Cerca

Articolo

Attualità

MES: l'ideologia del rigore cambia pelle

L’emergenza sanitaria ci ha permesso di scoprire qual è il prezzo da pagare quando si deve fronteggiare una crisi senza l’ausilio degli strumenti di politica economica. Consapevole della propria impotenza, il governo ha dovuto affidare le sue speranze all’Europa. Tuttavia, a distanza di due mesi dall’emergenza, l’unica cosa che il Consiglio Europeo è riuscito a partorire è il “MES senza condizionalità” (che è un po’ com’è la minestra con le verdure frullate, buona per ingannare i bambini). 

Ciononostante, da quel momento (cioè da quando è stato riesumato il Meccanismo Europeo di Stabilità) è iniziato un vero e proprio bombardamento mediatico in favore del MES teso a sminuire le posizioni dei più scettici. Secondo l’opinione più diffusa, dal momento che sono state “eliminate” le famose condizioni, non ci sono più ragioni per rifiutare i soldi messi a disposizione dal Meccanismo Europeo di Stabilità. Dunque, qualsiasi opinione contraria è irrazionale.

Eppure, da questa discussione emerge un particolare importante: i partiti e gli organi di informazione che fino a ieri all’unisono hanno avvelenato il dibattito sul debito pubblico attraverso una sorta di terrorismo psicologico (basta pensare alla famosa quota di debito per nascituro), sono gli stessi che oggi sostengono con forza la necessità di un prestito da parte del MES. Si tratta di un particolare estremamente rilevante. All’improvviso, per i fanatici dell’equilibrio di bilancio l’aumento dello stock di debito pubblico non costituisce più un problema. 

La causa che ha scatenato questo apparente paradosso non ha una natura tecnica. Dunque, lungi dal voler criticare l’impronta “filosofica” del dibattito, occorre precisare che il terreno su cui si sta giocando la partita del MES è quello ideologico.

Come detto, la questione non è tecnica perché, se è vero che l’accesso al MES potrebbe comportare un risparmio in termini di interessi, è altresì vero che questo beneficio potrebbe essere compensato da un costo altrettanto importante. Il debito nei confronti del MES è soggetto al diritto internazionale, dunque può essere considerato come il debito della nazione. In altre parole, è come se la popolazione di un dato territorio avesse un debito nei confronti di un creditore che è esterno a quella popolazione.

Questo significa che, nel caso in cui si dovesse far ricorso ai fondi del MES, l’Italia sarebbe vincolata nei confronti di un’istituzione di diritto internazionale sulla cui governance incidono i paesi membri dell’Unione Europea. Dal momento che il Meccanismo Europeo di Stabilità costituisce lo strumento attraverso cui è possibile alterare i rapporti di forza tra gli Stati dell’unione, l’accesso al MES da parte dell’Italia permetterebbe ai paesi rigoristi di consolidare la loro posizione e di condizionare ulteriormente la politica economica del nostro Paese (in misura maggiore di quanto già accade). Si tratta di un “costo” che sussiste a prescindere dalle condizioni a cui è sottoposto l’accesso al Meccanismo Europeo di Stabilità.

Il motivo per cui i sostenitori del MES non sembrano preoccuparsi delle possibili conseguenze geopolitiche risponde al principio del fine che giustifica i mezzi. In parole povere, per i fanatici dell’equilibrio di bilancio, l’indebitamento nei confronti del MES risulta funzionale alla limitazione dei margini di politica economica dello Stato. 

Qui emerge l’impronta ideologica del dibattito e per capire come si arrivati a questa posizione, occorre volgere lo sguardo alla storia del pensiero economico

Sebbene la generazione passata fosse meno ossessionata dal tema del debito pubblico, da quando si è sviluppato il dibattito su questo argomento (fine ‘600) lo scenario è stato dominato da due grandi filoni di pensiero: quello dei critici (contrari all’emissione di debito pubblico) e quello dei possibilisti (con una posizione più flessibile). 

