La settimana scorsa, in una nuova circolare indirizzata ai prefetti, la ministra dell’interno Lamorgese ha rinnovato il suo invito a tenere alta la guardia in vista di possibili tensioni che potrebbero manifestarsi al crescere del malessere sociale. Nella circolare si legge che il disagio causato dall’emergenza sanitaria potrebbe contribuire ad alimentare lo sviluppo di “focolai di natura estremistica” e determinare una “disgregazione del tessuto sociale”. Per questa ragione, è stato chiesto ai prefetti di rafforzare le azioni di intelligence allo scopo di monitorare i possibili rischi per la sicurezza e l’ordine pubblico.
In altre parole, la ministra teme che il malessere percepito dalle fasce più disagiate possa degenerare in proteste o manifestazioni di altro tipo, e arriva persino a considerare questi fenomeni come dei “focolai di natura estremistica”. Dunque, chi protesta perché ha fame è un estremista e il governo risponde col bastone.
Lasciando stare questa retorica che mira ad etichettare come nemico sociale chiunque protesti o manifesti una condizione di malessere personale, bisogna dire che nell’ultimo periodo la tensione è sicuramente aumentata e, in generale, si percepisce un forte senso di incertezza. Un’ampia fetta della popolazione (specie al Meridione) vive di lavoro occasionale e da quando è scoppiata l’emergenza sanitaria non percepisce più un’entrata.
Molte persone che prima del lockdown avevano un’occupazione molto probabilmente non ritroveranno più il loro posto di lavoro. Infine, ci sono le partite IVA che dovranno accontentarsi di un bonus da 600 euro, che sarebbe dovuto arrivare entro il 15 aprile ma che nella migliore delle ipotesi arriverà soltanto la prossima settimana. Insomma, di fronte ad uno scenario di questo genere, una degenerazione del disagio sociale è quanto mai probabile e le preoccupazioni da parte della politica racchiudono l’implicita consapevolezza di non aver fatto abbastanza.
Eppure, a questo punto ci si potrebbe chiedere come sia possibile che a fronte dei numerosi provvedimenti annunciati dal governo, ci sia tutta questa preoccupazione. Lo stesso presidente Conte, sia in conferenza stampa che sui suoi canali ufficiali, ha annunciato di aver mobilitato una “potenza di fuoco” da 750 miliardi (che certamente rappresenta una cifra rassicurante). Quindi, stando agli annunci, queste preoccupazioni potrebbero sembrare incomprensibili.
Per capire i timori della politica occorre indagare sulla cifra annunciata dal governo, quindi bisogna chiedersi quanti di questi soldi andranno direttamente alle imprese oppure ai lavoratori. La risposta è: zero.
I famosi 750 miliardi sbandierati in conferenza stampa sono garanzie a sostegno di prestiti che le banche dovrebbero erogare alle imprese e su cui le stesse imprese dovranno pagare interessi e commissioni. Tuttavia, al di là della propaganda politica, la stessa efficacia di questa misura è alquanto discutibile dato che in un momento come questo, in cui imprese e commercianti hanno abbassato da tempo le proprie saracinesche, è difficile comprendere quale sia l’utilità di questi prestiti.
Per di più, considerate le pessime previsioni economiche (soltanto per il 2020 si stimano 470 miliardi di perdite) è probabile che le imprese non abbiano alcun incentivo ad indebitarsi e, nel caso opposto (ipotizzando che la manovra abbia successo), molte piccole attività potrebbero avere difficoltà a sostenere il pagamento del loro debito. In altre parole, la misura proposta dal governo potrebbe avere un senso in presenza di un significativo sostegno alla domanda. Allora ci sarebbe una prospettiva per le imprese, ma allo stato attuale questa ipotesi non sembra rientrare nei piani del governo.
Per quanto riguarda i lavoratori invece, lo scenario è ancora più drammatico. Tolti i 10 miliardi stanziati con il decreto di marzo (il “Cura Italia”), e distribuiti tra cassa integrazione e bonus una-tantum, ad oggi non c’è nulla sul loro piatto.
Insomma, appare evidente che la potenza di fuoco di cui parlava il presidente Conte è la potenza di un fuoco di paglia e vista la reazione del Viminale viene spontaneo pensare ad una famosa frase attribuita alla regina Maria Antonietta. “Se non hanno pane che mangino brioche”, disse la regina rivolgendosi al popolo affamato.
Per gli italiani non ci sono brioche. Solo garanzie sui prestiti.