La vittoria del Nuovo Fronte Popolare contro la destra lepenista nelle elezioni francesi è stata sorprendente. Al secondo turno delle votazioni (6-7 luglio) l’alleanza di sinistra è arrivata prima per seggi conquistati in Parlamento, mentre il Rassemblement National solo terzo, ben sotto le aspettative. Ma, dopo i festeggiamenti generali, l’esame di realtà si impone. La Francia è profondamente frammentata, paralizzata in tre blocchi, con una maggioranza relativa di sinistra che fatica a trovare un accordo di governo.
Leggere i risultati elettorali sul piano economico è utile a vederci più chiaro. La prima constatazione evidente è la fine anticipata dell’era Macron. Nella notte del 7 luglio, il partito del presidente ha perso ben 80 deputati e ora rischia la rottura. Una débacle inedita, che riflette la frustrazione comune a molti francesi. Una frustrazione già emersa nelle mobilitazioni oceaniche che hanno attraversato il paese in questi anni di presidenza, dai gilet jaunes ai movimenti contro la riforma delle pensioni, un sollevamento di massa tra i più grandi degli ultimi decenni.
Il macronismo reale
La riforma pensionistica non era altro che la punta dell’iceberg di un lungo corso di politiche di austerità, attuato da Macron sin dal suo insediamento all'Eliseo. Tali misure hanno favorito imprese e grandi patrimoni, hanno pesato sulla piccola borghesia e le classi popolari, e hanno contribuito all’erosione del welfare e all’aumento delle disuguaglianze.
Possiamo ricordare, fra le altre cose, l’abolizione dell’imposta di solidarietà sulla ricchezza (impôt de solidarité sur la fortune), l’introduzione di una tassa piatta sui redditi da capitale (prélèvement forfaitaire unique) e la riduzione dei sostegni abitativi (aide personnalisée au logement), che nel 2021 colpì il 39% degli studenti francesi. E prima dello scioglimento dell’Assemblée, il neo-premier Gabriel Attal aveva provato ad attaccare anche i sussidi di disoccupazione, con una riduzione prevista di tre mesi delle indennità e un inasprimento delle condizioni per accedervi.
Dall’erosione del blocco macronista emergono rafforzati i partiti di opposizione di destra e sinistra, soprattutto nelle loro ali più radicali. In testa ci sono il Rassemblement National da un lato, la France Insoumise dall’altro. Tuttavia, fra le due alternative diametralmente opposte, nei fatti solo una porta un programma economico di rottura con il passato.
L’economia xenofoba della destra
Nonostante un discorso marcatamente populista, incentrato sulla perdita di potere d’acquisto dei francesi e attento ai malcontenti accumulatisi in questi ultimi anni, il programma economico della destra di Marine Le Pen e Jordan Bardella non si discosta molto da quello macronista. Tra i punti salienti vi sono:
- l’abbassamento dell’Iva su carburanti, gas ed elettricità dal 20% al 5,5% come misura contro il carovita;
- la riduzione dell’imposta di successione per le “famiglie più modeste”;
- la sostituzione della tassa sul patrimonio immobiliare (impôt sur la fortune immobilière) con una tassa sulla ricchezza finanziaria;
- l’esonero dai contributi previdenziali per i datori di lavoro sugli aumenti salariali del 10%.
Queste misure restano però fumose, dato che, tra l'altro, mancano spiegazioni dettagliate su come finanziarle, in particolare per quanto riguarda l’abbassamento dell’Iva. I vertici della destra sono coscienti delle incongruenze. Tanto che, ironia della sorte, la proposta di abrogare integralmente la riforma delle pensioni di Macron è scomparsa dalle loro priorità.
Un recente studio degli economisti Elvire Guillaud et Raul Sampognaro mostra che le politiche di bilancio della destra peseranno soprattutto sui ceti meno abbienti. L’agenda Le Pen porterebbe ad un arricchimento del 10% più ricco a scapito del 30% più povero. Insomma, il programma economico della destra sembra ridursi a interventi di facciata, più ideologici che fattuali.
Le politiche proposte dal Rassemblement National non attaccano alla radice i problemi strutturali della Francia. Al contrario, tentano di rilanciare la visione nazional-populista di un’economia fondata sul primato della famiglia francese. Una delle chiavi di volta di questa visione è il concetto di “preferenza nazionale” (l’esclusione degli stranieri che vivono in Francia dal godimento dei diritti sociali), un mantra della campagna elettorale lepenista.
