Qualche giorno fa il governo Draghi ha deciso di sospendere il cashback, la misura introdotta dal precedente esecutivo poco prima di Natale del 2020. Ciò ha creato molti malumori, soprattutto all’interno della vecchia maggioranza e dei Cinque Stelle, i promotori della misura.
Il cashback era partito l’8 dicembre del 2020 con l’extraCashback di Natale, e poi era ricominciato dal primo gennaio 2021 fino al 30 Giugno, data in cui è stato sospeso definitivamente.
La misura prevedeva il rimborso del 10% delle spese fatte con metodi di pagamento tracciabili in negozi fisici e non online. Esisteva ovviamente un tetto massimo, pari a 150 euro di rimborso ogni semestre e un rimborso massimo di 15 euro a transazione. Inoltre, le transazioni minime da effettuare erano 50. In poche parole, spendendo 1.500 euro (o più) ogni sei mesi con mezzi di pagamento tracciabili, lo Stato avrebbe rimborsato 150 euro all’utente in questione. Era previsto anche il “Super Cashback”, che premiava con 1.500 euro i primi 100mila cittadini con il maggior numero di transazioni.
La misura era stata approvata per vari motivi: il primo è sicuramente quello della lotta all’evasione fiscale, un tema molto importante per l’Italia. il cashback avrebbe incentivato il consumatore ad utilizzare strumenti di pagamento elettronici e quindi tracciabili, utili per far emergere parte dell’economia sommersa.
Un altro motivo è quello di aumentare il numero delle transazioni alternative al contante, soprattutto quelle digitali. Dalla figura sotto si può osservare che dal 2012 al 2020 si è passati da circa il 35% a più del 50% delle transazioni effettuate con le carte di pagamento. Il cashback era una misura che avrebbe incentivato i cittadini a non utilizzare il contante, alimentando un trend già positivo, ma rallentato negli ultimi anni.
Inoltre, il cashback era un incentivo per far aumentare i consumi in Italia. Infatti, dopo varie politiche ostili ai lavoratori, il cashback finalmente andava contro questa logica: difatti aiutava economicamente i consumatori (e quindi i lavoratori), dando indietro il 10% delle loro spese. Certo non avrebbe risolto i problemi dell’economia italiana, ma il passo sembrava quello giusto.
Come detto, il Governo Draghi sembra fare un grosso errore con la sospensione di questa misura che prelude a una sua possibile eliminazione. Il Presidente del Consiglio ha giustificato tale scelta per il fatto che andrebbe ad avvantaggiare chi ha più possibilità di spesa. Quest’idea a primo impatto sembra erronea, visto che l’importo massimo totale che viene considerato ai fini del cashback è pari a 3mila euro l’anno, ovvero di 250 euro al mese: una cifra decisamente bassa e facile da raggiungere anche da chi si ritrova in condizioni di difficoltà economica.
In aggiunta, è ancora difficile affermare che il cashback sia utilizzato maggiormente dai più ricchi, proprio perché ancora non ci sono dati: infatti, la Corte dei Conti ha richiesto al Ministero dell’Economia ulteriori dati per comprendere questo fenomeno: “Allo scopo di acquisire primi elementi di valutazione sulla misura introdotta, sono stati richiesti al Dipartimento del tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze alcuni dati e informazioni.Più specificamente è stato chiesto: l’ammontare in valore assoluto delle transazioni ripartito in classi di valore; la disaggregazione del numero di operazioni per utente ad integrazione di quella già presente nella sezione “I numeri del Cashback” del sito io.italia.it; il numero di esercizi, negozi, ecc. disaggregati per codice Ateco o per raggruppamenti di attività e il relativo numero di operazioni complessivamente effettuate. Una ulteriore richiesta ha riguardato la distribuzione su base regionale dei medesimi raggruppamenti.”
