Lo studioso Giuseppe Vandai analizza gli eventi degli ultimi mesi in Germania, dalla gestione della pandemia alla politica economica.
Tanta carne al fuoco - L’impatto del virus sull’economia tedesca è stato ed è enorme. Si conta che in marzo, aprile e maggio siano rimasti inoperosi, totalmente o parzialmente, in media quasi 7 milioni di lavoratori dipendenti per mese. Ad essi vanno aggiunti quelli indipendenti, di cui non si hanno dati. Sono stati colpiti tutti i settori produttivi. La caduta della produzione è ben più vasta di quella sperimentata nella crisi del 2008/2009, essendo stati coinvolti massicciamente anche settori che allora furono risparmiati, come il commercio al minuto, la gastronomia, il settore degli hotels, dei trasporti, del turismo, dello sport, della ricreazione e della cultura.
La produzione industriale ha avuto, nel momento più basso, un calo di quasi il 40%. L’industria automobilistica, in particolare è crollata di quasi l’ 80%. L’export tedesco si è contratto del 25%, soprattutto per via della pessima performance dell’industria automobilistica e della meccanica. Le previsioni sul PIL sono fosche e fanno temere un calo di circa il 9%, ben più pronunciato di quello del 2009, che fu del 5,6%. La previsione del Comitato di consulenza economica del governo (i cosiddetti cinque saggi) è stata continuamente riveduta in peggio: all’inizio era del 2,8%, ora è stata riveduta al 6,5%, ma pare ancora troppo ottimistica.
Il governo tedesco non è rimasto con le mani in mano. Ha elaborato due pacchetti di intervento economico che paiono ben congegnati, il primo deciso in aprile, il secondo, presentato ai primi di giugno. Vediamoli a grandi linee.
Con il primo pacchetto il governo ha deciso di indebitarsi per circa 160 miliardi per fornire sovvenzioni e sopperire a mancate entrate fiscali. Le voci principali serviranno per queste misure: il pagamento dell’integrazione per il lavoro a tempo ridotto o azzerato, pari al 60% del mancato stipendio per i lavoratori senza figli a carico e al 67% per quanti hanno figli e famiglia a carico; il costo previsto dovrebbe aggirarsi attorno ai 20 miliardi di euro. Per sovvenzioni ai lavoratori indipendenti è stato messo in cantiere un intervento di 7,5 miliardi di euro. Per le piccole imprese sono state previste sovvenzioni per 50 miliardi di euro. Altre voci di intervento a fondo perduto saranno il pagamento da parte dell’Agenzia del lavoro dei contributi sociali mancanti, sconti e procrastinazione degli obblighi fiscali delle imprese. Da ultimo, del pacchetto dei 160 miliardi farà parte la somma delle minori entrate fiscali. Si noti che si tratta in ogni caso di sovvenzioni, cioè di soldi a fondo perduto. Si è provveduto a che il disbrigo delle pratiche fosse e sia veloce e il più possibile sburocratizzato. Giù il cappello!
A queste misure vanno aggiunte, sul fronte delle medie e grandi imprese, le fideiussioni presso le banche commerciali offerte dalla KfW (il corrispondente tedesco della nostra Cassa depositi e prestiti) e i prestiti diretti, sempre della KfW. I tassi d’interesse saranno al massimo dell’ 1,45% per la piccola e media impresa e del 2,12% per le grandi imprese. Il volume creditizio totale previsto è di 800 miliardi di Euro. Tra gli interventi, quello più macroscopico sarà il salvataggio della Lufthansa, con circa 7 miliardi di euro di denaro fresco, così ripartiti: acquisto da parte dello Stato del 20% delle azioni, mediante un aumento di capitale – per circa 1,3 miliardi di Euro –, in più, partecipazione silente per 5,7 miliardi di Euro. A ciò si aggiungeranno crediti per 3 miliardi di euro.
