Continua la serie di articoli di Giuseppe Vandai sugli eventi degli ultimi mesi in Germania.
Rispetto all’Unione europea che è accaduto in Germania? La crisi del covid-19 è stata un’ottima cartina di tornasole per fare emergere gli umori e i sentimenti che convivono nel Paese. Ognuno ha reagito da pari suo. Quel poco di sinistra che rimane nel Paese – ovvero gran parte dei Verdi, una parte della SPD e la Linke – ha solidarizzato con i Paesi inizialmente più colpiti dalla pandemia, in primo luogo con l’Italia e la Spagna; hanno subito percepito il disastro umano e la sostanziale défaillance europea. Questo li ha portati a sostenere la richiesta di emissione di eurobond, cioè di titoli a copertura comunitaria. Alcuni si spingevano anche a chiedere di fare passi in avanti per istituire un ben più robusto bilancio comunitario. In queste aree della politica e dell’opinione pubblica è prevalsa la parola d’ordine della solidarietà, anche se mai o debolmente accompagnata da una percezione dei disastri provocati dal neo-mercantilismo del proprio Paese.
Sul lato opposto, permane forte la diffidenza e la rabbia nei confronti della BCE e dei Paesi meridionali che sarebbero rei di aver abbattuto le regole auree del risparmio, portando i tassi d’interesse a zero. Questo sentimento è ampiamente diffuso in tutti gli strati sociali del Paese, fa dubitare delle istituzioni europee e crea consenso ai partiti conservatori (CDU/CSU e FDP) o reazionari (AfD) e condiziona le scelte europee della signora Merkel. Non a caso essa ha sempre mantenuto il veto sugli eurobond, in qualsiasi forma essi vengano presentati.
Negli ambienti economici, tra gli economisti, nella parte più rigida dello schieramento conservatore e persino in parte dell’SPD permane la grande voglia di vedere la Troika in azione in Italia. Si vuole che il nostro Paese ristrutturi il debito pubblico, comprima ulteriormente i salari e ‘venga salvato’, ovvero vincolato, con denaro europeo, per rimanere nell’eurozona e a perdere del tutto la sovranità economica.
A rendere più cauto il governo, e con esso tutta la CDU ed il gruppo dirigente della SPD, è però la chiara percezione che se prevalesse la posizione dei rigoristi, tirando troppo la corda, si preparerebbe proprio l’Italexit. Questo scenario andrebbe invece evitato ad ogni costo, perché – così pensa la squadra di governo – alla lunga porrebbe fine proprio al modello di sviluppo trainato dall’export che la Germania ha scelto come propria strategia economica di lungo periodo.
Così si spiega l’atteggiamento della Merkel, sempre assai prudente e attendista. È infatti sua abitudine lasciare che tutte le posizioni nella politica e nella società civile si esprimano, osservarle e soppesarle con cura, vedere come si comporta il partner francese, per poi decidere, contemperando tattica e strategia.
Allora possiamo capire come e perché abbia accolto la proposta francese del Recovery Fund, che dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – immettere crediti agevolati e sovvenzioni comunitarie nelle economie europee per uscire dalla recessione in atto. Ancora non si è ben capito quanto pesi l’aspetto propagandistico e quanto l’aspetto sostanziale del Ricovery Fund; rimane però il fatto che questa mossa ha messo la sordina alle richieste dei rigoristi.
In nessun caso dobbiamo però credere che sia in atto un ripensamento del modello neo-mercantilistico tedesco. Sia i Trattati europei, che le istituzioni europee, che la mentalità della classe dirigente tedesca sono tarati in modo tale che l’Unione europea sia e debba rimanere un efficiente mercato unico ed un’arena liberista per la competizione tra le nazioni che la compongono; una competizione tra sistemi economici, tra apparati amministrativi e sistemi giuridici.
Scrivere “arena liberista per la competizione tra le nazioni” suona strano; ripugnerebbe a qualsiasi testo sacro liberal-liberista. Eppure così stanno le cose: in Germania i liberisti sono anche neo-mercantilisti. E, si sa, su questo campo di gioco la Germania è sicura di risultare egemone e di proseguire la sua crescita lenta ma continua, trainata dall’export.
E nulla sembra capace di rimescolare il quadro politico. Sussiste infatti un consenso inossidabile tra CDU/CSU, FDP, SPD, Verdi, sindacati e organizzazioni industriali, condiviso anche nei mezzi di comunicazione di massa, da quasi tutti i giornalisti, su un modello neo-corporativo altamente concorrenziale, mitigato da una vena sociale ed ecologica; un modello di armonia sociale fattiva che si aggiorna continuamente, come una sorta di bismarckismo non-autoritario e aperto al nuovo.
Ciò permette anche che questi quattro partiti possano in ogni momento formare coalizioni governative, sì complicate, ma sempre pragmatiche ed efficienti. Per di più, da anni è sicuro che la CDU non solo ne farà parte, ma anche ne sarà la guida. La socialdemocrazia ha perso qualsiasi volontà o capacità di configurare un’alternativa, a differenza di quanto seppe fare negli anni sessanta e settanta. Ormai la SPD è diventata un’appendice utile al sistema, al capitale e alla CDU, partito che incarna veramente lo spirito della nazione.
Gli attuali sondaggi danno la CDU/CSU al 39% dei consensi, mentre i Verdi si attestano attorno al 17%, la SPD al 15%, la AfD al 9%, la Linke all’8%, la FDP al 6%. Il blocco conservatore è abbondantemente egemone, la posizione della CDU è ottima. Che cosa potrebbe andare storto alle prossime elezioni, previste per l’autunno del 2021?