Nello stesso report viene detto che sembra difficile raccogliere dei dati per valutare l’effetto del cashback. Quindi, la domanda che sorge spontanea è: per quale motivo si è deciso di sospenderlo, senza avere neanche dei dati?
Dire che probabilmente il cashback è utilizzato in prevalenza da persone ricche e che già utilizzavano i metodi di pagamento elettronici senza avere dei dati non è corretto. Inoltre, se fosse così, bisognerebbe cercare di far accedere a questo servizio anche chi ha meno disponibilità economiche o chi non utilizza frequentemente questi metodi di pagamento: insomma non cancellare, ma migliorare.
La misura, inoltre, era stata pensata come incentivo ai consumi in una fase di compressione della domanda. Nonostante ciò, il governo ha deciso di rimuoverla senza che si sia ancora verificata una ripresa effettiva dei consumi. Se poi il cashback non influenzasse né le abitudini di acquisto né i metodi di pagamento degli utenti, c’è da dire che potrebbe lo stesso incentivare a comprare in negozio invece che online: questo potrebbe comunque far emergere l’evasione fiscale e potrebbe aiutare i negozi, visto che la pandemia ha fatto aumentare gli acquisti online.
Si è anche detto che il cashback è una misura molto costosa. Su una spesa pubblica prevista di 773 miliardi di euro nel 2021 e di 759 nel 2022, il Cashback costava 4,7 miliardi nel biennio, ovvero lo 0,3%. Non è neanche da escludere che il maggior gettito creato sia maggiore della spesa iniziale.
La scelta di Draghi sembra poi contraria alle sue affermazioni, visto che aveva risposto alla proposta di aumento delle aliquote dell’imposta di successione avanzata dal segretario del PD Enrico Letta “non è il momento di prendere i soldi ma darli”. Giusto, ma togliere il Cashback vuol dire esattamente non dare soldi.
Non si capisce poi perché il Governo sia contrario ad una redistribuzione dei redditi tramite un’imposta, anche molto timida, sulle successioni. Ma quando c’è una misura che incentiva i consumi si decide di eliminarla apparentemente perché non è redistributiva.
Una soluzione migliore sarebbe fare delle politiche redistributive a monte, andando a toccare salari e fisco: facendo aumentare gli occupati, istituendo un salario minimo ed eliminando alcune forme di contratti atipici. In aggiunta si potrebbero rafforzare delle imposte sul patrimonio, come quella di successione proposta dal ForumDD o dal PD, rendere più progressiva l’IRPEF e così via.
L’obiettivo degli incentivi e in generale dei servizi non è quello di redistribuire. E non si capisce perché la critica della regressività viene fatta solo su un incentivo all’emersione dell’evasione fiscale, senza neanche avere dati a supporto.
Il fatto è che alcuni dati parziali già esistevano e avevano anche fatto emergere dei risultati positivi: il primo è che gli utenti registrati all’apposita app per il cashback, ovvero l’app Io, dai 4,9 milioni di utenti precedenti all’avvento del Cashback, a gennaio del 2021 erano diventati quasi il doppio, ovvero 9 milioni.
Sempre osservando i dati dell’App Io, è possibile dire che fino ad oggi quasi 9 milioni di utenti hanno aderito al cashback, con la moda dell’importo delle transazioni corrispondente alla fascia 25-50 euro. L'App Io poi è risultata importante nelle ultime settimane proprio per il ricevimento del Green Pass per chi ha deciso di vaccinarsi e in generale per utilizzare altri servizi della Pubblica Amministrazione.
La speranza è che il Governo cambi idea su questo strumento. Era una delle prime volte in Italia che si usavano i cosiddetti “nudge”, diventati celebri nel campo economico dopo l’assegnazione del premio Nobel per l’economia a Thaler nel 2017 per le sue ricerche sull’economia comportamentale. La soluzione migliore sarebbe quella di aspettare un anno per poter avere dei dati utili, per poi correggere qualsiasi malfunzionamento.