Bizzarro come in pochi mesi l’uomo a capo di una piccola nazione possa passare da farsi beffa dell’Italia, durante uno dei momenti più critici della sua storia recente, alle dimissioni forzate a causa di uno scandalo fiscale. Ricorderete tutti l’ingeneroso “No, i soldi non glieli diamo” pronunciato dal premier olandese Mark Rutte nell’aprile scorso in risposta ad un operaio che chiedeva espressamente di non concedere denaro ai cittadini italiani e spagnoli, quando nel Sud Europa eravamo nel pieno della prima ondata e il governo Conte stava cercando di ottenere la creazione di un debito comune europeo.
Nove mesi dopo l’unica parvenza di debito comune è data dal Next Generation EU, fondo sulla cui utilità è lecito nutrire più di una perplessità (per tempistiche, modalità, insufficiente quantità di denaro stanziato e per l’alternativa di finanziarsi con l’emissione di titoli di Stato), mentre la linea rigorista del governo Rutte si interrompe proprio per l’eccessiva intransigenza dei suoi funzionari.
Il Paese che, assieme ad Irlanda e Lussemburgo, è a tutti gli effetti il principale paradiso fiscale interno all’Eurozona, attua una concorrenza fiscale al ribasso e permette ai grandi imprenditori stranieri di eludere il fisco e privare il proprio Stato di ingenti quantità di denaro pubblico, paradossalmente finisce sotto i riflettori per una vicenda fiscale che non riguarda la libera circolazione di capitali nella zona Euro.
Nello specifico, il governo olandese si è dimesso perché circa 26 mila famiglie, durante il secondo e terzo governo Rutte, sono state accusate ingiustamente di frode e costrette ad indebitarsi per rimborsare dei sussidi per l’infanzia. Non solo, ad alcuni sono state addirittura confiscate la casa e l’auto. Kristie Rongen, una delle vittime dello scandalo, costretta a restituire circa 90 mila € e arrivata al punto da tenere spesso i figli a casa da scuola perché non poteva permettersi di pagare il cibo per i loro pasti, in un’intervista rilasciata a NOS ha affermato: ”Mi vergognavo e avevo paura che mi avrebbero portato via i bambini. Il peggio è arrivato quando anche mia figlia ha iniziato a soffrire. Non trovava più la forza per continuare a vivere.”
In Olanda le elezioni sono in programma a breve, il 17 Marzo, di conseguenza non è necessario anticiparle e nei prossimi due mesi resterà in carica un governo provvisorio, con poteri limitati all’ordinaria amministrazione e alla gestione della pandemia. Tutti i ministri rimarranno al loro posto ad esclusione di Eric Wiebes, ministro degli affari economici, che giustamente si è dimesso non appena sono trapelate le prime indiscrezioni sullo scandalo.
Rutte ha assunto la responsabilità indiretta ma non quella diretta e avrebbe intenzione di rimanere a capo del VVD (partito per la libertà e la democrazia) per rimettersi subito in gioco alle prossime elezioni. Su questa scelta molto discutibile sono in molti a storcere il naso, tra tutti la parlamentare Lilliane Ploumen ha dichiarato: “Appena prima della linea d’arrivo, il governo si dimette simbolicamente, ma i genitori danneggiati sono ancora fuori al freddo. Questo governo ha permesso che un’ingiustizia senza precedenti continuasse per anni".
Considerare la vicenda appena descritta soltanto come un grave errore burocratico sarebbe riduttivo: si tratta infatti di un’emblematica degenerazione della precisa scelta di politica economica di prediligere il consumo a debito dei privati, a fronte di una riduzione del supporto fornito tramite la spesa pubblica. Orientamento tipico di un approccio capitalista, porta ad un rapido accentramento della ricchezza nelle mani di pochi, aumenta la subordinazione dei ceti medio-bassi al settore finanziario e a poco a poco indebolisce il settore pubblico.
Lasciar prevalere un’impostazione simile per troppo tempo può generare un consistente aumento dell’instabilità finanziaria (le crisi del ’29 e del 2007 furono entrambe causate dall’eccessiva crescita dei debiti privati) e una graduale discesa della classe media fin sotto la soglia di povertà.
Nel concreto, tra i paesi europei l’Olanda al momento è al terzo posto per debito privato in percentuale al PIL. Soltanto Lussemburgo e Irlanda raggiungono livelli più elevati. L’Italia, contrariamente a quanto si possa pensare, si posiziona quindicesima in questa speciale classifica, dimostrando di avere un debito privato piuttosto basso, a cui corrispondono ovviamente un elevato risparmio privato e anche, come naturale controparte contabile, un ingente debito pubblico.
Parafrasando l’economista Augusto Graziani, il debito pubblico può essere sfruttato dallo Stato per allargare la base monetaria e aumentare la velocità di circolazione della moneta in modo da offrire a risparmiatori e imprese nuovi flussi di liquidità, senza costringerli ad indebitarsi privatamente. Due modelli di sviluppo socioeconomico agli antipodi. Quello capitalista (e neoliberista) dimostra per l’ennesima volta di non essere stato concepito per adattarsi ai bisogni della società.
Troppo spesso si generalizza, polarizzando lo scontro tra paesi del Nord e del Sud Europa, ma il recente scandalo dei funzionari del fisco olandese è solo l’ultimo esempio di come l’applicazione di un modello macroeconomico deflazionista porti al drastico aumento delle disuguaglianze anche all’interno dei paesi che maggiormente beneficiano della libera circolazione di merci e capitali.
Lo scontro non è soltanto tra Nord e Sud, ma soprattutto tra classi popolari di tutti i paesi da una parte e super ricchi dall'altra. Affinché le dimissioni di Rutte non restino solamente di facciata vanno interamente rimborsate tutte le famiglie coinvolte, ma le sofferenze che hanno patito lasciano traumi indimenticabili che non possono di certo essere spazzati via da un nuovo accredito sul conto.