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Le sanzioni alla Russia non servono a niente

Mentre l'Italia perde 3 miliardi l'anno, l'agricoltura russa cresce

Ogni giorno che passa il coronavirus allarga l’impatto sanitario ma anche quello politico. Negli Usa incide sulla campagna elettorale per le presidenziali di novembre, sempre ammesso che lo stesso voto finale non ne sia influenzato. In Russia ha già fatto annullare il referendum sulle riforme costituzionali previsto per il 22 aprile. In Europa provoca divisioni e aspre discussioni tra i Paese dell’Unione. In Cina solleva dubbi sulla leadership di Xi Jinping. In Italia crea polemiche per gli aiuti di Cina e Russia, visti come un potenziale cavallo di Troia per una futura influenza politica.

Della Russia, in particolare, si dice che punti, con la missione a Bergamo dei suoi 130 specialisti militari, a porre le basi per una futura revoca (o allentamento) delle sanzioni imposte dall’Europa dopo i fatti di Ucraina del 2014 (riannessione della Crimea e aiuto agli indipendentisti del Donbass), contando sulla gratitudine dell’Italia. Che in questo caso sarebbe considerata, sia dagli “amici” sia dai “nemici”, il ventre molle della Ue.

La questione delle sanzioni, però, non è così semplice. E lo dimostrano due iniziative di questi giorni. La prima è quella di un gruppo di senatori e rappresentanti del Partito Democratico, con in testa Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, che si sono rivolti al segretario di Stato Mike Pompeo chiedendo, appunto, di alleggerire o abolire le sanzioni in vigore contro i Paesi che ora sono stati colpiti dal virus, Venezuela e Iran in primo luogo. Per ragioni umanitarie, ovviamente. Ma anche politiche. “Permettendo che le nostre sanzioni moltiplichino gli effetti drammatici del coronavirus”, ha scritto il senatore democratico Chris Murphy, “incentiviamo l’antiamericanismo che sta al cuore di entrambi i regimi e quindi li rafforziamo”. 

Pare un ragionamento banale e non lo è. E il caso della Russia, che tanto sembra riguardarci, lo dimostra. Qualunque ragionamento si voglia fare sul tema, la considerazione che per prima s’impone è quella politica: le sanzioni decise dalla Ue, giuste o sbagliate che fossero, non hanno modificato l’orientamento politico della Russia (anzi, nel 2015 il Cremlino ha anche deciso l’intervento militare in Siria) e non hanno nemmeno scalfito il potere di Vladimir Putin e della sua cerchia. Da questo punto di vista, un totale fallimento. Accresciuto da due fatti. Primo: sotto la spinta delle sanzioni, la Russia ha accelerato l’avvicinamento alla Cina, arrivando a stringere rapporti di collaborazione anche in campo militare. Secondo: dal 2014 a oggi, l’Europa non ha sostanzialmente ridotto la propria dipendenza dalle fonti energetiche russe. Anzi, sia pure per il tramite della Germania, ha cercato in ogni modo di garantirsene altre con il gasdotto Nord Stream 2. 

E poi c’è l’aspetto economico. E’ stato calcolato che tra il 2014 e il 2019 i Paesi Ue, per tenere in vita le sanzioni contro la Russia, abbiano rinunciato a circa 50 miliardi di esportazioni. Cifra che impressiona ma che costituisce circa l’1% delle esportazioni Ue verso il resto del mondo. Anche in questo caso, però, le cifre vanno integrate con qualche ragionamento. Uno degli effetti del duello di sanzioni (perché anche la Russia ha messo al bando una vasta gamma di prodotti europei) è stato quello di costringere la Russia a rimodernare il proprio settore agricolo. Cosa che è stata fatta con grande successo, tanto che l’agro-alimentare è salito al secondo posto, dopo l’industria degli armamenti, nel contributo fornito al bilancio dello Stato russo. Da anni, inoltre, la Russia detiene saldamente, davanti agli Usa, il primato mondiale per le esportazioni di grano e cereali ed è andata pure alla conquista di nuovi e lontani mercati in Asia e in Medio Oriente. La Russia ora esporta grano persino in Messico.

Le conseguenze dell’embargo anti-Russia, infine, non si esercitano allo stesso modo su tutti i Paesi Ue. L’Italia è, fuor di ogni dubbio, uno di quelli che ci rimettono di più. Secondo Coldiretti il salasso è di 3 miliardi l’anno solo per il settore agroalimentare. A cui si dovrebbero aggiungere, ovviamente, i mancati introiti della meccanica fine e di tutti i prodotti ascrivibili al cosiddetto italian style, dalla moda all’arredamento.

Il problema con le sanzioni, però, non è tanto il bilancio di questo o quel Paese. La questione vera è la loro totale inefficacia. O per essere più precisi: il fatto che, mentre fanno sempre soffrire le popolazioni, di rado esercitano una qualche influenza sui regimi che vorrebbero colpire. Il bloqueo americano contro Cuba è l’esempio più tipico: più di mezzo secolo di embargo e la dinastia dei Castro è ancora al potere. Allo stesso modo le sanzioni non hanno abbattuto gli ayatollah in Iran né Saddam Hussein in Iraq. E la Russia, sotto sanzioni in pratica da sempre, non sembra intenzionata a cambiare strada.

Data
31 Marzo 2020
Articolo di
Fulvio Scaglione

Fulvio Scaglione

TAG
europa, russia, sanzioni, stati uniti, usa

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Fulvio Scaglione

Fulvio Scaglione è nato nel 1957 ed è giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 è stato vice-direttore del settimanale “Famiglia Cristiana”, di cui nel 2010 ha varato l’edizione…

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