Dagli inizi di gennaio in Francia è esplosa la mobilitazione contro la riforma del sistema pensionistico voluta da Emmanuel Macron. Ogni settimana che passa, la temperatura aumenta e si moltiplicano ovunque nel Paese blocchi, presidi, picchetti, occupazioni di licei e università.
Il climax del malcontento è stato raggiunto lo scorso 7 marzo, in quello che alcuni hanno definito uno dei più grandi scioperi dagli inizi degli anni 2000. 3 milioni e mezzo di francesi sono scesi in piazza contro la riforma, 700mila persone nella sola Parigi, ovvero 200mila in più rispetto allo sciopero del 31 gennaio. In un rapporto di forza sempre più serrato, varie sigle sindacali hanno invitato a mantenere la mobilitazione anche nei giorni successivi, su un modello di grève reconductible che ricorda quello alla SNCF1La SNCF (Société Nationale des Chemins de fer Français) è una delle maggiori aziende pubbliche francesi, che gestisce la rete ferroviaria e i trasporti ferroviari in Francia. del 2019.
Nelle piazze si forma la convergenza
A differenza di altre proteste, questa volta tutte le forze sindacali sono unite contro la riforma, comprese le più moderate come la Cfdt2Confédération française démocratique du travail. e Unsa3Union nationale des syndicats autonomes. Una cosa simile non accadeva dal 2010, quando i sindacati fecero fronte unico contro la riforma Woerth che prevedeva il passaggio dell’età pensionabile da 60 a 62 anni.
Per la prima volta dopo tanto tempo, sindacati e partiti politici da tutto l’arco parlamentare (tanto la France Insoumise come il Rassemblement National), trovano nella riforma un nemico comune. L'opposizione all’Assemblée si riflette anche nell’opinione pubblica. Secondo recenti sondaggi infatti, più del 68% dei cittadini francesi sono contro la riforma, e tra gli under 35 il dissenso sale al 74%.
Per farla breve, questa riforma delle pensioni non piace a nessuno, e per mille motivi diversi.
"La battaglia per le pensioni - ha scritto Edwy Plenel, direttore del giornale indipendente Mediapart - non è una protesta come le altre: è la nonna di tutte le mobilitazioni, perché porta dentro di sé al contempo una sfida sociale, democratica e di civiltà". La portata del progetto è tale da intersecare moltissimi temi cruciali, quali il lavoro, la parità di genere, la questione sociale, la crisi climatica e molto altro. Operai, studenti, sindacalisti, contadini, insegnanti, lavoratori precari, attivisti per il clima: a sfilare per le piazze vi sono tutti i profili umani possibili e immaginabili. Ognuno con una voce diversa, incarna un unico corale rifiuto dell’ennesima riforma neoliberale.
"Sono in piazza perché voglio una pensione dignitosa, e la voglio a 60 anni" dice Yann, 36 anni, che da 17 lavora come giardiniere.
"È un lavoro duro il mio, quando sarò vecchio non potrò spaccarmi la schiena su e giù come faccio ora. Andremo fino alla fine, è la terza manifestazione che faccio. Gli altri giardinieri sono con me, anche se non possiamo scioperare tutti".
La questione sollevata da Yann sui lavori pesanti è uno dei angoli morti della riforma. Non sorprende, visto che già nel 2018 Macron aveva soppresso quattro dei dieci criteri che definiscono i lavori usuranti e che permettono di anticipare il pensionamento. Per quanto siano presenti agevolazioni per certe categorie, saranno in molti ad essere penalizzati.
È il caso di mestieri faticosi, spesso mal pagati, ad alto rischio di incidenti e che sopra una certa età diventano fisicamente e mentalmente insopportabili. La riforma inoltre non considera che la speranza di vita di questi lavoratori è inferiore alla media. Ciò significa che lo sforzo dei più precari servirà a finanziare le pensioni dei più benestanti. Si tratta di un’ingiustizia strutturale del modello pensionistico, che questa riforma amplierà ulteriormente.
Infine, a trovarsi nelle condizioni lavorative più pesanti sono spesso lavoratori stranieri, che magari arrivano in Francia dopo anni di lavoro all’estero. In molti casi, gli anni precedenti all’arrivo non vengono contabilizzati, e l’innalzamento a 43 anni dell’anzianità contributiva renderà ancora più difficile l’ottenimento di una pensione completa. Lavoratori precari e stranieri sono dunque i più colpiti dalla riforma, insieme alle donne, ed in particolare le donne straniere, sottoposte al doppio stigma.
"La riforma pensionistica non farà che peggiorare ulteriormente le precarie condizioni lavorative di molte donne" mi spiega Arya del collettivo femminista della periferia di Parigi. "Oggi sono qui in piazza per difendere i diritti del lavoro di tutte le donne. E domani, otto marzo, continueremo la mobilitazione per protestare contro questa riforma ingiusta. Solo attraverso la convergenza tra movimento femminista e sindacati possiamo vincere". Insieme alle altre compagne del collettivo, Arya vede nella riforma un ulteriore ostacolo alla parità salariale. L’aumento a 43 anni di contributi, impatta particolarmente le donne: sono loro infatti ad essere maggiormente esposte a contratti part-time e ad interruzioni di carriera in caso di gravidanza.
