17 marzo 2020: in piena emergenza Coronavirus, viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto “Cura Italia”. In considerazione della situazione di Alitalia, l’articolo 79 (comma 3) ha autorizzato “la costituzione di una nuova società interamente controllata dal Ministero dell’economia e delle Finanze ovvero controllata da una società a prevalente partecipazione pubblica anche indiretta.”
Così, tra le pieghe del “decretone antivirus”, Alitalia viene nazionalizzata.
A due mesi di distanza il dl Rilancio ha dato una ulteriore conferma del forte impegno assunto dal Governo: ai 500 milioni stanziati a marzo (ridotti ora a 350) sono stati aggiunti ben 3 miliardi per finanziare capitale sociale e patrimonio della nuova Alitalia.
Intanto, ad aprile era arrivato anche il parere favorevole della Commissione Europea, per bocca del commissario per la concorrenza Verstager, che ha fatto cadere il veto sulla creazione di una newco di proprietà statale. Un cambio di rotta deciso, considerando che solo qualche mese fa il Governo era finito nel mirino dell’antitrust europeo dopo l’ennesimo prestito (che ammontava a 400 milioni) concesso alla compagnia aerea.
Il virus, dunque, scombina le carte in tavola e il nodo di Gordio del futuro di Alitalia, dopo due decenni travagliati e tre commissariamenti, viene reciso con un colpo netto.
Questa operazione sembra allontanare definitivamente lo spettro del fallimento, che incombeva ormai da anni sulla società: ma quali sono le ragioni profonde di una tale svolta? E perché, nonostante la compagnia non registri un attivo di bilancio dal 2002, si sia arrivati a questo punto pur di non lasciarla fallire?
D’altronde, appena lo scorso febbraio la piccola Air Italy (ex Meridiana), vettore storico nei collegamenti tra la Sardegna e il continente, è stata liquidata senza che le istituzioni pubbliche siano (perlomeno finora) intervenute.
Tuttavia, almeno nel caso di Alitalia, ci sono ragioni più che sufficienti a giustificare il salvataggio della compagnia.
Innanzitutto, un eventuale fallimento avrebbe costi elevatissimi per lo Stato: diretti, come la cassa integrazione per gli oltre undicimila dipendenti della compagnia e il mancato gettito fiscale (Alitalia fattura oltre tre miliardi all’anno), e indiretti. Non dimentichiamo infatti che, pur avendo perso il primato in favore di Ryanair dopo anni di tagli alle linee e al personale, Alitalia rimane pur sempre la seconda compagnia aerea in Italia, con quasi 22 milioni di passeggeri trasportati nel 2018 (l’11% del traffico totale in Italia) e la prima per voli domestici, gestendo oltre un terzo del traffico interno (12 milioni di passeggeri): se smettesse di volare, i collegamenti interni e con l’estero ne risentirebbero pesantemente, con prevedibili ricadute sull’economia.
La questione fondamentale non è però puramente economica, bensì strategica. Alitalia è la compagnia di bandiera italiana: questo status la rende l’unico vettore autorizzato a collegare l’Italia con i Paesi con i quali non sussistono accordi di open skies. Attualmente, la liberalizzazione del traffico aereo è in vigore tra i paesi europei (Ue ed extra Ue, purché aderenti alla ECAA, European Common Aviation Area), con pochi altri vicini di casa (Marocco, Israele), e con Stati Uniti e Canada. Se crollasse Alitalia, chi ci garantirebbe i collegamenti con il resto del mondo? Probabilmente sarebbe un’altra compagnia europea a farlo, servendosi naturalmente dei suoi hub per i voli a lungo raggio. Così facendo, però, allontanerebbe importanti volumi di traffico dagli aeroporti italiani, una situazione non certo ideale per l’interesse nazionale.
Inoltre, come scrive il professor Ugo Arrigo, economista dell’università Bicocca che da anni studia il dossier Alitalia, anche nel caso in cui una compagnia straniera come Lufthansa comprasse Alitalia e con lei i suoi diritti di volo, avrebbe tutto l’interesse economico a deviare il traffico a lungo raggio verso gli hub a lei più favorevoli, penalizzando le rotte dirette con l’Italia. Secondo le stime della Banca d’Italia, nel 2019 l’indotto del turismo costituiva il 13% del Pil nazionale: a ben vedere, l’esistenza di un vettore forte di proprietà italiana è ben più che una mera questione di patriottismo.
L’importanza strategica diventa persino maggiore se consideriamo che l’Italia risulta ancora carente di spesa turistica, a confronto ad esempio con la Spagna: nel 2018 nel Paese iberico i turisti hanno speso quasi 90 miliardi, di cui ben 79,5 sono stati spesi da turisti arrivati in aereo. In Italia, nello stesso periodo i turisti hanno fruttato 41,7 miliardi, e di questi solo 26,6 miliardi sono “atterrati” in aereo, nonostante la Spagna abbia un minor numero di abitanti e un PIL decisamente inferiore a quello italiano.
