A partire dalle recenti crisi finanziarie, la parola "riforma" è entrata nel lessico comune quale immagine evocativa di austerità e malessere economico, specialmente per le classi lavoratrici e una parte del ceto medio. Ma a cosa si riferisce esattamente questo termine?
La riforma (neo)liberista è uno strumento funzionale a promuovere un ordine economico che vede nell’accumulazione del capitale, nella ricerca del profitto e nella trasformazione sociale alcuni dei suoi valori fondanti.
Le riforme (neo)liberiste hanno lo scopo di agganciare sempre di più gli Stati nazionali a un paniere di regole mirato a permettere una maggiore fluidità del capitale, nonché a semplificare la trasformazione della struttura sociale per facilitare il processo di accumulazione. Tali regole permettono al capitale straniero di trovare le stesse norme di impiego, sfruttamento e investimento presenti in patria, cioè nello Stato egemone che domina e controlla in un determinato periodo storico il mercato internazionale.
Di fatto, si tratta dell’armonizzazione dei vari sistemi normativi con quello della potenza egemone britannica nel XIX secolo, e successivamente statunitense nel XX (ma anche tedesca nell’area dell’Unione Europea), all’interno dello spazio legislativo del mercato capitalista. Allo stesso tempo, viene permesso al capitale nazionale di trovare uno sbocco all’esterno e maggiori campi di impiego in settori a più alto rendimento.
Riformare per dominare
Le riforme ispirate al modello (neo)liberista sono, ieri come oggi, un fattore importante nell’evoluzione economica e sociale dell’economia mondiale. Esse vengono generalmente promosse in una duplice direzione:
- diplomatico-istituzionale, cioè attraverso l’azione diretta dello Stato capitalista,
- attraverso i legami transnazionali tra le varie élite finanziarie.
Tuttavia, queste due forze spesso si muovo in tandem nell’influenzare, promuovere e incoraggiare le varie riforme capitaliste nel campo della finanza pubblica (condanna della spesa in deficit e piano di ammortamento del debito), della politica monetaria (moneta stabile, forte e integrata nei circuiti internazionali), istituzionale (facilitare la privatizzazione e la liberalizzazione) e sociale (riducendo ad esempio i diritti sul lavoro).
La riforma (neo)liberista, così, innesta un processo trasformativo messo in atto dalle forze economiche (di Stato o di classe) per piegare le economie “più capitalisticamente deboli” alle regole di accumulazione proprie delle economie più forti, ovvero che dominano il mercato e ne impongono le regole di ingaggio. In particolare, con il processo di riforma (neo)liberista, si intendono quei fenomeni di trasformazione promossi dal paese capitalisticamente egemone, con la connivenza delle élite economiche e finanziarie dei paesi “deboli”, funzionali alla riproduzione dell’ordine sociale capitalista esistente a vantaggio della massimizzazione del processo di accumulazione del capitale.
Una nuova chiave di lettura
Il modello teorico che ho proposto nelle mie analisi, in particolare in "Riformare i vinti" (Guerini e associati, 2022), vuole definire e dare corpo ad una pratica fino ad oggi poco esplicitata in termini di coscienza collettiva. La riforma (neo)liberista è uno strumento di trasformazione che mira ad aumentare la profittabilità del capitale, ponendo tale obiettivo come prioritario nella scala di valori della società. Essa può essere identificato come strumento non violento, per quanto non meno coercitivo, capace di aprire le porte del mondo, o almeno una parte di esso, al dominio economico e finanziario della potenza capitalisticamente egemone e alle sue “associate”.
Rimane però ancora indefinita l’origine del modello economico a cui si ispirano queste riforme. Di fatto, si tratta di diffondere all’estero il sistema economico di riferimento della classe sociale che ha preso il potere nell’Inghilterra del XIX secolo e negli Stati Uniti nel XX – e a cascata presso tutti gli altri paesi a capitalismo avanzato come la Germania nell’area dell’Unione europea. Stiamo parlando della classe alto-borghese di estrazione (neo)liberista, che perora un modello di economia capitalista ispirato al libero commercio e al libero scambio, alla stabilità monetaria e all’ordine di bilancio, cioè ad un modus operandi dell’economia che promuove determinati interessi materiali.
Per analizzare l’evoluzione di questa classe sociale all’interno del proprio paese di riferimento ricorriamo alla categoria gramsciana di egemonia. Una volta che la classe borghese prende il potere, essa modella la società sottostante, e quelle che orbitano a distanza di tiro di cannone dalle proprie posizioni militari, secondo un sistema di regole che permette la riproduzione della propria struttura di classe e ne conserva nel futuro una posizione dominante all’interno della società e del mercato.
Non si tratta solo di promuovere l’adozione di un sistema produttivo capitalistico, ovvero di accumulazione di capitale, di riconoscimento della proprietà privata etc., ma di rendere tali strumenti un mezzo che consenta alla classe egemone di trarne il vantaggio maggiore davanti a tutte le altre forze sociali. Questo vuol dire, in sostanza, creare una struttura di interconnessioni sovranazionali capaci di prediligere gli interessi di una determinata classe.
Pertanto, non si seguono più le regole del gioco di estrazione westfaliana vigenti nei rapporti tra stati sovrani, ma quelle impersonali tipiche del flusso di capitali e merci all’interno del mercato. In prima istanza questo processo prende forma e si concretizza firmando accordi di libero scambio che aprono la strada ad una serie di trasformazioni a cascata prima nel settore legato alla manifattura e successivamente a quello finanziario. Si tratta di creare istituzioni, regole e normative propedeutiche a massimizzare il rendimento del capitale in un determinato periodo storico.
