Il fisco è da sempre una materia scivolosa, ostica, mal interpretata e utilizzata per veicolare messaggi politici. In generale, il mainstream suggerisce la riduzione delle tasse per rilanciare l’economia; la sinistra (storica) propone l’inclusione di tutti i redditi nella base imponibile. Sebbene non nuova, la patrimoniale, come un fiume carsico, riemerge e torna alle cronache della politica e della riflessione economica. Generalmente le imposte patrimoniali sono tributi commisurati al patrimonio complessivo di ciascun contribuente; i soggetti passivi possono essere sia le persone fisiche e sia le società, così come possono essere ordinarie o straordinarie.
Sebbene i più la considerino più vicina alla sinistra, in realtà non ha proprio un colore politico. Infatti, Cosciani (1963) [1] richiamava proprio alcune delle principali deviazioni dell’attuale modello impositivo. Non solo prevedeva una radicale semplificazione del sistema di imposte preesistente fondato su “cedolari secche” (ricorda qualcosa rispetto alle nostre cedolari secche?), ma ad esse doveva aggiungersi una forma di imposta patrimoniale destinata ai Comuni per realizzare la discriminazione qualitativa.
Come riferimento teorico di chi vorrebbe una patrimoniale possiamo ben citare Piketty, il quale considera inevitabile una patrimoniale per ridurre la polarizzazione del reddito e per contrastare la continua crescita dei redditi dell’ultimo decile. Per i valori pari a 2 volte la ricchezza media si dovrebbe applicare una aliquota dell’1% sul capitale (e del 20% sull’eredità), così come per chi possiede beni da 400.000 a 999.999 euro dovrebbe pagare ogni anno 4.000-9.999 euro, mentre il detentore di 1 milione di euro pagherebbe 20.000 euro l’anno. Buon senso? La finalità è certamente condivisibile, ma metodologicamente manifesta molti (troppi) lati oscuri.
Il primo aspetto è legato al contesto. Riprendendo Visco, è bene ricordare che non si fanno le riforme fiscali con gli emendamenti; al più si potrebbe sostenere un contributo di solidarietà, come fatto per le pensioni, sui grandi patrimoni sopra i 10-20 milioni di euro. Pur nella consapevolezza che serva un equilibrio fiscale per attutire la polarizzazione del reddito, giocare la patrimoniale come misura urgente e necessaria via emendamenti credo sia una fuga dalle proprie responsabilità, ovvero un modo per evitare una discussione seria e profonda circa la necessaria riforma fiscale del Paese e, possibilmente, coordinata a livello europeo che dal 2024 dovrebbe istituire tasse autonome per finanziare il proprio bilancio.
Troppo comodo dare un calcio al pallone e accarezzare istinti (giusti in questo caso) delle persone che più di altre pagano la crisi. Giocare a dadi, scusate la franchezza, sulle potenziali entrate legate all’introduzione della patrimoniale prendendo come "campione" rappresentativo l’indagine di Banca Italia sulla ricchezza delle famiglie, quasi che ci fosse una perfetta congruenza tra i dati di Banca Italia e quelli del Ministero dell’Economia, è, a dir poco, azzardato.
Quello che intendo spiegare è la seguente ovvietà: il Ministero non lavora sui dati di Banca Italia, pur studiandoli con cura e conoscendone i limiti di sottostima, piuttosto sui presupposti e sull'equità verticale e orizzontale dei contribuenti. Infatti, le imposte sono sempre individuali. Non dobbiamo poi dimenticare che per il momento esiste solo un’anagrafe dei conti correnti e dei rapporti patrimoniali, che sono utilizzati solo per analisi di rischio, non per analisi tributarie.
Ciò è ancor più urgente se indaghiamo il livello disomogeneo della tassazione rispetto al “capitale” rispetto ai Paesi considerati e rispetto all’impianto generale del sistema fiscale nazionale. Diversamente la patrimoniale avrebbe effetti “morali” e non economici.
Occorre intervenire sulla ricchezza che nel tempo si è polarizzata, anche per mostrare un minimo di moralità, ma la così detta patrimoniale senza riforma fiscale nazionale, comunque da coordinare con le nuove (potenziali) imposte europee, è una ulteriore sconfitta del sistema fiscale. Inoltre, ricordo a tutti che è nel mercato si affermano certe tendenze, ed è nel mercato che occorre innanzitutto intervenire come il Maestro Atkinson ha insegnato a tutti e financo a Piketty.
Innanzitutto, il sistema fiscale dovrebbe evitare che i redditi siano tassati in modi e forme così diverse. Oggi un reddito di pari livello può subire una imposta pari al 20% e/o al 35%. Qualcosa non funziona. In atri termini, il sistema fiscale dovrebbe, nel suo modo di operare, correggere e/o limitare la polarizzazione del reddito, mentre la così detta patrimoniale dovrebbe essere residuale e coerente con lo sviluppo del sistema fiscale. Quindi bene una patrimoniale, ma non usiamola come clava per affermare un punto politico. C’è poi la questione banale della definizione di capitale.
