Nel sistema economico in cui viviamo ci abituano a pensare che abbiamo sempre libertà di scelta. Ci dicono che siamo noi a poter scegliere il nostro stile di vita, il nostro lavoro, il nostro livello di impegno (e quindi il nostro salario). La società non esiste, come disse una volta Margaret Thatcher. O, se esiste, è solo la somma degli individui. Atomi che interagiscono fra loro in modo razionale e indipendente.
La pensa così anche Sheila, la dipendente dell’ufficio di collocamento a cui si rivolge Daniel Blake, 59enne carpentiere protagonista di “Io, Daniel Blake”, film del 2016 di Ken Loach. Daniel è malato di cuore, ma non riesce ancora ad avere l’indennità per malattia e dunque è costretto a chiedere il sussidio di disoccupazione. Ma le richieste dell’ufficio pubblico lo esasperano. A un certo punto sta per mollare tutto e Sheila gli dice: “È una tua scelta”. Daniel risponde con prontezza: “No, non è una mia scelta. Non ho altre fonti di reddito”.
E così, in poche parole, smaschera una delle menzogne più grandi del neoliberismo. Ossia che siamo sempre liberi di decidere cosa fare, come se i condizionamenti sociali ed economici non esistessero.
Per ottenere il sussidio, Daniel deve partecipare a un laboratorio sulla redazione di un curriculum. L’insegnante, in giacca e cravatta, cerca di motivare i disoccupati con frasi improbabili, senza alcuna vergogna di fronte ai loro sguardi disillusi. E afferma con sicumera che per trovare un lavoro bisogna saper “spiccare fra la folla”. Un altro mito dell’individualismo contemporaneo. Non servono abilità, conoscenze e voglia di fare, no. Bisogna sapersi vendere, essere imprenditori di sé stessi. Ma come si può pensare che ogni disoccupato di mezza età possa reinventarsi e crearsi una nuova carriera?
Daniel è un uomo comune, un everyman, e quindi non abbocca a queste tattiche di marketing straccione – che, per inciso, sono insegnate ormai in tutte le università. Daniel sa una cosa: “Se perdi il rispetto per te stesso, sei finito”. Quindi, in attesa di ricevere la chiamata per l’indennità di malattia, continua l’iter per il sussidio di disoccupazione. Deve pur mangiare. Scrive a mano diverse copie del suo curriculum e gira la città a cercare un lavoro. Alla fine, sembra che un capo-cantiere lo voglia assumere, ma lui è costretto a rifiutare. Non può rischiare di morire per ottenere qualche sterlina. La salute viene prima del denaro. Ecco un’altra bordata alla dottrina sociale dominante.
Nel frattempo, Daniel conosce Katie, una giovane madre single con due figli, anche lei abbandonata dallo Stato e ai margini del mercato del lavoro. L’unica soluzione in questa situazione è la solidarietà di classe. Daniel aiuta la povera famiglia, appena arrivata da Londra a Newcastle, ad ambientarsi nella nuova casa e realizza piccole riparazioni domestiche. Li accompagna anche al banco alimentare. Lì si svolge una delle scene più toccanti del film: Katie, stretta dai morsi della fame, apre un barattolo di fagioli e ne mangia alcuni, poi scoppiare in pianto. È la rappresentazione plastica del punto a cui il nostro sistema economico porta chi fallisce: l’umiliazione.
Daniel ha anche due giovani amici: un bianco e un nero che condividono un appartamento e fanno soldi smerciando scarpe sportive di contrabbando. Nella comune miseria, ci si può dividere facendosi la guerra fra poveri, oppure possono saltare gli steccati e si può riconoscere di essere nella stessa barca.
A un certo punto, Daniel raggiunge l’apice della disperazione. La chiamata per il ricorso per l’indennità stenta ad arrivare: l’unica cosa che gli è rimasta da fare è ribellarsi. Con uno spray nero scrive al di fuori dell’ufficio di collocamento: “Io, Daniel Blake, chiedo la data del mio ricorso prima di morire di fame e di cambiare la musica di merda dei telefoni” [dei call center ndr]. È una ribellione contro lo Stato, soggiogato dal neoliberismo che, anziché distruggerlo come molti credono, ne ha fatto uno strumento di oppressione e umiliazione nelle sue mani.
Le procedure per ottenere un sussidio sono infatti lunghe ed estenuanti e sembrano fatte apposta per scoraggiare i candidati. La filosofia sottostante è che i cittadini devono essere lasciati, se possibile, a cavarsela da soli nel mercato del lavoro. È una delle idee alla base dell’austerità: lo Stato deve interferire il meno possibile con i meccanismi di mercato. I ricchi vanno lasciati liberi da lacci e lacciuoli: giù le imposte sui guadagni finanziari! Perché? Perché chi decide tutto sono “quei cazzoni nelle ville che hanno inventato la tassa sulle camere sfitte”.
La folla applaude Daniel Blake portato via dalla polizia, ma dov’era quando lui non riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena? La verità è che nei momenti eclatanti siamo spinti a solidarizzare con i più deboli, ma non ci uniamo contro gli oppressori nella vita quotidiana.
Per fortuna la faccenda si risolve con un semplice avvertimento da parte della polizia e Daniel riesce a ottenere l’udienza per l’indennità di malattia. In preda all’ansia, però, ha un infarto e muore.
Al funerale l’amica Katie legge un testo che è un vero e proprio manifesto politico: “Non sono un cliente, né un consumatore, né un utente, non sono un lavativo, un parassita, né un mendicante, né un ladro, non sono un numero di previdenza sociale, né un puntino su uno schermo. Ho pagato il dovuto, mai un centesimo di meno, orgoglioso di farlo. Non chino mai la testa, ma guardo il prossimo negli occhi e lo aiuto quando posso. Non accetto e non chiedo elemosina. Mi chiamo Daniel Blake, sono un uomo e non un cane. Come tale esigo i miei diritti, esigo di essere trattato con rispetto. Io, Daniel Blake, sono un cittadino. Niente di più e niente di meno”.
"Io, Daniel Blake" non è un film contro la burocrazia, come si potrebbe pensare superficialmente, ma contro il neoliberismo. Daniel non è un anarchico che cerca l’abolizione dello Stato. Sa che lo Stato può aiutarlo, ma intuisce che esso è prigioniero del sistema economico. Daniel rivendica di non essere un consumatore o un parassita, ma un cittadino. Perciò ha dei diritti.
Daniel ci esorta a difendere questi diritti giorno per giorno, a non darli mai per scontati, a difendere il ruolo dello Stato come sostegno ai cittadini e non come mero regolatore dei processi economici. Sta a noi cogliere il grido di aiuto dei tanti Daniel nelle nostre comunità.