Altrettanto importanti sono i collegamenti dall’Italia, e anche in questo ambito la compagnia di bandiera svolge un ruolo fondamentale, per via della questione degli slot. Cosa sono questi slot? Lo IATA (International Air Transport Association) li definisce come “il permesso di utilizzare l’intera gamma delle infrastrutture aeroportuali per svolgere le operazioni di arrivo e partenza di un aeromobile in un certo giorno ad una certa ora”. La cosa interessante è che l'assegnazione di gran parte di questi permessi da parte degli aeroporti avviene seguendo una regola consuetudinaria chiamata grandfather rule: ciascuna compagnia mantiene la serie di slot che ha acquisito nel corso della sua storia, purché durante la stagione riesca ad effettuare l’80% dei voli previsti in quelle fasce orarie.
Alitalia, avendo alle spalle oltre settant’anni di attività, possiede un patrimonio preziosissimo di slot nei maggiori aeroporti europei e mondiali. Basti pensare che nel 2012 la compagnia italiana incassò 30 milioni per la cessione di uno slot dell’aeroporto di Heathrow all’americana Continental, mentre in tempi più recenti ha fatto molto discutere la cessione di cinque coppie di slot ad Etihad (ex socio di minoranza di Alitalia) per “soli” 60 milioni.
Liquidare Alitalia significherebbe perdere per sempre questi slot, che verrebbero riassegnati ad altre compagnie, riducendo verosimilmente in maniera significativa i collegamenti tra l'Italia e i principali Paesi del mondo.
Certo, tutto questo accadeva prima del coronavirus. E oggi?
La pandemia sta avendo un impatto devastante su tutto il settore del trasporto passeggeri, con una perdita stimata del 35% del traffico aereo per il 2020 e costi enormi per la messa a terra di intere flotte. Ancora non sappiamo se e in quale misura questo evento metterà in discussione la struttura logistica della globalizzazione, di cui i collegamenti aerei sono un elemento nevralgico. Quello che sappiamo è che la tempestiva nazionalizzazione di Alitalia potrebbe risultare decisamente utile in questa situazione drammatica.
La compagnia italiana, oltre ad aver garantito, insieme alla compagnia charter Neos e alla low cost Blue Panorama, più di centomila rimpatri di cittadini italiani bloccati all’estero, e i collegamenti essenziali sin dall’inizio dell’emergenza, potrebbe rivelarsi un’arma molto importante per sostenere la ripresa dell’economia nei prossimi anni. A tal proposito, il ministro Paola de Micheli ha affermato che Alitalia “è strategica: lo era prima, oggi lo è più che mai. Alitalia è stata, è, e tornerà ad essere il vettore nazionale, perché abbiamo bisogno di avere uno strumento di attrazione trasportistica internazionale delle persone per farle tornare in Italia”.
Il controllo pubblico permetterà certamente alla compagnia di attuare strategie a lungo termine ed investimenti più coraggiosi, non vincolati ad una pura logica di profitto ma volti a sostenere la ripresa del Paese.
Non è un caso che in tutti i paesi europei i governi stiano intervenendo in maniera poderosa a sostegno del settore del trasporto aereo: Air France ha ricevuto prestiti garantiti dallo Stato per 7 miliardi, mentre il 20 maggio Lufthansa ha raggiunto un accordo con il governo tedesco per l’acquisizione del 20% del capitale della compagnia.
Insomma, in uno scenario in cui gli Stati sono costretti a riprendere in mano i settori strategici, per Alitalia si presenta una occasione da non perdere.
Bibliografia:
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Banca d’Italia, Indagine sul turismo internazionale, collana Statistiche, 2019
Bernardini M., Alitalia: l’importanza di un vettore strategico per il made in Italy, Università LUISS, Dipartimento di Impresa e Management, 2019
De Blasi R., Gnesutta C., Alitalia, una privatizzazione italiana, Donzelli Editore, 2009
ENAC (Ente nazionale per l’aviazione civile), Dati di traffico 2018, Direzione sviluppo studi economici e tariffe, 2019
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Decreto Legge del 17 marzo 2020, n. 18, Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, (Pubblicata in G. U. 17 marzo 2020, n.70 - Serie generale)
Decreto Legge del 19 maggio 2020, n. 34, Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, (Pubblicata in G. U. 19 maggio 2020, n. 128 - Serie generale)
Sitografia:
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Tremolada S., Il cielo sopra l’Europa non è mai stato così vuoto. I numeri del traffico aereo in lockdown, aprile 2020, https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/04/15/il-cielo-sopra-leuropa-non-e-mai-stato-cosi-vuoto-i-numeri-del-traffico-aereo-in-lockdown/
Aeropuertos Españoles y Navegación Aérea S.A. http://www.aena.es/
Alitalia, https://www.alitalia.com/
Associazione italiana gestori aeroporti, https://assaeroporti.com/
Ente nazionale per l’aviazione civile, https://www.enac.gov.it/
Instituto nacional de estadística, https://www.ine.es/