Il più critico dei critici è stato sicuramente James Buchanan (neoclassico), il quale aveva una visione negativa dello Stato. Egli considerava i politici come persone egoiste spinte unicamente dal loro interesse personale e per questa ragione era contrario a qualsiasi tipo ingerenza pubblica nell’economia. Dal momento che l’emissione di debito rientrava tra gli strumenti che permettevano allo Stato di giocare un ruolo da protagonista, nell’analisi di Buchanan il concetto di debito pubblico assunse un’accezione negativa.

Al di là dell’aspetto ideologico, nelle considerazioni di Buchanan c’erano sicuramente degli elementi di confusione: egli sosteneva l’analogia tra debito pubblico e debito privato e l’equivalenza tra debito esterno (cioè il debito pubblico detenuto all’estero) e debito interno (cioè quello detenuto da entità che fanno parte del territorio nazionale). Si tratta di imprecisioni che riecheggiano ancora oggi. Tuttavia, Buchanan ha riconosciuto l’importanza di un intervento espansivo nei casi di sottoccupazione da implementare attraverso la creazione di moneta (e non attraverso l’emissione di debito pubblico). Questo significa che per Buchanan (che era in linea con le posizioni della nostra epoca) la monetizzazione del deficit non era un tabù.

Si tratta di una filosofia che sicuramente ha influenzato il dibattito contemporaneo. Eppure, alcuni “paletti” del neoclassicismo sono stati smentiti già da prima che la scienza economica nascesse. Lo stesso Jean-François Melon (che era un mercantilista) mostrò una lucidità superiore a quella dei suoi successori. Egli, pur essendo un grande sostenitore del libero mercato, si pronunciò in favore dell’emissione di debito da parte dello Stato asserendo che il debito pubblico non fosse altro che “il debito della mano destra nei confronti della sinistra” (verosimilmente Melon si riferiva al solo debito interno e attraverso questa espressione voleva evidenziare che al debito pubblico corrisponde un credito privato).
Quindi, uno dei più grandi tabù della nostra epoca (quello dell’analogia tra debito pubblico e privato) fu smentito già da prima che la scienza economica nascesse. 

Come anticipato, nonostante alcuni degli aspetti principali della finanza pubblica fossero chiari già da tempo, molte imprecisioni riconducibili al pensiero economico del neoclassicismo risultano ancora egemoni. Si tratta degli stessi argomenti che dominano l’attuale dibattito sul MES. Tuttavia, la retorica sembra essere cambiata. A differenza del 2010, quando le politiche di austerità furono portate avanti sulla base dei cavalli di battaglia del neoclassicismo (come l’equiparazione tra Stato e famiglia o la famosa quota di debito per nascituro), utili a giustificare le manovre restrittive del governo, oggi, negli ambienti ortodossi c’è consapevolezza della necessità di sostenere l’economia attraverso misure espansive. Pur di evitare uno stravolgimento nell’approccio di politica economica, sono stati messi da parte quei cavalli di battaglia che hanno caratterizzato il dibattito nel 2010. Adesso si scopre che lo Stato non è più il “buon padre di famiglia”, dunque può indebitarsi (ma solo nei confronti del MES) e la quota di debito per nascituro è rimasta un vecchio ricordo (per ora!). 

L’impressione è che l’apparente flessibilità dell’establishment sia servita ad indirizzare il dibattito in favore del MES. Infatti, non c’è più traccia di quel terrorismo piscologico che fino a ieri ha avvelenato la discussione sul debito pubblico e che ha contribuito a demonizzare il ruolo dello Stato. All’improvviso, buona parte dell’opinione pubblica ha riscoperto un’incredibile voglia di indebitarsi. Ma solo nei confronti del MES!

Insomma, l’Europa può pure indossare le vesti del buon samaritano, ma la fine sembra già scritta: la flessibilità di oggi sarà pagata domani. 

Perché in Europa niente è regalato.

Data
30 Aprile 2020
Articolo di
Salvatore La Marca

Salvatore La Marca

TAG
europa, mes

Iscriviti
alla newsletter!

Registrandoti confermi di accettare la nostra privacy policy

Salvatore La Marca

Salvatore La Marca

Sicano in ostaggio a Roma, laureato in Scienze Economiche e amante della birra (doppio malto alla Bersani). Nel tempo libero mi dedico alla ricerca della terra promessa.

