In Cile ha vinto con il 55% dei voti il “No” alla nuova costituzione, proposta dalla coalizione di destra ed estrema destra. Avrebbe sostituito quella vigente, eredità della dittatura di Augusto Pinochet. È la seconda volta che si vota sulla costituzione in quattro anni. Per ora la Carta rimane quella 1980.
È una domenica soleggiata quella di Santiago, 26 gradi nel centro della capitale cilena addobbato a festa per il Natale. Oggi però niente acquisti: i centri commerciali sono chiusi, come anche le chiese e i musei. È giorno di referendum e il voto qui è obbligatorio.
Il 17 dicembre poco più di 12 milioni di elettori hanno votato su una nuova Carta, composta da 17 capitoli e 216 articoli. È il secondo referendum in meno di due anni per una nuova costituzione in Cile. La nuova carta arriva da una proposta elaborata del consiglio costituzionale a maggioranza di destra, a cui si oppone l’attuale presidente della repubblica Gabriel Boric, leader della sinistra cilena.
La costituzione in vigore è la stessa redatta nel 1980 durante la dittatura di Augusto Pinochet, ma che fino ad oggi è stata soggetta a 70 riforme. L’ultimo tentativo di sostituirla è del 2022, in cui la coalizione di sinistra è uscita sconfitta dal referendum, con il 62% di cileni che ha votato contro la proposta. Oggi i ruoli sono invertiti: “È un paradosso politico” commenta Federico Nastasi, giornalista esperto di America Latina, “la destra propone di cambiare la costituzione che ha sempre difeso, e la sinistra, che l’ha sempre criticata in quanto eredità di Pinochet, ora la difende”.
A poco più di un anno dall’ultimo referendum si è tornati a votare. E nonostante il voto sia un’iniziativa “che rafforza la democrazia”, come ha dichiarato lo stesso presidente Boric, la questione sembra aver preso la forma di una disputa tra partiti che poco ha coinvolto la popolazione sui temi. “Per via dei miei studi non sono riuscito a leggere l’intera proposta, quindi voto per tenere quello che già conosco”, commenta Pedro, studente universitario di Santiago, che ha votato contro la nuova costituzione.
Voci contrastanti dal centro di Santiago
Nell’ostello Forestal i viaggiatori si danno consigli sulle scampagnate nella natura perché “la città sarà bloccata”. Riferendosi al referendum, Rosa, viaggiatrice tedesca diretta in Antartide, commenta che “sarà tutto chiuso”. Il quartiere Lastarria, barrio hipster di Santiago, è generalmente animato da giovani venditori di quaderni, oggetti di artigianato, vestiti usati. Oggi non ci sono e il quartiere vive come sospeso: la maggior parte dei negozi sono chiusi e i pochi turisti in giro mangiano piatti gourmet accompagnati da succhi di frutta di ogni varietà. Come tradizione vuole in America Latina, durante le votazioni non si può consumare alcool. Ciononostante, nel corso della giornata sono state denunciate vendite illegali in zone periferiche.
Camminando nel pieno centro, si incontrano diverse bancarelle in prossimità della Plaza de Armas. Nella piazza si trova la cattedrale della città in cui sabato il nuovo vescovo nel suo primo discorso ha dichiarato ai fedeli che “la chiesa non si mette in politica”. Più avanti, all’ombra, un anziano commenta pacato:
“Io voto a favore! Il nostro presidente è una m***a.
In questo paese siamo pagati malissimo, stiamo male”.
Pro o contro? Se ne parla a bassa voce
Basta attraversare il ponte che dà sul fiume Mapocho per entrare nella zona di Recoleta, dove si trova il grande mercato popolare della Vega, e incontrare una situazione completamente diversa. I turisti scompaiono dalla vista e si intravedono le prime lattine di birra Cristal in giro, la birra popolare cilena. Ora per strada si possono incontrare senzatetto e diversi venditori ai lati delle strade: vecchi caricabatterie e vestiti contraffatti, frutta molle in un mercato spontaneo che si sviluppa sui marciapiedi.
Più avanti, nel mercato della Vega si concentra la classe lavoratrice che fa le compere per la settimana. Famiglie con bambini e passeggini comprano carne, frutta e verdura a buon prezzo. “Io voto per quello che vota la destra, contro la sinistra”. Don Pepe, proprietario di un ortofrutticolo, dopo una breve esitazione si apre guardandosi attorno: “La riforma che aveva proposto la sinistra era pessima, volevano dividere il paese”.
Eppure il paese sembra già diviso. Più avanti la signora Susana, immigrata dalla Colombia, è responsabile di un piccolo spazio nel mercato dove cucina e vende il caldo de pata, un brodo fatto con il piede (pata in spagnolo) della vacca. “È un piatto popolare, qui lo mangiano tutti!”, esclama orgogliosa. Susana non può ancora votare: “Sto mettendo le mie carte a posto”. Ma un cliente commenta rapidamente:
“Io voto con la sinistra, la destra non ce la farà a cambiare la costituzione”.