Lo Stato capitalista, controllato appunto da una classe capitalista, esporta, attraverso l’azione "pacifica" di una proposta riformista, un modello, un contratto sociale, spesso sotto la retorica della modernizzazione, funzionale alla riproduzione del proprio sistema economico di ispirazione (neo)liberista.
Il liberalismo: complice o vittima?
Il liberalismo rappresenta pertanto la cornice ideologica a cui si rifanno buona parte di suddette trasformazioni. Nonostante il liberalismo sia portatore del principio di auto-determinazione, all’atto pratico deve fare i conti con la natura stessa dello Stato nazione e della sua vocazione all’espansione territoriale.
Qui dobbiamo però rimanere sul filo del discorso. Prima di tutto è doveroso chiarire la connessione tra liberalismo economico e capitalismo. L’assonanza tra liberalismo e capitalismo è spesso scontata, per quanto realmente si collocano in due emisferi distinti. Il problema infatti non è il liberismo in sé, la cui armonia ideologica si confina perfettamente nel mondo teorico, ma l’esigenza pratica dell’accumulazione del capitale. Il capitalismo sfrutta l’ideologia liberista, spesso mistificandone il significato, perché più si addice alle proprie esigenze.
Secondo Ugo Spirito1Ugo Spirito (1896-1976) fu un filosofo italiano. Allievo di Giovanni Gentile, teorizzò una filosofia nota come problematicismo. Passò dalla difesa teorica del corporativismo fascista sotto il regime a idee sempre più collettiviste dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, fino ad approdare a posizioni comuniste. il capitalismo ed il liberismo hanno storicamente e idealmente la stessa origine e lo stesso valore. Senonché lo stesso ideale di libertà si è andato progressivamente definendo come l’ideale della libertà privata, cioè del singolo individuo nel suo preciso campo d’azione particolare, ovvero all’esterno di quell’organismo sociale in cui è definito, e quindi fuori dallo Stato che diventa il mero sorvegliante dei confini delle proprietà individuali.
Il liberalismo non è per forza di cose legato indissolubilmente al capitalismo. Esso è un contenitore di idee che elabora un sistema di valori (teoretico) che si è spesso sposato con l’istituzione (pratica) del capitalismo. Se quindi le idee cardine del liberalismo sono il partner perfetto per il capitalismo, esso però non ne condivide, ad esempio, le pulsioni violente prodighe alla sua applicazione. Il riformismo (neo)liberista si presenta quindi come un paniere ideologico dentro cui si trovano, tra le altre cose, quegli strumenti volti a favorire la definizione, la creazione o il perfezionamento della struttura economica capitalista.
La doppia morale capitalista
A livello pratico, tuttavia, le azioni spesso coercitive perpetrate prima dall’Inghilterra, poi da Stati Uniti e Germania, mostrano l’esistenza di una doppia morale, ovvero la promozione della dottrina liberale e liberista (come distingue bene Benedetto Croce) anche al di là della forza delle convinzioni per arrivare al limite della coercizione.
Il liberalismo viene usato per promuovere gli interessi di un rispetto gruppo sociale e dello Stato territoriale che da essi viene controllato. I paesi “vinti” vengono definiti come unfamiliar, e pertanto soggetti ad essere guidati, presi per mano, verso la necessaria modernizzazione civile, ideologica e anche materiale. È nell’incongruenza tra l’ideologia e la sua azione pratica che dobbiamo trovare le origini della riforma (neo)liberista.
Così, l’azione di queste riforme si muove su un duplice binario: uno verticale e l’altro orizzontale.
Verticalmente con un approccio dall’alto verso il basso: le nuove élite capitalistiche, imbevute di quella dottrina di ispirazione universalistico-razionale, assumono il potere come nuova classe egemone trasformando e piegando la società sottostante alle proprie esigenze di accumulazione di capitale.
Orizzontalmente quando a livello globale le élite dello Stato egemone – o di altri paesi capitalisticamente avanzati – si alleano con la classe emergente nei paesi “vinti” per aumentare la propria forza contrattuale nonché la propria quota di profitto. Al contempo tale azione contribuisce ad aumentare il peso economico delle élite periferiche accrescendone il peso sociale quel tanto da aiutarne l’ascesa politica, o quantomeno la propria influenza su di essa: lo scopo ultimo è quello di accelerare la possibile trasformazione in classe egemone con accesso diretto al potere e al controllo dello Stato. Ne emerge un’interdipendenza tra l’autorità sovrana e le élite.
Controllare lo Stato
Di fatto, la classe alto-borghese può continuare ad esercitare un ruolo egemone nel tempo solo controllando la struttura politica. Per questo lo Stato è un elemento essenziale al mantenimento, alla conservazione e alla riproduzione dell’ordine economico (neo)liberista.
In conclusione, le riforme (neo)liberiste si identificano col tentativo di promuovere istituzioni, norme e stili di comportamento tipici di un ordine economico liberal-capitalistico. È uno strumento di azione dietro cui si celano tornaconti di classe e valori ideologici e politici. La riforma (neo)liberista non è un elemento neutrale, bensì una chiara espressione di determinati e circoscritti interessi.