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Economia nelle scuole? Sì, ma partendo dalla storia del pensiero

È una proposta che a ondate ritorna: introdurre l’insegnamento dell’economia nelle scuole superiori. E ogni volta suscita dibattiti anche accesi. Questa volta l’idea viene avanzata da Emilio Carnevali, economista del Government Economic Service del Regno Unito, con un articolo su Sbilanciamoci.info, storica piattaforma degli economisti critici. 

Tuttavia, proprio alcuni economisti critici hanno espresso le loro perplessità sul tema. L’argomento principale contro l’introduzione dell’economia alle superiori è il rischio che il suo insegnamento non sia pluralista e aperto, ma, come spesso accade nei primi anni di università, sia imperniato esclusivamente sulla visione neoclassica.

Marcello Spanò ha esposto bene il problema in un post Facebook, affermando che vi è il pericolo che il modus docendi mainstream venga travasato alle superiori così com’è nei corsi triennali di economia. Il risultato sarebbe, secondo Spanò, di indottrinare giovani ancora più malleabili rispetto agli universitari e impostare l’insegnamento dell’economia come “una squallida accumulazione di conoscenze per la conquista della verità oggettiva”. Secondo questa visione, prima sarebbe meglio riequilibrare i rapporti di forza all’interno del campo culturale degli economisti, per evitare che il monopolio dell’insegnamento alle superiori sia conquistato senza troppo sforzo dai neoclassici.

D’altra parte, non si può ignorare che l’economia ha ormai pervaso quasi ogni settore della vita in società. Nonostante ciò, come fa notare Carnevali, pochissime persone hanno gli strumenti e la consapevolezza per comprendere il discorso economico. Una soluzione proposta è quella di inserire l’insegnamento dell’economia nelle scuole che ad essa sono ancora impermeabili, come il classico o lo scientifico.

Carnevali ha presente l’obiezione di cui abbiamo parlato all’inizio ed è cosciente dei rischi collegati all’”economia dei manuali”, spesso autoreferenziale e ideologica. Ma crede comunque che ciò non esaurisca la realtà dell’insegnamento economico. Anzi, l’economia può servire proprio a “evitare di essere ingannati dagli economisti”, per citare Joan Robinson.

Tuttavia, a parere di chi scrive, Carnevali è troppo ottimista sui risultati dell’introduzione dell’economia alle superiori. Egli ritiene che “fornire agli studenti una alfabetizzazione economica e finanziaria di base significherebbe formare cittadini e professionisti più consapevoli”. Ma i risultati dipendono dal come viene fornita l’alfabetizzazione economico-finanziaria. L’autore, però, non si avventura nei dettagli.

Inoltre, la scuola dovrebbe dare ai ragazzi gli strumenti per diventare più consapevoli, invece di cercare di formare direttamente individui più consapevoli. Non esiste una consapevolezza sciolta dalle convinzioni e dalla visione del mondo. Sembrano sottigliezze, ma d’altronde a volte è sottile anche la differenza fra istruzione e indottrinamento.

Comunque, la proposta di Emilio Carnevali è da tenere in considerazione. Come superare però le legittime obiezioni?

Cerchiamo di imparare dagli errori dell’università. Nei miei anni di triennale, mi è stata insegnata un’infinità di nozioni economiche: utilità, vincolo di bilancio, risparmio, ecc. Ricordo una delle mie prime lezioni. Il docente spiegava l’idea di mercato che si autoregola e io, ingenua matricola, alzai la mano e dissi: “Ma non è fallace questo concetto?”. L’insegnante mi gelò con lo sguardo, mi diede una risposta sbrigativa e poi proseguì la lezione.

Per capire le vere radici e l’autentico significato delle nozioni che mi venivano propinate a lezione, dovetti aspettare l’ultimo anno, quando frequentai un corso (opzionale) di storia del pensiero economico. Mi si aprì un mondo. Capii appieno che la maggior parte delle idee che mi erano state insegnate appartenevano a una scuola economica ben precisa, quella marginalista. Ebbi conferma del fatto che, sì, alcune teorie davano una risposta alla mia domanda di matricola sulla mano invisibile. E soprattutto mi innamorai definitivamente dell’economia, perché iniziai a vederla come un terreno dove era possibile la battaglia delle idee.

Dato che l’obiettivo di chi vuole far entrare l’economia a scuola dovrebbe essere quello di far ragionare i ragazzi sugli aspetti economici della realtà, il modo migliore per farlo è insegnare la storia del pensiero economico. Essa infatti assolve a due compiti: introduce nozioni importanti (come investimenti, salari e profitti) e allo stesso tempo ha un atteggiamento pluralista.

Dal punto di vista pratico, la si potrebbe inserire nei corsi di filosofia. D’altronde, i primi economisti erano filosofi. Alcuni di loro (come Smith e Marx) sono già studiati nei licei. Basterebbe introdurre nei programmi un paio di altri economisti classici, alcuni marginalisti, Keynes e altri esponenti del pensiero economico del Novecento per avere delle buone basi.
Invece, nelle scuole in cui non si studia filosofia, si può inserire un modulo di storia del pensiero economico all’interno del corso di storia. In questo modo, si può dare conto in maniera più completa del panorama culturale di ogni epoca.

Così si riuscirebbe ad avere un’infarinatura generale su “cosa è l’economia”.

Ma lo spread? E il quantitative easing?

Tranquilli, c’è una soluzione anche per la conoscenza più tecnica. Usiamo seriamente il corso di educazione civica dividendolo a metà fra diritto (Costituzione, organizzazioni sovranazionali, etc.) ed economia. In questa parte dovrebbero essere insegnate soltanto le nozioni più tecniche di contabilità nazionale e linguaggio economico: si eviterebbe così il rischio di indottrinamento.

In questo modo avremmo risolto il problema. La parte di teoria economica sarebbe coperta dal modulo di storia del pensiero (che sarebbe per forza di cose vario e pluralista), la parte di educazione finanziaria in un modulo apposito da inserire nel corso di educazione civica. Non vale la pena di buttare il bambino (l’economia), con l’acqua sporca (il rischio di un insegnamento ideologico).


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Data
20 Maggio 2020
Articolo di
Alessandro Bonetti

Alessandro Bonetti

TAG
economia, scuola

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Alessandro Bonetti

Alessandro Bonetti

Alessandro Bonetti è giornalista e analista economico. Coordina la rivista Kritica Economica, che ha fondato, e scrive per Il Fatto Quotidiano e altre testate. È laureato in Economia e Scienze…

Commenti

  1. Ettore 20 Maggio 2020 alle 18.32

    L’Economia e soprattutto la Finanza sono,da almeno 20 anni,al centro di tutto mentre il tasso di Analfabetismo Economico è elevato; e questa distonia è perniciosa per la Democrazia.Queste cose le ho anche scritte in questo ebook che ho pubblicato da poco per chi volesse dargli un’occhiata:https://www.hoepli.it/libro/le-impopolari-verita-sulle-tasse-e-sulla-spesa-pubblica-che-i-politici-e-la-tv-non-raccontano/9788831661973.html?origin=google-shopping&gclid=CjwKCAjwqpP2BRBTEiwAfpiD-xvFW0Ow3DNeGhytsX6ZGNYPHDZkjE5wricKY0-6Qlm1DRjDRehasRoCblMQAvD_BwE

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