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Teoria e pensiero economico

Caro Friedman, ti sbagliavi

I modelli microeconomici sono soggetti ad un interessante paradosso. Da un lato, sembrano parlare del comportamento di oggetti familiari come venditori, aziende, consumatori e così via. Dall’altro lato, tuttavia, il comportamento di tali oggetti è descritto in maniera estremamente idealizzata. Ad esempio, gli agenti economici sono spesso descritti come individui perfettamente mobili, dotati di informazione perfetta e mossi unicamente dal desiderio di massimizzare (o minimizzare) certe quantità.

Queste assunzioni sono dette “irrealistiche” poiché vi è una robusta conoscenza di sfondo che ci assicura che esse sono false se interpretate rispetto ad individui reali. In effetti, anche ai più boriosi basterà un minimo di introspezione per capire che non hanno una completa informazione rispetto a ciò che li circonda.  

Lo statuto epistemologico dei modelli microeconomici è particolarmente complesso. I due problemi principali riguardano (i) il realismo delle assunzioni e (ii) la capacità esplicativa e predittiva dei modelli. I due problemi sono legati dalla seguente domanda: come è possibile spiegare e prevedere determinati fenomeni sociali tramite i modelli, se le assunzioni che esse incorporano sono irrealistiche rispetto al comportamento degli agenti economici? 

Una risposta classica a questa domanda – che risale al celebre articolo di Milton Friedman (1953) – è che un modello economico va valutato soltanto in base alla capacità di prevedere un certo numero di fenomeni che ricadono nel suo dominio di applicazione. Secondo Friedman, dunque, il fatto che le assunzioni del modello siano irrealistiche non intacca la valutazione scientifica sulla bontà del modello. Questa posizione è detta “strumentalista” poiché considera i modelli come strumenti per fare previsioni su certi fenomeni. 

È una buona risposta? Direi di no, per una ragione fondamentale: i modelli economici non sono soltanto strumenti per fare previsioni, bensì sono costruzioni teoriche che generano risultati potenzialmente applicabili a fini di policy. E quando si vogliono applicare i risultati di un modello a fini di policy, il fatto di avere assunzioni più o meno realistiche diventa una componente rilevante.

L’argomentazione di Friedman, dunque, si basa su un'inferenza scorretta:  

1. Un buon modello fornisce previsioni corrette su una certa classe di fenomeni sociali [premessa]

2. L’unico modo per valutare se un modello è buono consiste nell’osservare se esso fornisce previsioni corrette su una certa classe di fenomeni [dedotta scorrettamente da 1.] 

3. Ogni altro fatto riguardo il modello, incluso il realismo delle sue assunzioni, è irrilevante per la valutazione della bontà del modello [segue banalmente da 2.] 

Il problema sta in (2) che – oltre a non seguire logicamente da (1) – è palesemente scorretta. Per capire il motivo di ciò, paragoniamo un modello economico ad una macchina usata. Supponiamo di accettare il fatto che una buona macchina usata consente di risparmiare guidando comunque in maniera confortevole. 

Ebbene, da ciò non segue che l’unico modo per valutare se una macchina usata è buona consiste nell’osservare se è economica e confortevole. Infatti, quando compriamo una macchina usata vogliamo anche dare un’occhiata a cosa succede sotto il cofano per valutare che sia tutto apposto.

Allo stesso modo, quando applichiamo i risultati di un modello a fini di policy, diventa rilevante studiare se le assunzioni del modello sono in qualche modo rispettate nella particolare circostanza considerata. 

In effetti, negli ultimi anni un numero sempre più alto di economisti si è dimostrato scettico nei confronti dell’affidabilità scientifica dei modelli microeconomici. Il premio Nobel Esther Duflo (2017), ad esempio, ha affermato che gli economisti-scienziati si concentrano “sui principi generali, non sui dettagli che possono essere specifici di un determinato ambiente. Allo scopo di focalizzarsi sui principi generali, l’economista-scienziato tenderà ad ignorare questi dettagli spiacevoli che in realtà fanno sì che una certa policy funzioni o meno”. 

Per concludere, vale la pena notare che il modo ironico con il quale Duflo battezza gli economisti teorici – “economisti-scienziati” – ricorda Keynes che chiamava i suoi oppositori “classics”. 

Fonti:

  • Duflo E. (2016). “Richard Ely Lecture: The Economist as Plumber”. American Economic Review, 107 (5): 1-26. 
  • Friedman M. (1953). “The Methodology of Positive Economics” in Essays in Positive Economics, University of Chicago Press 
Data
5 Aprile 2020
Articolo di
Edoardo Peruzzi

Edoardo Peruzzi

TAG
Esther duflo, microeconomia, milton friedman

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Edoardo Peruzzi

Edoardo Peruzzi

Mi sono laureato in Filosofia presso l'Università di Pisa e sono allievo ordinario della Scuola Normale Superiore. Mi occupo di filosofia della scienza, epistemologia e logica. Le mie principali passioni…

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