I congedi parentali e le altre misure non sono lontanamente in grado di bilanciare le perdite, ed in media una donna percepisce una pensione del 40% inferiore a quella di un uomo, nonostante il divario salariale sia ‘solo’ del 20%. "Le disuguaglianze raddoppiano dopo la pensione. Questo perché non appena si devia dalla carriera tipica, generalmente quella di un uomo qualificato che ha lavorato sempre a tempo pieno, il sistema moltiplica le disuguaglianze" spiega il politologo Bruno Palier in un’intervista per Le Monde.
Infine, c’è un’altra questione importante, quella dei lavori usuranti e ad alto tasso di occupazione femminile. È il caso delle pulizie, dell’assistenza a domicilio e in casa di riposo. Nel 2019 in Francia il settore dell’assistenza agli anziani ha registrato tre volte più incidenti che gli altri settori. Nonostante si tratti di lavori vitali per la comunità, sono mal pagati e poco riconosciuti. Il passaggio a 64 anni per queste donne vorrà dire sacrificare la propria salute per il lavoro.
Per un altro rapporto con il lavoro
In strada ci sono anche giovanissimi studenti del liceo che manifestano per loro la prima volta. Li accompagnano i meno giovani, più navigati, che intonano cori di protesta e sventolano le bandiere dei sindacati studenteschi.
Marie ha 21 anni, studia in Sorbona ed è nel servizio d’ordine della manifestazione con gli altri compagni di Solidaires. "Dobbiamo mobilitarci ora perché la riforma delle pensioni riguarda anche noi. Se non lo facciamo adesso, la prospettiva futura sarà andare in pensione a 68 o anche 70 anni! E poi ci mobilitiamo per portare tutta la nostra solidarietà a chi si spacca la schiena lavorando, e gli viene chiesto di fare altri due anni. Non è accettabile! Passiamo la vita a guadagnarcela". Intanto nel corteo l’aria è frizzante, si balla e si canta. Sui cartelli si legge lo slogan ‘tu nous mets 64, on te Mai 68’ che gioca sull’omofonia di met e Mai per ricordare la grande mobilitazione studentesca del maggio 1968.
Poco più indietro nel corteo c’è Michael, professore di economia all’università Paris 8 che si oppone fermamente al progetto di riforma. "Ci presentano questo nuovo ordine economico come ineluttabile quando invece non lo è. Si dice nuovo per dire, perché a ben guardare è nell’agenda europea da più di trent’anni. Dietro questa riforma c’è una profonda convinzione neoliberale, forse più vicina al credo religioso che ad una verità scientifica" dice Michael. Il problema secondo lui, non è tanto Macron o il suo governo: "Se non fosse lui, sarebbe un altro, il problema sta nell’ideologia. Dobbiamo riappropriarci politicamente del nostro destino collettivo per un nuovo modello di società".
Ecco, un nuovo modello di società. La critica alla riforma delle pensioni vuol dire anche questo. Aveva ragione Edwy Plenel a parlare della "nonna delle battaglie". Erano gli anni del dopoguerra quando Ambroise Croizat istituì la Sécurité Sociale e il sistema previdenziale a ripartizione con il motto "contribuisci secondo i tuoi mezzi, ricevi secondo i tuoi bisogni". Un progetto dal cuore profondamente redistributivo, che a partire dagli anni ‘80, riforma dopo riforma, è stato rottamato, così come i contratti e le condizioni di lavoro.
Le prospettive sono state stravolte: dalla liberazione dal lavoro si è passati alla sua uberizzazione, dal sogno dell’età pensionabile a 55 anni si è arrivati a 64. "Questo progetto di riforma è una provocazione, prima di qualsiasi dibattito sulle pensioni, dobbiamo rendere il lavoro sostenibile" ha detto a France Bleu la sociologa Dominique Meda, tra le voci più critiche della riforma. "Forse se le condizioni lavorative non fossero così penose, la contestazione della riforma non avrebbe questa portata. Ma al contrario oggi, per molti concittadini il lavoro è insostenibile. Quando arrivano alla pensione, sempre che ci arrivano, sono sofferenti e non possono immaginare di essere spremuti ulteriormente". La sociologa chiede condizioni di lavoro migliori, più autonomia, più potere ai lavoratori e per concludere, una riconversione ecologica.
Attraverso la questione ecologica, verso un nuovo modello
La questione ecologica, infatti, è un altro tema che attraversa la riforma delle pensioni e il rapporto che abbiamo con il lavoro. In piena crisi climatica sorge la necessità di aprire una seria riflessione sui processi di produzione, al fine di operare un radicale cambio di direzione per un modello economico più giusto che tuteli la salute delle persone e del pianeta. Lavorare di più, per produrre di più, per inquinare di più è una ricetta che ha fatto il suo tempo. Il mondo di domani passa attraverso l'emancipazione dal paradigma produttivista ed estrattivista, la revisione delle nostre priorità come società e la liberazione dal lavoro. Ridefinire il nostro rapporto al tempo, per legittimare un ritmo più sano, conviviale, fatto di momenti condivisi, di attività non produttive ma essenziali: i cari, la natura, la vita associativa.
Un modello pensionistico che funziona deve basarsi su un modello di lavoro sano, a sua volta fondato su una migliore ripartizione del lavoro e delle ricchezze. Sembra che si sia arrivati ad un bivio, e che questa riforma sia la spinta sull’acceleratore. Sulla scena, due visioni di mondo radicalmente opposte: una al tramonto, l'altra che tarda a farsi spazio. In piazza, quel 7 marzo, non si trattava più solamente di rigettare o meno la riforma delle pensioni, ma di proporre un modello alternativo, di incantare di nuovo, di osare molto di più.