Con il secondo pacchetto, varato ai primi di giugno e non ancora giunto in parlamento, si prevede un intervento totale, tra il 2020 ed il 2021, per 130 miliardi di Euro in sovvenzioni, così distribuito: grosso modo 50 miliardi di euro quest’anno e 80 miliardi l’anno prossimo. Vediamo come si compone.
L’effetto più immediato consiste nella riduzione dell’IVA per il secondo semestre del 2020 dal 19% al 16% per la maggior parte dei beni e dei servizi e dal 7% al 5% per beni essenziali e favoriti. Nell’insieme si stima che questa misura comporterà per le casse dello Stato minori entrate per 20 miliardi di euro, coperte dall’aumento dell’indebitamento pubblico. Il pacchetto prevede inoltre ulteriori sovvenzioni dirette e indirette alle imprese sotto forma di maggiori detrazioni per ammortamenti e per la realizzazione anticipata di investimenti. L’impatto totale dovrebbe essere di 40 miliardi di euro tra il 2020 ed il 2021.
Il governo ha anche avuto cura di sovvenzionare il settore gastronomia, turismo e culturaper circa 28 miliardi di euro nel corso dei due anni. Anche i comuni verranno sovvenzionati, sempre per lo stesso periodo, per circa 15 miliardi di euro per il loro intervento a chi riceve i sussidi sociali e per investimenti. Altri 9 miliardi di euro sono previsti per sovvenzioni alle famiglie, alle scuole materne, a disoccupati cronici. Infine, sarà offerto un bonus per la rottamazione di automobili a benzina e diesel a favore di auto elettriche. Spesa prevista per questa sovvenzione: circa 2 miliardi di euro.
A ciò si aggiunge quello che è stato chiamato Zukunftspaket (pacchetto per il futuro) che prevede sovvenzioni alla ricerca delle imprese e di istituzioni para-universitarie, effettuata sulle energie rinnovabili e alla green economy in generale. Il tutto per circa 17 miliardi di euro. La misura più eclatante è infine un sovvenzionamento per 9 miliardi di euro per fare della Germania il leader mondiale nello sviluppo dell’idrogeno quale fonte di energia, 7 dei quali da investire in Germania, gli altri 2 miliardi in Paesi esteri che saranno futuri fornitori della nuova fonte di energia. Come si vede, il secondo pacchetto è molto orientato sugli investimenti e sul ruolo che il Paese vuole avere in futuro.
Consolidare l’egemonia in Europa - Che avviene, in buona sostanza, sommando i due pacchetti? Un intervento in deficit spending della portata di quasi 220 miliardi di euro, a fronte di 10 anni di contenimento al massimo degli investimenti e di risparmio sulla spesa pubblica. Tant’è che negli ultimi 6 anni l’ indebitamento dello Stato fu veramente azzerato. La politica sparagnina fu compensata ed ammortizzata in Germania dagli enormi surplus commerciali ed ebbe sui partner europei forti effetti depressivi. Come stanno assieme le due cose?
Semplice, la politica tedesca è assai pragmatica e segue la logica della doppia morale. La teoria sacra del Paese è quella degli ordoliberisti che ogni giorno offrono ‘sacrifici umani’ al dio mercato, cantano le lodi del risparmio e dell’inflazione possibilmente a zero. Quando però si mette alle brutte, che fa la classe dirigente tedesca? Rinchiude gli ordoliberisti in una grande arena e li lascia ululare alla luna. Segue, invece, senza dirlo, ricette keynesiane, le uniche che funzionano in certi frangenti. Finita la buriana, libera gli ordoliberisti e li incensa di nuovo. Così fece nel 2008/2009 e negli anni seguenti. Così sta facendo ora.
