“'Credevo di avere tempo'… Perché lo dicono tutti? Come puoi averlo se lui ti imprigiona?" si chiede Jonas, il protagonista della serie "Dark", alle prese con l'impossibilità di spezzare una catena temporale che sembra forgiata senza la possibilità di essere cambiata.
Gli eventi accadono “così come sono sempre accaduti” e ogni via di fuga riconduce sempre alla medesima posizione: che sia il 1986 o il 1953, a Winden nessuno scappa al suo destino. Come nel precedente articolo, ci troviamo di fronte alla condizione del debitore, vincolato a ripagare il suo debito fino alla fine – e anche oltre.
Se in questa seconda tappa del nostro percorso nell’analisi del dispositivo-debito ci rivolgiamo ad un prodotto mainstream come una serie di Netflix (al di là del gusto di chi scrive) non è solo per allargare l’analisi dei prodotti culturali dal cinema d’autore (come poteva essere quello di Ken Loach) a prodotti della cultura di massa, ma perché Dark rappresenta un sintomo perfetto di quello che Mark Fisher, in uno dei libri più importanti dell’ultimo decennio, definisce “realismo capitalista”: quella “atmosfera che pervade e condiziona non solo la produzione di cultura, ma anche la regolazione del lavoro e dell’educazione, agendo da barriera per l’azione ed il pensiero” (traduzione dell'autore).
"Dark" è forse la serie migliore per esemplificare quella sensazione diffusa dell’Occidente capitalistico negli ultimi tre decenni che il “picco umano dell’evoluzione tecnico-economica è stato raggiunto” (Mazzeo, Melanconia e rivoluzione), insomma che, per riprendere la celeberrima formula di Francis Fukuyama coniata dopo la caduta del Muro e dunque dopo la “vittoria” (di Pirro) del capitalismo “liberale” sul socialismo reale, la Storia sia finita, e che quindi ogni possibile futuro sia bloccato, già da sempre perduto.
Tra i primi ad intercettare questa profonda connessione tra l’aspetto culturale ed il nuovo corso del capitalismo ci fu, già alla metà degli anni Ottanta, Fredric Jameson, che nei suoi fondamentali contributi sul concetto di “postmoderno” come dominante culturale illustra come ogni posizione sul postmoderno nella cultura è necessariamente una presa di posizione sulla natura del capitalismo multinazionale odierno.
Il postmoderno per Jameson, e per Fisher che lo rielabora, ha come tratto caratteristico un indebolimento della storicità.
Si delinea, infatti, una perdita delle possibilità radicali della Storia, culturalmente pianificata dalla produzione estetica contemporanea che è integrata totalmente nella produzione di merce tout-court, dove i produttori di cultura non possono rivolgersi che al passato. Ciò avviene tramite il saccheggio di stili ormai demodé, imitazioni di originali mai esistiti e in generale un passato che viene modificato e distorto divenendo una “vasta collezione di immagini, un immenso simulacro fotografico”.
Per quanto riguarda i film e le serie, vediamo in atto questa continua messa in scena del retrò in serie cult come "Stranger Things", vero e proprio esempio di pastiche di estetiche anni ’80, "True Detective", dove il rapporto con la temporalità e le sue chiusure è ossessivo in tutte e tre le stagioni, e appunto "Dark", dove il passato non è solo mostrato come spettacolo, bensì è problematizzato proprio in rapporto al futuro e alle possibilità storiche dell’agire dei protagonisti.
In "Dark" ogni personaggio è “debitore” verso una futura versione di sé stesso che ne condiziona le scelte, mentre il debito, o meglio la colpa (indistinguibili nella parola tedesca Schuld), è sempre contratto nel passato e si costituisce per forza di cose come un dolore, in conseguenza di quella mnemotecnica della crudeltà che avevamo visto essere costitutiva nella creazione del soggetto debitore.
Siamo di fronte alla fabbricazione di un uomo capace di mantenere la parola data grazie al dolore. Il debito è un dispositivo temporale, si potrebbe dire quasi una “macchina del tempo” al rovescio: l’intento è immagazzinare tempo e Storia per neutralizzarne le possibilità future.
Sorvolando sulla complessità dell’intreccio, è proprio nella seconda stagione di "Dark" che troviamo una definizione perfetta dell’uso del dolore e del concetto di colpa come dispositivo per alterare, e soprattutto per minimizzare, le possibilità future.
Adam, che non è altro che la versione futura di Jonas, vuole viaggiare indietro nel tempo per innescare quello stesso ciclo di eventi che lo ha portato alla sua condizione attuale. Egli spiega al giovane sé stesso: “il mio ruolo in questa storia è rendere te ciò che sono ora. Ci sono dolori indimenticabili, questo è un dolore che ti accompagnerà per sempre.”
L’economia del debito è un’economia del tempo. Per Nietzsche, plasmare una memoria significa poter “disporre anticipatamente del futuro”, “rispondere di sé come avvenire”, perché nel momento in cui il credito è concesso viene fatta una scommessa sul futuro, su ciò che è per natura imprevedibile e cioè i comportamenti del debitore e gli avvenimenti futuri correlati al rimborso.
Le tecnologie del debito sono progettate per una neutralizzazione del tempo e dei rischi ad esso connessi, una neutralizzazione dei possibili futuri alternativi dei debitori, ed è qui che il debito si rivela come analizzato nel precedente articolo: il debito come dispositivo di soggettivazione e di creazione di un essere colpevolizzato alla radice, che si configura anche e soprattutto come una tecnologia securitaria, un dispositivo di governo delle vite finalizzato ad ottenere l’incertezza nei comportamenti dei debitori.
