La visita, lo scorso 10 gennaio, del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi di Maio in Arabia Saudita, dove nella località di Al Ula ha incontrato il proprio omologo e il Principe Ereditario Mohammed bin Salman, è avvenuta in un momento molto favorevole e rappresenta un evento rilevante per l’Italia, purché i suoi seguiti non si limitino ai pur importanti temi economico-commerciali bilaterali, ma anticipino piuttosto un crescente posizionamento geopolitico del nostro Paese nell’area del Golfo e con quegli interlocutori.
1. Una regione in via di ridefinizione
La regione è in movimento per via dei seguenti motivi:
- L’avvio degli “Accordi di Abramo”. Questi inaugurano l’alleanza e la collaborazione, un tempo impensabili, fra Israele e i Paesi del Golfo in chiave anti-iraniana (l’Arabia Saudita comunque opera sottotraccia con Israele almeno da sei o sette anni); avviano una risistemazione dell’area e la ricomposizione dei rapporti all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG); promuovono il rinsaldamento del fronte anti-iraniano dei Paesi della Penisola Araba; impongono una reinterpretazione dello storico rapporto di Riad con gli Stati Uniti, anche alla luce di quella che sarà la politica mediorientale dell’amministrazione Biden.
- La conclusione, almeno formale della rottura saudo-qatarina del 2017. Con la cessazione delle sanzioni a suo tempo imposte al Qatar (normalizzazione certamente gradita, se non addirittura “ispirata”, dall’amministrazione americana), Riad da un lato cerca di eliminare, con un occhio a Washington, un tema contenzioso che rischierebbe di incidere sulla compattezza ricercata con gli “Accordi di Abramo”, dall’altro intende ristabilire la tradizionale e paternalistica primazia sulla Penisola. In questo modo, i sauditi inviano un chiaro messaggio agli spregiudicati Emirati Arabi Uniti (EAU), che hanno approfittato della guerra nello Yemen per ritagliarsi una forte influenza sulla parte meridionale del Paese, dove si sono da tempo risvegliati fermenti autonomistici e indipendentistici volti all'emancipazione come potenza geostrategica regionale dalla “supervisione” di Riad.
- La possibile conclusione del conflitto nello Yemen. A seguito di quanto precede, si può forse intravedere finalmente un percorso per la fine della guerra nello Yemen, come del resto preconizzato da Biden, che ha pure lanciato un importante segnale politico sospendendo temporaneamente la vendita di armi a Riad e togliendo gli houti, pur ammonendoli a non compiere atti contro i diritti umani, dalla lista dei movimenti terroristici in cui li aveva inseriti Trump. L’Arabia Saudita, da tempo logorata da un conflitto che non riesce a vincere, che le causa grandi perdite economiche, lo smacco di subire attacchi sul proprio suolo da una “banda di ribelli” e l’accusa di distruggere inutilmente vite e prezioso patrimonio culturale, si gioverebbe di una soluzione “salvafaccia”, che un’accorta politica americana, e il “superiore motivo” rappresentato dagli “Accordi di Abramo”, potrebbero certamente favorire.
Si tratta naturalmente di una situazione in evoluzione, che proprio in quanto tale va seguita con attenzione, poiché destinata a ridisegnare i rapporti in un’ampia zona del Medio Oriente; ad incidere sulle relazioni dell’area con gli Stati Uniti, ma anche con altre grandi potenze, come Cina e Russia (e qui piacerebbe menzionare anche l’Unione Europea, se questa rappresentasse un attore geopolitico efficace); determinare i futuri destini del generale rapporto con l’Occidente dell’Iran e dei suoi alleati di fatto (Russia in primo luogo); ed influire poi sull’evoluzione del tema nucleare a Teheran.
2. Un'opportunità per l'Italia
L’Italia dovrebbe inserirsi in questo processo di trasformazione principalmente per i seguenti motivi:
- per essere presente, non solo commercialmente, in un’area di grande e crescente importanza strategica, che costituisce un passaggio di straordinaria importanza per i trasporti e l’energia, dove transitavano fino a qualche anno fa circa duemila navi all’anno di proprietà o di bandiera italiana, dove si stanno verificando trasformazioni geopolitiche e logistiche di rilievo, dove si sta affacciando l’ENI alla ricerca di nuove opportunità.
- per migliorare la propria interlocuzione con i Paesi dell’area (soprattutto Arabia Saudita, EAU e Qatar), che sono attivi anche nel Mediterraneo, e segnatamente in Libia, dove l’Italia dovrebbe cercare di recuperare almeno una parte del terreno perduto dopo la caduta di Gheddafi;
- perché anche le relazioni commerciali in aree sensibili non possono veramente crescere se non si appoggiano su una corrispondente presenza geopolitica.
3. Le basi per l'interlocuzione
L’Italia è “amica” dei Paesi del Golfo, benché alcuni di essi operino contro i nostri interessi in Libia. Ma questo non è un problema: la nostra è l’epoca nella quale i membri della comune Unione Europea si fanno guerre indirette e in cui un importante alleato e membro della NATO può comprare missili russi e svolgere un’autonoma politica di potenza. Il nostro Paese non avrebbe quindi difficoltà a intensificare i propri rapporti nella regione del Golfo, a condizione di non limitarli a sporadici contatti intergovernativi, ma piuttosto renderli regolari e frequenti attraverso missioni economiche ed industriali, intese durevoli su energia e difesa, intensificazione delle relazioni culturali, e così via.