La differenza sta nel fatto che ha capito quanto la situazione ora sia ancora più grave, che si deve remare forte per mettere le pezze alla congiuntura e recuperare il terreno sugli investimenti. E qui emerge, come sempre, la volontà, anzi l’impulso proveniente dai precordi, ad essere, ovviamente, Weltspitze (la punta di diamante del mondo). Così possiamo leggere nel documento del governo:
Questa crisi provocherà mutamenti radicali, la Germania deve uscirne rafforzata. Affinché ciò avvenga, molti compiti vanno assolti. La Germania – grazie ad un pacchetto congiunturale per il superamento della crisi – renderà più robusta la congiuntura, manterrà i posti di lavoro e scatenerà la sua potenza economica (…) Affinché la Germania esca rafforzata dalla crisi e rimanga sulla via del successo, irrobustirà il suo ruolo di esportatore di tecnologie di punta, soprattutto grazie a investimenti promettenti per il futuro nel settore digitalee in quello delle tecnologie climatiche, rafforzerà il settore sanitario e migliorerà la difesa dalle pandemie. Conscia delle sue responsabilità internazionali la Germania supporterà l’Europa e aiuterà i Paesi più poveri. (grassetto mio, ndt).
Vedi qui.
Stiamo all’Europa. Il messaggio è chiaro: non c'è la minima intenzione di cedere alla cooperazione attiva nell’UE, ad una condivisione equilibrata degli investimenti e ad una loro programmazione europea. Si vuole salvare l’UE per continuare ad avere i surplus del passato. A tal fine l’esistenza dell’euro è decisiva. Abbiamo capito che la classe dirigente tedesca sarà pronta anche a grandi compromessi, bollati dagli ordoliberisti come i più deleteri, pur di conservare una moneta sottovalutata per Berlino. Si vuole, in poche parole, che l’Europa faccia sempre più ‘da corona’ alla potenza economica tedesca, sia il fornitore ampio, e a buon mercato, di prodotti semilavorati per i settori tecnologici più avanzati, fornisca innovazioni, il meglio dei ricercatori, anche buona ricerca, da integrare naturalmente nella macchina produttiva tedesca, che se la vedrà da pari a pari con gli USA e con la Cina.
Un altro indizio che la classe dirigente tedesca intende proseguire sulla rotta seguita negli scorsi vent’anni, facendo trainare la propria crescita dall’export e dai surplus commerciali viene dal fatto che, per sostenere la congiuntura non siano state prese due misure ad alto valore sociale e adatte a rianimare rapidamente il mercato interno: l’aumento del salario minimo e delle sovvenzioni sociali ai disoccupati di lungo corso. Il combinato di questi due fattori avrebbe potuto dare notevoli impulsi e far crescere anche il livello salariale in tutti i settori, dalla grande industria ai lavori precari, ai minijobs. Praticamente nessuno ha avanzato queste richieste. Il consenso nazionale al modello neo-mercantilistico regna sia a destra che a sinistra. Gli stessi sindacati cantano in questo coro unisono.
Basteranno gli interventi della mano pubblica in Germania? Per ammorbidire la caduta congiunturale, pare di sì; ma da qui ad evitare una profonda crisi del modello di produzione tedesco la strada è lunga. Infatti, il settore centrale della strategia del surplus è da sempre quello automobilistico. Ma qui ci si scontra con una crisi strutturale, antecedente l’epidemia. La sovrapproduzione, cronica da anni, ed il passaggio, incerto, o addirittura di breve durata, ai motori elettrici stanno creando troppi problemi non immediatamente risolvibili. Sappiamo che, nell’insieme, la motorizzazione elettrica non ha un bilancio ecologico migliore di quella che brucia idrocarburi.
L’idrogeno invece garantirebbe una ben migliore soluzione, ma le tecnologie ora a disposizione rendono le auto a idrogeno molto care e pesanti; inoltre manca del tutto una rete ben ramificata ed efficiente di stoccaggio e di distribuzione. L’avvio di produzioni di massa potrebbe far scendere i costi, ma non abbastanza per risolvere gli inconvenienti tecnici. Solo nuove tecnologie di produzione dell’idrogeno e di sfruttamento nei motori permetterebbero l’avvio di una vera produzione di massa. Sono urgentemente necessarie delle scoperte, ma queste non si producono con la bacchetta magica. Quindi il futuro prossimo dell’industria automobilistica resta al momento un rebus.