Al centro delle scelte economiche vi è un progetto politico xenofobo e razzista, che punta a discriminare tra cittadini di serie A e serie B, e limitare sempre più l’accesso dei secondi ai servizi di base e agli aiuti economici, come testimoniano le proposte di sopprimere gli assegni familiari e il sostegno abitativo alle persone che risiedono regolarmente in Francia da meno di cinque anni. Questa stretta repressiva e discriminatoria si rintraccia già nelle politiche di Macron, ma il programma dell’estrema destra ne rappresenta una forma ancora più radicale.
La piattaforma della sinistra
Dal canto suo, il programma del Nuovo Fronte Popolare (NFP) porta una visione di rottura, che i media e politici centristi si sono affannati a demonizzare. All’indomani della vittoria il ministro dell’economia Bruno Le Maire ha addirittura evocato il "rischio di crisi finanziaria" e di un "naufragio economico" per la Francia. Eppure, il programma delle sinistre è stato l’unico a contare sul sostegno di oltre 300 economisti, tra cui Thomas Piketty ed Emmanuel Saez. L’Istituto Rousseau ne ha dato una valutazione macroeconomica positiva, definendo le sue misure “realistiche e finanziabili”. Tra i punti centrali del programma vi sono l’aumento del salario minimo a 1600 euro, l’abrogazione della riforma delle pensioni, il blocco dei prezzi dei beni di prima necessità (in particolare energia e prodotti alimentari) e un supplemento di 30 miliardi di euro per finanziare la transizione ecologica.
150 miliardi di spesa pubblica con orizzonte 2027 potrebbero sembrare tanti. Ma è una questione di prospettiva. A compensare l'aumento del 22% della spesa pubblica, la sinistra propone un’ambiziosa riforma fiscale, più equa e progressiva sia sui redditi che sui patrimoni, la reintroduzione dell’imposta di solidarietà sulla ricchezza, tasse sugli extraprofitti, tagli sui sussidi ambientalmente dannosi, abolizione della tassa piatta su redditi da capitale e reintroduzione dell’exit tax per evitare il dumping fiscale.
In particolare, il Nuovo Fronte Popolare propone di riformare l'impôt sur le revenu (la nostra Irpef) e ripristinarne la progressività. Gli aumenti riguarderanno solamente i redditi mensili imponibili superiori ai 4mila euro, cioè circa il 10% dei contribuenti. La stragrande maggioranza dei francesi non ne sarebbe toccata, anzi ne uscirebbe arricchita grazie al previsto aumento del salario minimo (+5% rispetto al 2021), che stagna dal 2012 e oggi è percepito dal 17,3% dei lavoratori nel settore privato.
Secondo l’Istituto Rousseau, il programma dell'NFP porterebbe ad una diminuzione di 3 punti percentuali dell'indice di Gini (una misura della disuguaglianza) e contribuirebbe a ridurre fortemente il tasso di disoccupazione, con la creazione di più di 490mila lavori verdi nei prossimi cinque anni, il tutto mantenendo l’inflazione intorno all'obiettivo del 2%.
Chi si preoccupa del collasso dell’economia francese può dormire sonni tranquilli. Come ha scritto Timothée Parrique, economista dell’università di Lund, in Francia i soldi ci sono: il problema è che sono concentrati nelle mani di pochi. Basti pensare che, solo nello scorso anno, gli azionisti delle CAC40 (le 40 aziende francesi più quotate in borsa) hanno ricevuto circa 100 miliardi di euro di dividendi.
La vera minaccia di collasso economico francese non viene dal programma dell'NFP, ma dall’inazione climatica. Secondo un recente studio dell’Agenzia Francese dell’Ambiente e dell’Energia, un aumento delle temperature di 3,5 gradi entro fine secolo costerà ben il 10% del Pil (circa 260 miliardi di euro in meno di attività economica rispetto a oggi), valutazioni “molto probabilmente sottostimate” secondo gli stessi autori dell’analisi. Il Nuovo Fronte Popolare è l’unica forza con un programma politico ed economico serio contro la crisi climatica. Buona parte della gioventù francese l’ha votato in massa dal primo turno proprio per questo motivo.
È anche importante sottolineare che un’altra fetta non trascurabile di giovani ha votato l’estrema destra, così come la classe operaia e gli abitanti delle zone rurali e periferiche. Riconquistare la base sociale sarà un compito difficile per l’NFP, che però dovrà anche tener fede alle promesse fatte al giovane elettorato maturato nelle piazze delle mobilitazioni. Dall’altro lato della barricata, sarà proprio compito dei giovani far pressione perché la radicalità del programma non si perda nel gioco di potere tra partiti per formare il nuovo governo. Un gioco pericoloso, che potrebbe produrre esiti disastrosi. Con il rischio che la destra agguanti davvero il potere alla prossima tornata elettorale.