Ma v’è di più. L’Italia dispone di una straordinaria leva per consolidare la propria posizione nell’area, la quale consiste nei rapporti storici con lo Yemen (storici non significa antichi: significa dagli anni venti all’immediata vigilia della guerra attualmente in corso nel Paese). Rapporti da rileggere ovviamente nella chiave degli “Accordi di Abramo”, in quella della prossima auspicata pacificazione e ricostruzione dello Yemen, e in quella del nuovo quadro politico yemenita, nel quale gli houti, che controllano e governano gran parte del Paese, continueranno ad avere un ruolo di rilievo. Il nostro Paese, comunque, non partirebbe da zero:
- possiamo avvalerci di un significativo retaggio storico nell’area: fummo infatti il primo Paese in assoluto a riconoscere lo Yemen nel 1926, conferendogli status internazionale per la prima volta nella Storia;
- fino alla Seconda Guerra Mondiale, e successivamente negli anni ‘60-‘90, abbiamo svolto nel Paese importanti interventi infrastrutturali, soprattutto a beneficio del patrimonio architettonico, e importanti interventi di cooperazione, soprattutto nel campo sanitario e in quello archeologico;
- siamo stati gli iniziatori, nel 2009, dell’attenzione internazionale allo Yemen, quando, come presidente del G8, l’Italia fece approvare nel contesto della Dichiarazione dei Ministri degli Esteri di Trieste, un paragrafo che rilevava i rischi per la stabilità dello Yemen, ne riconosceva l’importanza geostrategica, e rivolgeva un appello alla comunità internazionale ad aiutare il Paese;
- fummo tra i protagonisti dell’esercizio internazionale del gruppo “Friends of Yemen”, che contribuimmo a creare nel 2010, entro il quale presiedemmo fra l’altro un sottogruppo per la formulazione di raccomandazioni sulla strutturazione delle forze yemenite di sicurezza;
- svolgemmo, fra il 2005 e il 2013, una serie di programmi di capacity building articolati sulle esigenze strategiche del paese: rafforzamento tecnico e operativo della Guardia Costiera; programma per la gestione amministrativa dei flussi di rifugiati provenienti dal Corno d’Africa; programmi di cooperazione giudiziaria in funzione anti-terrorismo; programma per la valorizzazione della missione archeologica italiana nello Yemen e per la valorizzazione del grande patrimonio culturale del paese;
- guidammo e finanziammo per i quattro quinti, nel primo decennio di questo secolo, un progetto per la tutela della diversità biologica e lo sviluppo sostenibile nell’isola di Soqotra, luogo di grande importanza per l’unicità ecologica e ambientale;
- promuovemmo a Urbino, nell’ottobre del 2013, organizzato da quella Università sotto la guida del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, un convegno che mise a confronto tutte le parti politiche yemenite fra loro e con i principali attori italiani presenti o interessati allo Yemen (la partecipazione dello Yemen fu di vertice, sia da parte governativa, sia da parte delle forze emerse dalla “primavera yemenita”, queste ultime guidate dall’attivista e premio Nobel Tawakkul Karman).
La “ricomparsa” dell’Italia nell’area sarebbe quindi altro che un auspicabile ritorno, e si varrebbe nello Yemen nel grande favore che quel popolo nutre per il nostro Paese, anche nella memoria di grandi personalità che vi hanno agito (tra i tanti, Amedeo Guillet, Pier Paolo Pasolini e il medico Mario Livadiotti). Essendo in buoni rapporti anche con gli altri Paesi del Golfo, potremmo proporre la nostra collaborazione per riprendere e riavviare programmi importanti per il Paese e rientranti nel quadro della tradizione bilaterale antica e recente (sanità, sicurezza costiera, sostegno al patrimonio culturale, politiche ambientali), i quali si varrebbero in tutta probabilità (ovviamente con nostra partecipazione) di finanziamenti provenienti da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per la ricostruzione dello Yemen.
Tale “ricomparsa” dell’Italia in questo scenario sarebbe del resto speculare alla presenza della base militare italiana di Gibuti, significativamente intitolata proprio ad Amedeo Guillet, eroe di guerre in Eritrea nel 1941 e grande ambasciatore d’Italia nello Yemen nella seconda metà degli anni ‘50. Conferirebbe inoltre all’Italia statura di autorevole attore in una zona di alta valenza strategica, e ci permetterebbe di puntare a ricadute favorevoli anche su scenari mediterranei.
4. Conclusione
Ovviamente tutto questo non può essere improvvisato. Ci si deve viceversa preparare con cura e attenzione, tenendo presente che nel mondo in cui viviamo le aree d’interesse non sono da contemplare in termini di più vicine o più lontane: la distanza delle aree strategiche dal nostro Paese si devono misurare in termini geopolitici e nei termini della complessa e globale affermazione dei nostri interessi.
L’auspicio è che alla vista del Ministro Di Maio ad Al Ula facciano seguito azioni concrete e puntuali nel senso sopra descritto.