Paga per la zuppa di pollo e fagioli e se ne va per votare, i seggi chiudono alle 18:00. Dai televisori presenti in alcuni negozi del mercato, i notiziari mostrano i grandi quartieri commerciali della città chiusi per il referendum. Nel "mercado de la Vega", invece, gli scambi continuano vivaci, c’è un viavai di gente e una grande mescolanza, qui a Santiago le comunità colombiane e venezuelane sono numerose.
Tornando verso il centro dei bei palazzi, dei musei e delle chiese, si intravede una grande fila in prossimità di un negozio di cambio valuta, ma non è una corsa al dollaro. Adiacente al cambio valuta c’è una sede di Western Union. “Oggi sono tutti chiusi quindi sono venuto qui per mandare soldi a casa, in Colombia”, mi rivela Juan, un lavoratore emigrato in Cile.
Ferite aperte nel Cile post-Pinochet
Nel pomeriggio per le strade la vita continua. Se non ci fosse un referendum, si potrebbe confondere questa giornata con un qualsiasi giorno festivo. Le persone non ne parlano e non si sente il fermento che precede gli esiti dei grandi appuntamenti democratici.
“La depoliticizzazione è stato uno dei grandi pilastri del Pinochetismo”, commenta Nastasi. Poi, negli anni Duemila, è arrivato il risveglio democratico. Fino ad arrivare al 2019, con l’esplosione delle proteste per una nuova costituzione. “Quel movimento ha portato la politica nella quotidianità delle persone ed era capitanato dagli esponenti dell’attuale governo. Oggi, con il referendum perso nel 2022, le ferite sono ancora aperte”, conclude. Così si potrebbe spiegare la generalizzata diffidenza della popolazione verso il voto e le discussioni sul referendum. “Nel 2019, durante le proteste, chi era contro le idee di chi manifestava aveva timore ad esprimersi perché veniva aggredito. Quindi non si parla più di politica in pubblico”, mi dice Pedro.
Su un muro si legge: “Anni di elezioni, promesse e ladri. Giusto è non votare, ribellarsi e protestare”. Le proteste però oggi sono un antico ricordo a Santiago. Felipe, giovane economista, mostra i segni sulle gambe delle pallottole di gomma usate dalla polizia tra 2019 e 2020 (le cosiddette flash-ball). “Allora ci sentivamo parte del cambiamento”, commenta indicando con occhi un po’ malinconici la Plaza Baquedano, punto di incontro delle protesta che diedero il via al dibattito costituzionale. “Da qui e per tutta la via Alameda era sempre un fiume di persone”.
Fine delle discussioni
Alle 20:42 la sconfitta della nuova proposta di Costituzione è riconosciuta. “Spero che oggi si chiuda un ciclo triste del nostro paese che è cominciato con uno processo delittuoso e insurrezionale che pagheremo per decenni”, dichiara il leader della destra repubblicana Jose Antonio Kast. Alle 21 Plaza Baquedano è piena di camionette della polizia. L’assetto militare si estende per tutta Avenida Alameda, dove alcune persone inneggiano contro la polizia, ma rapidamente e senza scontri. Passa una macchina con la musica alta: “El pueblo unido jamas será vencido” risuona dai finestrini dell’auto.
“Il tentativo iniziato nel 2019, dopo le massicce proteste diventate note come estadillo social (stallo sociale ndr), ha avuto come punto di partenza il desiderio di rompere con l'eredità del modello economico neoliberale del regime dittatoriale di Augusto Pinochet", commenta Marcos Taroco Resende, ricercatore brasiliano in Cile dell'Università Federale di Minas Gerais. "Alcuni dei principali problemi di questa eredità sono il sistema pensionistico capitalizzato, la privatizzazione dell'istruzione e della sanità e la concentrazione della distribuzione del reddito”.
Secondo Resende, durante i primi due decenni di democrazia, la traiettoria di crescita sperimentata dall'economia cilena e gli accordi pragmatici tra partiti di diversi schieramenti politici hanno nascosto i problemi e le contraddizioni di un Paese con grandi diseguaglianze. Oggi, però, “il risultato di questo processo è un evidente scollamento tra la rappresentanza politica e le esigenze storiche e congiunturali della società cilena, che continuerà a rappresentare una sfida importante nei prossimi anni”, conclude Resende.
Alle 22 nel Barrio Lastarria i locali aperti sono pieni di gente, sui tavoli non mancano birre, vino e cocktail. Il dibattito costituzionale in Cile è ufficialmente chiuso dopo quattro anni.