Commenti

  1. MES, la guida definitiva 16 Novembre 2020 alle 12.17

    […] MES: l’ideologia del rigore cambia pelle – di Salvatore La Marca […]

    Rispondi

Rispondi Cancella

Inserisci il commento
Inserisci il tuo nome
Hai inserito un indirizzo email non valido
Inserisci il tuo indirizzo email

Articoli correlati

Attualità

Yolanda Díaz, chi è il nuovo volto della sinistra spagnola

Un ritratto della ministra del lavoro di Madrid

20 Marzo 2023   |   Thomas Brambilla

Attualità

Contro la riforma delle pensioni, pronti a bloccare tutto

La "nonna" di tutte le proteste infiamma la Francia

13 Marzo 2023   |   Letizia Molinari

Teoria e pensiero economico

Il mercato del lavoro nella teoria di Marx

Una nota teorica sui concetti più rilevanti

28 Dicembre 2022   |   Bernardino Mustone

Analisi

Al mercato del lavoro serve più programmazione, non più flessibilità

Miti e verità della disoccupazione in Italia

28 Dicembre 2022   |   Bernardino Mustone

Attualità

Il Nobel 2022 per l’economia premia un pensiero ripiegato su sé stesso

Il commento di Adam Tooze sul premio di quest'anno

27 Ottobre 2022   |   Adam Tooze

Storia economica

Oltre Maastricht

Lasciando i capitali a briglia sciolta, il mercato interno si spaccherà

26 Ottobre 2022   |   Francesco Giuseppe Laureti, Salvatore Pompei

Storia economica

Durante Maastricht

Come un'ideologia fallimentare ha frantumato l'Europa

23 Ottobre 2022   |   Guglielmo Martinangeli

Storia economica

A Maastricht

Lo spirito del Trattato che ha dato vita all'Unione europea

21 Ottobre 2022   |   Francesco Giuseppe Laureti, Salvatore Pompei

Storia economica

Prima di Maastricht

Dal dopoguerra al dibattito degli anni Ottanta

20 Ottobre 2022   |   Francesco Giuseppe Laureti, Salvatore Pompei

Visualizza più articoli

Rimani in contatto.
Iscriviti alla newsletter!

Registrandoti confermi di accettare la nostra privacy policy

KriticaEconomica
è completamente indipendente
ed autofinanziata.
Sostienici con una donazione.

Codice IBAN: IT18Y0501803200000016759425

Questo sito è stato realizzato con il supporto di YSI - Young Scholars Initiative, una comunità globale di pensatori critici che finanzia iniziative per il pluralismo nell'economia

Kritica Economica è una rivista indipendente creata da un gruppo di universitari, ricercatori e studiosi di varie estrazioni, appassionati di economia e politica economica.

Contatti
info@kriticaeconomica.com

All Content © Kritica Economica 2022
All Rights Reserved

Privacy policy

Facebook Twitter Instagram Youtube Telegram-plane Linkedin-in Envelope
Cerca

Kritica economica

  • Chi siamo
  • La redazione
  • Chi scrive per KE
  • La rete di Kritica Economica
  • I nostri eventi
  • Sostieni il progetto
  • Contattaci
Menu
  • Chi siamo
  • La redazione
  • Chi scrive per KE
  • La rete di Kritica Economica
  • I nostri eventi
  • Sostieni il progetto
  • Contattaci

Articoli

  • Attualità
  • Analisi
  • Teoria e pensiero economico
  • Cultura e società
  • Storia economica
  • Dal mondo
  • Notizie kritiche
Menu
  • Attualità
  • Analisi
  • Teoria e pensiero economico
  • Cultura e società
  • Storia economica
  • Dal mondo
  • Notizie kritiche

Rubriche

  • Letture Kritiche
  • Le interviste di KE
  • Blog
  • Blog esterni
Menu
  • Letture Kritiche
  • Le interviste di KE
  • Blog
  • Blog esterni

Guarda tutti gli eventi >

Iscriviti alla newsletter

Registrandoti confermi di accettare la nostra privacy policy

Facebook Twitter Instagram Youtube Telegram-plane Linkedin-in Envelope