Parafrasando Anatole France: la legge, nella sua maestosa equità, proibisce tanto al ricco quanto al povero di allontanarsi di più di 200 metri dalla propria abitazione. Eppure, la qualità della vita in quarantena resta una questione di classe.
L’articolo 3 della nostra Costituzione riconosce allo Stato il ruolo di garante attivo, non solo formale, dell’uguaglianza: esso è chiamato a intervenire ogni volta che, di fatto, i rapporti tra i suoi cittadini non sono fondati su principi egualitari. Il teatro di questa azione non può che essere la vita pubblica: ma che fine fa l’uguaglianza sostanziale quando, per il bene della collettività stessa, i luoghi del vivere insieme diventano inaccessibili? La sfera individuale non subisce una corrispondente riduzione di spazi. L’emergenza non ci fa riscoprire radici comuni e senso di appartenenza, ma al contrario esaspera le differenze di classe che costituiscono il fulcro del nostro sistema. Il tessuto sociale si frammenta in una miriade di atomi isolati, ma dai diametri differenti.
Ne sono ben consapevoli Fabrizio Barca e Cristiano Gori del Forum Disuguaglianze e Diversità, la cui lista di proposte per affrontare l’emergenza coronavirus parte da un punto non negoziabile: la crisi non deve creare nuove disuguaglianze. Le misure di distanziamento sociale, necessarie a ostacolare la diffusione del contagio, di fatto favoriscono quella della disparità; urge un intervento tempestivo affinché quest’ultima non perduri anche nello scenario post-pandemico.
L’approccio metodologico seguito dai due autori si articola in tre fasi: censimento delle categorie colpite, adattamento degli strumenti di welfare già esistenti alla situazione emergenziale in atto, efficace strategia di comunicazione.
Non resta che inserire le variabili contingenti all’interno del modello. Il criterio da adottare nella mappatura delle diverse esigenze deve essere la relativa “fragilità” dei membri della comunità. “Fragile”, secondo la definizione di Nassim Taleb, è tutto ciò che trae più svantaggi che vantaggi dagli shock casuali: in ordine decrescente, lavoratori saltuari, lavoratori stabili in imprese non resilienti, lavoratori precari, lavoratori stabili in imprese resilienti. È un dato di fatto: non siamo tutti sulla stessa barca. C’è chi la tempesta la affronta in yacht e chi in una barca a remi. Il mantra dell’“andrà tutto bene” suona come una promessa fittizia da spot pubblicitario: compito dello Stato è assicurarsi che andrà per tutti bene.
Secondo Barca e Gori, un intervento mirato appare quanto mai necessario una volta riconosciute le divergenze strutturali di questa crisi rispetto a quella del 2008. Primo, “la crisi si abbatte su attività di servizio che non hanno alcuna possibilità di sopravvivere a settimane o mesi di chiusura o di caduta prevista di domanda”. Secondo, la precarietà è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni e “la caduta di domanda e di attività si può quindi immediatamente trasformare nella perdita del lavoro”. Senza contare che questa nuova emergenza ci sorprende decisamente più poveri: il tasso assoluto di povertà è cresciuto dal 4 al 7%, quello di risparmio dal 7 al 2%.
Nel breve periodo, gli strumenti di tutela sociale sono da considerarsi fissi: la necessità di un’azione tempestiva è più impellente di eventuali giudizi di valore. Quelli individuati sono principalmente il Reddito di cittadinanza e la Nuova assicurazione sociale per l’impiego (Naspi), declinati opportunamente a seconda della categoria in esame. I due autori si fermano qui, perché lo scopo della loro analisi è proprio l’elaborazione di una risposta immediata.
Noi possiamo arrischiarci a fare un piccolo passo oltre, aguzzando lo sguardo verso il lungo periodo in salita che ci aspetta. Tutte le variabili saranno inevitabilmente sottoposte ad aggiustamenti, se non a stravolgimenti in toto: Kevin Sneader e Shubam Singhal, partner della società di investimenti McKinsey, lo hanno definito il “next normal”. Una normalità tutta da ricostruire, dunque; una normalità straordinaria, della quale siamo chiamati a definire la sostanza. “Non potresti desiderare di essere nata in un'epoca migliore di questa, in cui si è perduto tutto”, erano le parole coraggiose di Simone Weil nel 1942. Non aveva previsto il 2020.