Facile sostenere che vogliamo tassare il capitale finanziario, ma questo capitale ha una natura significativamente diversa da quello immobiliare: è mobile. Non solo, tecnicamente le persone potrebbero anche far tassare il proprio reddito dove è più conveniente, e non è illegale. Diciamo la verità, la patrimoniale pensata come strumento di giustizia è potente, ma elude proprio la giustizia fiscale e/o contributiva se avulsa da una coerente riforma fiscale.
Personalmente penso a una riforma fiscale a due livelli, se prendiamo per buona l’intenzione europea di introdurre proprie imposte: una sulle transazioni finanziarie e la creazione di una base imponibile omogenea delle multinazionali (fatturato?); una nazionale che recuperi almeno due livelli, cioè restituire all’Irpef la sua natura e affrancare il reddito da lavoro di alcuni compiti introducendo una imposta generale sul valore aggiunto, seguendo i consigli di Vincenzo Visco [2].
C’è inoltre il nodo dell'evasione fiscale che concorre alla polarizzazione del reddito: abbiamo istituito strumenti giusti, ma con una strumentazione che li svuota. Più che indignarci o meno su ricchi e/o poveri, è il caso di asciugare il meccanismo che lo determina.
Note:
[1] P. Bosi e M. Cecilia Guerra, 2017, I tributi dell’economia italiana, Il Mulino
[2] Eliminazione dell’Irap e dei contributi previdenziali (oggi al 33%), e della contribuzione per gli assegni familiari, e istituzione di un fondo per il finanziamento del welfare, finanziato con un prelievo omogeneo su tutti i redditi prodotti, sia da lavoro che da capitale (e quindi neutrale rispetto alle scelte tra lavoro e capitale delle imprese),a parità di gettito, con un’aliquota intorno al 15% e quindi con una fortissima riduzione del costo del lavoro e aumento della competitività a livello internazionale.
Concordo sul concetto che la patrimoniale non si può istituire con un emendamento, ma occorre una riforma complessiva del sistema fiscale rivedendo tutto: Irpef, Iva e tutta l’imposizione indiretta, la riforma del catasto, il sistema delle detrazioni e deduzioni,etc. Ma per fare questo occorre aprire un dibattito forte nel Paese, non come adesso che le tasse si possono nominare solo per essere abbassate! La proposta di Piketty, comunque è molto articolata, non si limita a fissare semplicemente una aliquota di prelievo parametrandola a determinate soglie di ricchezza. Thomas Piketty giustamente dice che la precondizione per istituire una imposta patrimoniale omnicomprensiva (che inglobi ogni forma di asset sia immobiliari sia finanziari) è la Istituzione di un Catasto finanziario internazionale che richiede la collaborazione e lo scambio di informazioni a livello internazionale coinvolgendo anche i paradisi fiscali. In mancanza di una collaborazione internazionale, nel contesto attuale di totale libertà di movimento dei capitali, la patrimoniale verrebbe vanificata anche perchè la maggior parte della ricchezza è allocata in asset finanziari. Si potrebbe procedere ad istituirla almeno per macroaree (come la EU),ma occorre una forte volontà politica per realizzare tanto. Il lavoro di analisi storica di Piketty dimostra senza ombra di dubbio che, fino agli anni 80′, il livello di polarizzazione della ricchezza era molto più basso rispetto ad oggi proprio perchè le patrimoniali, le tasse di successione, e le aliquote marginali sul reddito erano molto alte e progressive (negli Usa, fino all’avvento di Reagan, l’imposta marginale sul reddito arrivava a livelli dell’80%, idem per le tasse di successione). Con il cambio di paradigma iniziato con il Reagan/Thactherismo, ed il crollo del Comunismo (che faceva da contrappeso dialettico al liberismo), è iniziata la globalizzazione finanziaria che ha inaugurato l’era della demonizzazione delle tasse e della progressività in un’ottica di ritiro dello Stato da ogni ambito, anche dal Welfare. Occorre un nuovo cambio di paradigma, la sinistra (tutta) dovrebbe superare il tabù della progressività fiscale, e porre la riduzione delle disuguaglianze e la equità sociale al centro dell’agenda politica. La mia impressione è che, almeno da un ventennio, la Sinistra ha completamente abbandonato le tematiche economiche declinate in chiave di equità sociale, riduzione delle diseguaglianze economiche e redistribuzione, e le abbia sostituite con i diritti civili: i diritti dei gay e delle minoranze, degli immigrati,etc,etc.