Prima, durante e dopo il picco del Covid-19 in Italia siamo sempre stati ostaggio degli interessi produttivi e del mercato. Durante il diffondersi del contagio, specie in Lombardia, i rappresentanti degli industriali hanno fatto pressioni sul governo regionale e nazionale affinché non si costituissero zone rosse e chiusure totali nelle zone “più produttive del Paese”.
Bonometti – presidente di Confindustria Lombardia – in un’intervista imputava la diffusione del virus al trasporto bestiame, assicurando che le imprese erano il luogo più sicuro. In realtà, i fatti hanno dimostrato come la Bergamasca sia stata tra le zone più colpite e non certo per lo spostamento di bestiame: +568% di mortalità a marzo 2020 rispetto alla media marzo 2015-2019 (Rapporto ISS-Istat). Per questo la procura di Bergamo ha aperto un’inchiesta sulla mancanza dell’istituzione di una zona rossa.
Con il DPCM del 22 marzo è stata disposta la chiusura totale delle attività non essenziali con il conseguente e prevedibile disappunto degli industriali che, ancora una volta a seguito delle loro pressioni, hanno ottenuto una revisione dei codici settoriali esclusi inizialmente, nonché la possibilità di apertura in deroga con presentazione di autocertificazione.
In un precedente articolo avevamo già discusso quanto questa chiusura, in realtà, sia stata solo parziale: solo il 30,4% dei lavoratori è rimasto effettivamente a casa, mentre il restante 69,6% è risultato attivo durante il periodo di “chiusura totale”.
Tuttavia, per gli “economisti-competenti” si è trattato di un atto delinquente in quanto l’infezione non sta nelle fabbriche: per qualche strana ragione chimica-biologica, il virus sarebbe schermato dai cancelli degli stabilimenti produttivi. A saperlo, avremmo potuto evitare 34.708 decessi, sfruttando questa proprietà chimica posseduta unicamente dai cancelli delle fabbriche.
Gli stessi “economisti-competenti” erano in prima linea a chiedere la più immediata riapertura sostenendo che con il Covid-19 si deve e si può convivere, altrimenti si sviluppa un senso parassitario e di assistenzialismo, salvo quello alle imprese ovviamente. Qualcuno con gli stessi poteri di un medium ha anche detto che ce lo chiedono le stesse vittime di Bergamo.
I fatti recenti dimostrano la totale e prevedibile idiozia dei “competenti” per il mercato e non per l’essere umano. Nel mattatoio di proprietà Toennies nella regione della Westfalia in Germania sono stati riscontrati 1.533 lavoratori positivi al Covid-19, con conseguente nuovo lockdown fino al 30 giugno. Differentemente dall’Italia (dove la possibilità di responsabilità civile dei contagi è stata immediatamente attaccata dalle rappresentanze imprenditoriali), in Germania il ministro del lavoro Hubertus Heil ha pubblicamente dichiarato che si valuterà la presenza di responsabilità civile dell’azienda, nonché provvedimenti normativi per evitare contratti in subappalto e condizioni lavorative prive di sicurezza.
In Italia il focolaio è scoppiato tra i lavoratori della logistica di Bartolini, Dhl e Tnt senza che nessun provvedimento sulla normale operatività del servizio sia stato preso. Di nuovo, la riorganizzazione delle linee produttive e di offerta di servizi richiede tempo e costi, cosa che le imprese vogliono minimizzare, ma non data la condizione attuale, bensì come condizione strutturale. Ricordiamoci che prima della pandemia in Italia si registravano in media 3 vittime sul lavoro al giorno e a seguito della riapertura nulla è cambiato: il 5 maggio, giorno seguente alla riapertura, già si contavano decine di infortuni e vittime sul lavoro.
Sempre il lavoro è il minimo comune denominatore del focolaio di Mondragone, sviluppatosi all’interno del ghetto-dormitorio delle case ex-Cirio dove alloggia la comunità bulgara di braccianti stagionali. Lavoratori che vengono sfruttati dai caporali e impiegati nelle italianissime aziende agricole per compensi da fame: tra i 20 e i 30 euro al giorno per 8-12 ore di lavoro (Quarto rapporto Agromafie e caporalato).
Chiudere e ghettizzare lavoratori resi volontariamente irregolari per minimizzare i costi di produzione senza garantire loro un sostentamento è materialmente e socialmente insostenibile. La ministra Bellanova non se ne è occupata: a lei è bastato garantire al mercato e alla filiera agro-alimentare i beni alimentari da destinare al mercato-consumo senza affrontare i problemi strutturali alla base del settore agricolo. Un settore che, come quello della logistica, è caratterizzato da iper-sfruttamento e totale alienazione dell’individuo che risulta chiaramente essere un oggetto, uno strumento di creazione di plusvalore.
Il lavoro è quindi penalizzato due volte: la prima perché a maggior rischio di perdita di salario (come scrive Vincenzo Galasso e come si legge nel JRC technical report), e la seconda perché non gode affatto delle necessarie e sufficienti protezioni individuali e di sicurezza sul lavoro.
Ci troviamo di fronte al paradosso per cui non solo i lavoratori sono i più penalizzati, ma viene addossata loro anche la colpa del contagio. Allo stesso tempo i corifei padronali ignorano volutamente il rischio nelle fabbriche, e il capitale, che detta le condizioni materiali e sociali del lavoro, è del tutto esente da qualsiasi tipo di responsabilità.
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