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Lo sdeng di Draghi agli economisti dalla testa dura

In poche righe Mario Draghi ha smontato decenni di balle sul debito pubblico

In poche righe Mario Draghi ha smontato decenni di balle sul debito pubblico. La sera di mercoledì 25 marzo sul Financial Times è stato pubblicato un articolo dell’ex presidente della Banca centrale europea. Il quale essenzialmente dice che in una crisi non c’è da preoccuparsi del debito dello Stato: la priorità è salvare l’economia.

Cerchiamo allora di capire le conseguenze economiche delle dichiarazioni dell’italiano più influente del mondo. Per ora lasciamo ad altri l’analisi delle conseguenze politiche.

Come ha argutamente commentato Mehreen Khan, corrispondente da Bruxelles per il quotidiano londinese, “liberato dalla Banca centrale europea, Mario Draghi non trattiene più i suoi cazzotti”. Ed effettivamente Draghi spazza via con le sue parole anni di propaganda e falsità. Siamo stati abituati a sentire che il debito pubblico è un peso sulle spalle delle future generazioni, che lo Stato deve risparmiare e non può permettersi di spendere troppo, che bisogna tirare la cinghia. Il tutto in un contesto dove l’economia non cresce e ci sono milioni di disoccupati.

Draghi invece afferma che in questa crisi “è già chiaro che la risposta deve coinvolgere un significativo aumento del debito pubblico. La perdita di reddito in cui incorre il settore privato – e ogni debito assunto per rimarginarla – deve alla fine essere assorbito, in tutto o in parte, dal bilancio del governo”.

E così riscopriamo i bilanci settoriali. Debito pubblico è ricchezza (finanziaria) privata, o almeno si traduce in un minor indebitamento del settore privato (imprese, banche e cittadini). Ma non ci avevano raccontato che era un fardello? Ora capiamo finalmente che il problema è il debito privato, non quello pubblico.

L’ex presidente della Bce aggiunge che “livelli molto più alti del debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnate dalla cancellazione del debito privato”.

Non c’è di che preoccuparsi: dato che i tassi di interesse resteranno probabilmente bassi, “tale aumento del debito del governo non ne farà aumentare il costo di servizio”.

Draghi si ricorda bene di essere un allievo di Federico Caffè e ci dice: “I livelli del debito pubblico saranno più alti. Ma l’alternativa – una permanente distruzione della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e in definitiva per il credito del governo”.

Quello che conta, insomma, non è la salute dei conti pubblici, ma la salute dell’economia reale: “è il ruolo vero e proprio dello Stato mettere in campo il suo bilancio per proteggere i cittadini e l’economia contro shock per cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire”.

Draghi apre a un poderoso intervento pubblico, a piani fiscali da tempi di guerra: “la velocità del deterioramento dei bilanci privati (…) deve essere compensata da una pari velocità nel dispiegare i bilanci pubblici, mobilitando le banche”. Si potrebbe pensare: MMT in purezza. O, più semplicemente, pragmatismo keynesiano.

Ma come fare tutto ciò? Draghi chiede solidarietà europea. Che stia parlando di eurobond? O di un’azione più decisa della Bce? Sta di fatto che qualche ora dopo il suo articolo la Bce ha tolto quasi tutti i paletti al programma di acquisti di titoli pubblici. Forse qualcuno a Francoforte ha letto il Financial Times.

Draghi abbraccia in pieno anche la teoria della moneta endogena, smontando la vecchia idea del moltiplicatore dei depositi, ancora adottata in molti corsi di economia. Dice: “le banche (…) possono creare moneta all’istante permettendo scoperti di conto corrente o aprendo linee di credito”. Tradotto: le banche creano moneta dal nulla. Un altro sdeng ad alcuni economisti dalla testa dura.

Per Draghi non c’è dubbio che “la questione non è il se ma il come lo Stato debba mettere il suo bilancio a frutto (…) In primo luogo dobbiamo proteggere le persone dalla perdita del lavoro”. Qualche eco della finanza funzionale di Abba Lerner? (Secondo Lerner l’ampiezza del deficit statale deve essere commisurata alle risorse non utilizzate – e quindi in primis al numero di lavoratori disoccupati).

In ogni caso “un cambiamento della mentalità è tanto necessario in questa crisi quanto lo sarebbe in tempi di guerra”. Basta dogmi.

Insomma, come ha notato il professor Massimo D’Antoni su Twitter, Draghi dimostra di essere qualche spanna al di sopra degli altri euroburocrati di Francoforte e Bruxelles. Ciò non significa che sia un genio. Sono gli altri a essere fuori dalla realtà.

Segui l'autore su Twitter: @bonetti_aless

Data
26 Marzo 2020
Articolo di
Alessandro Bonetti

Alessandro Bonetti

TAG
debito pubblico, europa, governo

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Alessandro Bonetti

Alessandro Bonetti è il fondatore di Kritica Economica. Nella vita studia Economia e Scienze Sociali e scrive come commentatore economico.

Commenti

  1. Draghi: chi è, che cosa ha fatto e cosa potrebbe fare 2 Febbraio 2021 alle 23.40

    […] della crisi Covid, l’ormai ex presidente della Banca centrale europea scrisse un articolo sul Financial Times. Draghi scrisse che in una crisi non bisogna preoccuparsi del debito pubblico, perché la […]

    Rispondi
  2. Renato 5 Aprile 2020 alle 08.12

    Ma cosa contano i tassi di interesse quando per il capitale ti sei ipotecato l’anima, i figli…. Lo vogliamo capire che il debito pubblico è un modo per ipotecare lo Stato? Non ci bastano i segnali dello spread che sale e che scende, come strumento per indirizzare le scelte politiche, al di fuori dei meccanismi di rappresentanza democratica?

    Rispondi
  3. samuele57 27 Marzo 2020 alle 01.40

    Analisi interessante. Molto.

    Rispondi
  4. La fine di questa Europa – Kritica Economica 26 Marzo 2020 alle 20.51

    […] Mario Draghi ha mandato un messaggio di grande forza, aprendo gli occhi all’establishment economico-finanziario internazionale e all’Europa […]

    Rispondi

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