quel processo di formalizzazione del pensiero economico che condurrà questa disciplina ad allontanarsi dalle altre scienze sociali per emulare sempre più le scienze naturali.


Fonti:

T. Malthus, Principles of Political Economy, Augustus M. Kelley, New York 1986, p. 10

Data
3 Giugno 2020
Articolo di
Matteo Nepi

Matteo Nepi

TAG
malthus, ricardo, say

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Matteo Nepi

Matteo Nepi

Matteo Nepi si è laureato in filosofia con una tesi sul pensiero economico del Novecento. Collabora con il teatro e circolo culturale “Corte dei Miracoli” e partecipa all’organizzazione delle iniziative…

Commenti

  1. Il grosso problema dello Stato minimo con l’economia di mercato - ilSole24ORE 8 Luglio 2020 alle 08.42

    […] dell’allocazione degli investimenti, ma bensì quella che la concorrenza e il mercato sono strumenti imperfetti e sensibili alla società in cui esse si trovano. È perciò compito dello Stato prendersi la […]

    Rispondi

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