Nel mezzo della campagna elettorale statunitense, Donald Trump è stato in grado di trasformare uno dei peggiori imprevisti possibili in un’occasione per guadagnare consensi. È di circa metà marzo la notizia che il presidente avrebbe contattato un’azienda farmaceutica tedesca per comprare in esclusiva il vaccino contro il Covid-19.
Nonostante il concetto di “esclusiva” per un vaccino sia alquanto lontano dalle logiche etiche personali e da quelle più generali del nostro sistema sanitario, essa è perfettamente in linea con il concetto di sanità presente negli Stati Uniti e del quale Trump si è sempre fatto difensore. Chi ha una maggiore disponibilità a pagare, ottiene i servizi migliori. Considerando lo scenario attuale, anche chi si può permettere di pagare qualsiasi cifra inizia a vedere i limiti di questa logica. Perché ora è diventato evidente che la salute delle altre persone è fondamentale per proteggere la propria.
Ma la discussione in questo caso non si ferma al sistema sanitario del singolo Stato. Guardando più in grande si fa presto a rivolgere l’attenzione alle case farmaceutiche, produttrici di vaccini e altri beni che rappresentano delle enormi opportunità di guadagno.
Il mercato farmaceutico è piuttosto lontano dai modelli di concorrenza perfetta: anni di ricerca e sviluppo, che non sempre portano a dei risultati commercializzabili, rappresentano costi molto elevati e devono spesso essere supportati da tecnologie avanzate e, quindi, molto care. Le aziende di questo settore seguono ovviamente l’ottica del profitto, come è d’altronde normale per una società privata nel sistema attuale. E i risultati sono notevoli: basti pensare che le dieci principali aziende farmaceutiche del mondo hanno complessivamente registrato nel 2018 un fatturato pari a 437,26 miliardi di dollari, che rappresenta il 40% della quota di mercato (fonte: Fedaiisf).
Questo scenario apparentemente idilliaco per le aziende presenta delle prospettive tutt’altro che ottimistiche per i pazienti. Con la produzione oramai in gran parte delocalizzata in paesi con la manodopera a basso costo, in particolare la Cina, e un progressivo consolidamento del settore, nel quale acquisizioni e fusioni sono parte fondamentale delle strategie di crescita, è sensato attendersi un aumento dei prezzi dei farmaci (in linea con l’andamento in salita che questi mostrano nell’ultimo decennio). E l’attuale crisi sanitaria con annessa corsa al vaccino non è che un assaggio di quel che potrebbe accadere se un mercato del genere non venisse adeguatamente regolamentato.
L’affannata ricerca di una cura a questo nuovo male e la necessità di renderla accessibile a tutti hanno evidenziato i limiti di un settore farmaceutico e sanitario regolato dalle semplici logiche del profitto. È possibile regolare un mercato sottraendolo alle dinamiche competitive e garantendo dei criteri etici per la tutela della salute di tutti? I governi possono solo porsi come intermediari tra i cittadini e le aziende farmaceutiche, e i diversi sistemi sanitari nazionali rappresentano varie modalità con cui ciò può essere fatto. Tuttavia la regolamentazione di uno Stato ha natura nazionale o, comunque, non globale, mentre le aziende in questione hanno dimensione multinazionale. La soluzione efficace dovrebbe quindi essere applicata a livello globale e richiederebbe uno sforzo di coordinamento non indifferente.
Di soluzioni alternative non ce ne sono molte. E se da un lato è vero che questo discorso può evocare soluzioni estreme come la nazionalizzazione dell’intera industria, è altrettanto vero che è difficile immaginarsi un’alternativa. Pensare ad aziende multinazionali private che definiscono la loro attività seguendo logiche diverse da quelle del profitto, anche considerando i possibili interventi dei singoli stati, è alquanto improbabile. E allora non resta che riflettere sull’ennesima stortura di un sistema che mette in dubbio il fatto che la protezione da una malattia sia un diritto di tutti.