Qualche giorno fa, in un editoriale per il quotidiano La Repubblica i due professori di economia dell’Università Bocconi Tito Boeri e Roberto Perotti hanno affrontato la questione del Reddito di Cittadinanza.
L’editoriale verteva sulla riforma del fisco. La considerazione iniziale di Boeri e Perotti è, in qualche modo, condivisibile: qualora il beneficiario del Reddito di Cittadinanza accetti il lavoro che gli è offerto, retribuito appena sopra il valore del Reddito, si ritrova un’aliquota implicita del 100%.
Gli autori quindi fanno la seguente proposta: "Si potrebbe allora pensare di ridurre il livello del sussidio, troppo alto per le persone singole soprattutto al Sud (9360 euro all'anno sono di circa il 30% al di sopra della linea di povertà Istat nel Mezzogiorno) e di ridurlo gradualmente a chi trova lavoro, fino a eliminarlo interamente solo se il lavoro è ben retribuito".
Il rischio, però, è che la modifica suggerita dagli autori trasformi il Reddito di Cittadinanza in un sussidio alle imprese, che così potrebbero pagare con ancora più facilità salari non degni di un paese civile.
Per correggere questa stortura, il nostro paese avrebbe bisogno di un salario minimo più ampio rispetto alla platea oggi coperta, quella dei contratti collettivi del lavoro: questo sistema non garantisce infatti salari uniformi e dignitosi. Il livello dipende infatti dal settore.
Successivamente, però, i due economisti sembrano commettere a nostro avviso tre errori.
Il primo riguarda i dati. Nell’articolo Boeri e Perotti sottolineano che un reddito di cittadinanza come quello attuale sarebbe troppo alto per il Sud italia, dove il costo della vita è più basso. Quindi sarebbe un incentivo a non lavorare.
Già qui l’argomentazione è debole: il costo della vita è più basso al Sud se il calcolo avviene su un paniere da supermercato. Ma al Sud mancano diversi mezzi, come asili pubblici e privati. Non solo: non si considera l’eterogeneità tra zone metropolitane e zone periferiche. La questione, per citare Il Divo di Sorrentino, è un po’ più complessa.
Boeri e Perotti affermano che il sussidio ammonta a 9.630 euro l’anno a persona. Sinceramente, ci chiediamo da dove provengano questi dati. Dai dati INPS si ottiene una media di 579,54 euro per nucleo percettore. Anche andando a prendere i dati relativi al Sud Italia, l’importo mensile medio sale leggermente, 611,15. Prendiamo ad esempio la Campania, che risulta essere la regione con importo medio più alto: 646,63 di media mensile nel 2021. Per 12 mensilità, si ottengono 7.759,56 euro all’anno. Siamo quindi ancora lontani dai dati citati da Boeri e Perotti, soprattutto se consideriamo che questi valgono per nucleo percettore e non per singoli.
Inoltre, se questo basta per far concorrenza ai salari offerti, forse il problema sono i salari stessi.
Veniamo ora alla seconda problematica del ragionamento di Boeri e Perotti, strettamente collegata alla prima. Un reddito di cittadinanza troppo elevato disincentiva il lavoro, sostengono Boeri e Perotti.
Questo è giustificabile prendendo come benchmark il modello del mondo del lavoro insegnato nei primi anni di insegnamento economico all'università. In quest'ottica gli individui affronterebbero un trade off tra lavoro e tempo libero. Offrendo le loro prestazioni in cambio di uno stipendio potrebbero poi usufruire di questi soldi nel loro tempo libero, acquistando beni.
Un reddito di cittadinanza troppo elevato, in questo caso, innalzerebbe il salario per cui i lavoratori sono disposti a lavoro, in quanto il reddito di cittadinanza permetterebbe già di usufruire di certi beni.
Qui ci sono almeno due problematiche.
La prima è che stiamo parlando di una misura contro la povertà. Il nostro paese infatti presenta un elevato tasso di povertà relativa e assoluta rispetto ai partner europei. I soldi erogati con il Reddito di Cittadinanza permettono quindi una vita al limite del dignitoso: permettono cioè a persone in difficoltà di acquistare beni di prima necessità, di pagare il materiale scolastico per i figli che vanno a scuola.
In secondo luogo vi è un errore fatale nel modello utilizzato da Boeri e Perotti. Questo modello di fatto si fonda su un comportamento puramente razionale degli individui che risponderebbero agli incentivi, e via discorrendo. Ma c’è di più rispetto a questo.
Noi esseri umani viviamo in un contesto di istituzioni, norme, convenzioni. Il ruolo di queste è stato spesso tralasciato da questi modelli, nonostante gli studi empirici forniscano informazioni interessanti. Vi è ormai una crescente letteratura sugli effetti psicologici della disoccupazione e della considerazione della persona in una comunità quando non possiede un impiego. Senza considerare queste norme sociali e i dati empirici, l’argomentazione di Tito Boeri e Roberto Perotti funziona. Ma in un mondo che, molto semplicemente, non esiste.
Veniamo ora al terzo punto, già toccato in precedenza: la questione salariale. La proposta di Boeri e Perotti rischia infatti di acuire il problema dei salari in Italia. Il nostro Paese vive dagli anni ‘90 una situazione di salari reali stagnante nel settore privato. La quota salari sul PIL è andata calando drasticamente, con effetti sulla domanda aggregata come hanno fatto notare Realfonzo e Stockhammer.
Non possiamo inoltre non considerare la situazione del nostro paese: infatti secondo i dati Istat per ogni posto di lavoro vacante esistono circa dieci disoccupati, senza tener conto dei cosiddetti scoraggiati, che sono all’interno degli inattivi. La carenza di lavoro, più che la pigrizia, è il vero problema.
Ad oggi il 25% circa di percettori del reddito di cittadinanza sono minorenni, come mostra il report dell'Inps sul Reddito di Cittadinanza. Per di più, nel 2019 il 36,3% dei percettori del Reddito non poteva lavorare.
Tutte queste problematiche devono essere tenute in considerazione.
La proposta di Boeri e Perotti, dunque, non va nella direzione giusta. In ogni caso, una riforma del Reddito di Cittadinanza è necessaria, in particolare scindendo le tre questioni che questo strumento vorrebbe affrontare - quella della povertà, delle politiche attive del lavoro e dell’integrazione salariale. In merito le proposte possono essere ampie: dall’approvazione di una salario minimo a uno schema di lavoro garantito, che non sia lavoro forzato e che non viva solo del minimo salariale.
Nessuna riforma può essere valutata positivamente se diminuisce la spesa pubblica trasferita ai più deboli: infatti il Reddito di Cittadinanza dovrebbe essere allargato a più persone in modo tale da combattere la povertà in modo più efficace.
Complimenti per l’analisi!