Il vincolo etico derivante dalla costante colpevolizzazione e responsabilizzazione degli assoggettati funge da camicia di forza per eventuali deviazioni storiche dai rapporti di potere attuali: la costante pressione mediatica e politica sul taglio alla spesa pubblica, l’identificazione pressoché unanime del welfare con un “lusso che non possiamo più permetterci” e l’assimilazione anche linguistica del concetto di “austerity” hanno imposto un’uniformità dei comportamenti e l’introiezione di un senso di colpa generalizzato.
La cosiddetta “società di domani”, nei piani del neoliberismo, non è nient’altro che la società di oggi, dove i popoli sono stati disciplinati e il tempo come possibilità di creazione è stato neutralizzato.
Molteplici, in "Dark", sono i riferimenti a Dio, identificato come il Tempo stesso, e alla guerra di Adam contro Dio per sostituirvisi come padrone della temporalità.
Quello della connessione tra Tempo e Debito è un tema sotterraneamente presente da sempre nella tradizione occidentale, specialmente nel Medioevo, come ricorda lo storico Jacques Le Goff nel suo capitale "La borsa e la vita", dove cita un manoscritto del XIII secolo che riguarda il peccato di cui si macchiano gli usurai (predecessori degli odierni speculatori finanziari):
“[...] gli usurai peccano contro natura volendo fare generare denaro dal denaro come un cavallo da un cavallo o un mulo da un mulo. Oltre a ciò, gli usurai sono dei ladri poiché vendono il tempo, che non appartiene loro [...] inoltre, dal momento che non vendono null’altro che l’attesa di denaro, cioè il tempo, essi vendono i giorni e le notti”.
L'usuraio, vendendo il tempo che intercorre tra il prestito e il rimborso, vende ciò che non appartiene a lui, ma a Dio. Ed il tempo di cui si appropria, dunque, non è solo il tempo del lavoro, ma il tempo della vita in sé: i giorni e le notti dei debitori diventano, contro la propria volontà, “proprietà” dell’usuraio, del creditore.
La mega-macchina del finanzcapitalismo, uno dei tanti modi possibili per definire l’odierna economia del debito coniato da Luciano Gallino, mira esattamente a porre un’ipoteca sui “giorni e le notti” dei popoli e lo fa grazie all’immensa quantità di moneta concentrata nelle banche, nelle assicurazioni, nei fondi pensioni e nelle perverse forme dei derivati creati dalla finanza ombra, che altro non rappresentano se non “immense concentrazioni di possibilità”, di potenzialità tenute “sotto chiave”.
La tautologia del denaro, la formula del capitale finanziario ovvero il denaro che si autovalorizza rappresenta pienamente la logica del capitale, descritta da Marx come “sostanza motrice di sé stessa” della quale persino le tre modalità in cui conosciamo il capitale (industriale, commerciale e finanziario) non sono altro che forme, in una teologia rovesciata e secolare che ricalca la Santissima Trinità.
Per questo è assurdo parlare di un’economia reale da un lato e di un’economia finanziaria, con le sue storture, dall’altro, laddove il capitale finanziario, cioè il debito, è capitale in generale, è il “comune” della classe capitalistica senza distinzioni; ma soprattutto, dice Marx, è “pura potenza”, “capitale in generale”, semplice astrazione. Il capitale finanziario non rappresenta una ricchezza “in atto”, come nelle forme di capitale industriale, ma una ricchezza futura, e questa ricchezza si cristallizza nella possibilità di decisione sulla produzione e soprattutto sui rapporti di potere a venire, su cui l’ingegneria finanziaria esercita diritti di prelazione e predazione, così come sul futuro dei singoli e della società nel suo complesso.
“La merce non ha che una forma, il denaro [...] esso esiste qui nella forma omogenea, uguale a sé stessa, del valore autonomo del denaro”. Il binomio capitale-debito è per Marx una vera e propria “materia oscura”, la cui densità viene usata per schiacciare e manipolare il tempo.
È però Deleuze, ne "L’Anti-Edipo" scritto a quattro mani con Guattari, a individuare in questo aspetto di “pura potenza” una caratteristica cruciale: il debito è il dispositivo strategico cardine che orienta processi di distruzione e creazione all’interno dei quali l’economico e il politico si sovrappongono.
Il capitale-debito non è mai stata un fatto “economico”, una funzionalità di uno scambio reale e tangibile: è da sempre uno strumento politico per la “distruzione” di un ordine e la creazione di un altro, com’è avvenuto con il passaggio dal Fordismo al Neoliberismo.
La prospettiva temporale odierna, dunque, dove un “nuovo mondo” viene costantemente distrutto e riplasmato, per riprendere Fredric Jameson, è quella di un “millenarismo alla rovescia” a cui va associata la sensazione dilagante che la Fine sia già avvenuta, e che, dato che tutto è già stato, nulla valga la pena.
Ogni azione diventa semplicemente parte di un copione già scritto, recitato, e soprattutto impossibile da riscrivere.
Sic mundus creatus est, così in Dark viene definita l’ineluttabilità della ripetizione dell’uguale. Ma la retorica della “fine della Storia” è appunto solo una retorica e a noi spetta il compito di decostruirla ed infine mutarla, per riappropriarci di un Tempo del cambiamento che questa “catena” del debito ci ha sottratto.
Riferimenti bibliografici:
- M. Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato
- F. Jameson, Il Postmoderno: la logica culturale del tardo-capitalismo
- M. Fisher, Realismo capitalista
- G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Edipo
- J. Le Goff, La borsa e la vita
- M. Mazzeo, Melanconia e rivoluzione
[…] forma di godimento e consumo. Il tempo del capitalismo diventa l’equivalente del nostro tempo, come suggerisce il vecchio proverbio inglese: “Time is […]