I fondi dall’Europa a prestito con tassi d’interesse dei più disparati sono già un problema, perché sono contrari alla logica della perequazione interna all’eurozona e dell’investimento strutturale, ma seguono una logica - per così dire - economicistica.
Quello che davvero non si può sentire sono i fondi in cambio di “riforme”.
Non si capisce perché, mentre la Corte Costituzionale tedesca dichiara che qualunque manovra non ordoliberale sia contraria alla loro Costituzione, noi dovremmo barattare ulteriori pezzi della nostra democrazia e del nostro assetto istituzionale per coprire i deficit di bilancio da emergenza. Mi spiego meglio: i soldi in cambio di soldi sono un conto, ma i soldi in cambio di potere sono un altro.
Non è una questione da poco: dagli anni ‘90 in Italia abbiamo già svenduto industrie pubbliche e privatizzato beni comuni, abbiamo già accettato con l’euro meccanismi di svalutazione del lavoro, abbiamo già tentato (per fortuna fallendo) enne riforme costituzionali in senso presidenziale e di accentramento del potere, abbiamo azzoppato i partiti, abbiamo indebolito i corpi intermedi, abbiamo accettato (noi!) le assurde regole di Maastricht che (quelle sì!) sono in contrasto con la nostra Costituzione e per la precisione con l’articolo 3 e forse non solo.
Abbiamo persino, più realisti del re, inserito il pareggio di bilancio in Costituzione per dare una parvenza di coerenza a tutta questa architettura di inasprimento delle diseguaglianze e di cosiddetta “austerità espansiva” e tutto per cosa? Per inseguire una convergenza probabile come quella tra Lombardia e Calabria, per usare una metafora.
Quindi va bene tutto, va bene il Recovery Fund, va bene il Mes senza condizionalità (ammesso che esista), va bene qualunque forma di fondo su cui discutere anche le modalità (che secondo me non dovrebbero esistere) di restituzione, ma le riforme no, le riforme in cambio di soldi sono inaccettabili perché la nostra democrazia - già malconcia - non si può svendere ulteriormente.
Il fatto che ciclicamente torni questo dibattito in fondo lascia emergere una sola grande verità: quelli che dicono “non esistono pasti gratis” vengono puntualmente smentiti dal fatto che chiedere riforme in cambio di finanziamenti significa usare una logica di controllo politico e non di ritorno economico. Dunque, una logica che nulla ha a che fare con il gratis o non gratis (cioè il fatto di “rientrare” dal prestito) ma tutto con l’egemonia, i sistemi di valori, i sistemi politici.
Diciamo che se ci mettessimo del nostro e avessimo un serio piano di rilancio del paese, approfittando anche della congiuntura che permette di fare più investimenti pubblici, sarebbe più facile forse cambiare il piano del dibattito anche sui fondi europei. Gli “aiuti” sono un fatto filantropico nel migliore dei casi, gli investimenti sono una cosa da ex potenza industriale. Riflettiamoci.