La Cassa depositi e prestiti, nata nel 1850 per raccogliere i depositi obbligatori, subì una profonda e innovativa trasformazione alla metà degli anni Settanta, quando divenne “Cassa Depositi Centrale del risparmio postale” con il compito di mobilitare, attraverso la neonata rete postale, il piccolo risparmio in favore degli enti locali per la creazione di capitale fisso sociale, vero e proprio tassello dell’unificato mercato nazionale.
Fin dalle origini fu dunque un’istituzione attiva nel circuito dell’intermediazione finanziaria e strategica per l’infrastrutturazione del Paese. Tuttavia, la sua operatività non rimase confinata al circuito del credito, ma si rivelò presto fondamentale per il finanziamento dello Stato attraverso la sottoscrizione dei titoli di Stato sul mercato secondario: possedendo all’inizio del Novecento oltre due miliardi di lire del debito pubblico, la Cassa svolse un ruolo centrale, troppo spesso dimenticato da storici ed economisti, quando nel 1906 partecipò alla cosiddetta “conversione della rendita” attraverso la quale il tasso fisso pagato sui titoli del debito passò dal 5% al 3,75%; un’operazione questa che ben si inseriva nella strategia di politica economica giolittiana finalizzata al risanamento dei conti pubblici ed al mantenimento della lira entro i “punti dell’oro”.
Altro aspetto rilevante, anch’esso sottaciuto, fu il ruolo sistemico esercitato da Via Goito nel processo di industrializzazione del Nord-Ovest: le rimesse dei migranti, in gran parte meridionali, furono intercettate dal sistema postale ed andarono a finanziare in quegli anni la bilancia dei pagamenti del Paese permettendo l’importazione di macchinari all’avanguardia e più in generale delle tecnologie avanzate provenienti dall’estero. La Cassa Depositi e Prestiti, dunque, agì lungo due direttrici: prestiti verso gli enti locali e finanziamento del Tesoro, compiti questi che non vennero meno neanche durante gli anni del primo conflitto dove gran parte delle risorse vennero inevitabilmente impiegate nella sottoscrizione dei prestiti di guerra.
Con l’affermarsi del regime fascista, la politica economica del Paese virò verso una stretta monetaria in chiave deflattiva facendo sì che l’Istituto, accanto alle due tradizionali attività, supportasse la creazione di consorzi bancari per sopperire alla mancanza di liquidità nel settore del credito. Ma saranno gli anni Trenta a far risaltare il ruolo sistemico della Cdp. Da un lato, la crisi del ’29 spinse il regime a servirsi della Cassa nel processo di ridefinizione della struttura proprietaria dell’economia italiana; Via Goito mise a disposizione i fondi per l’IRI e partecipò attivamente al salvataggio del sistema creditizio del Paese attraverso l’IMI. Dall’altro, il crollo delle banche “universali”, unitamente all’introduzione del buono fruttifero postale, creò l’opportunità, prontamente sfruttata, di convogliare il risparmio verso un soggetto pubblico come la Cassa che arrivò così a detenere il 50% dei depositi.
Sicuramente in questo nuovo modo di concepire il rapporto tra economia e Stato influì tanto la necessità di ricostruire la fiducia dei risparmiatori verso le istituzioni dello Stato, quanto la teoria di Keynes sulla preferenza per la liquidità, in cui aspettative e fiducia divengono formalmente variabili chiave nella determinazione della politica economica.
Nel secondo dopoguerra, la posizione privilegiata della Cassa, ottenuta attraverso un differenziale di rendimento positivo offerto dal bancoposta nei confronti del settore privato, cessò. Se negli anni Quaranta le risorse dell’Istituto erano indispensabili per il finanziamento del Tesoro, nel decennio successivo l’esigenza di ricondurre il circuito del risparmio verso soggetti privati, l’operazione di central banking attuata da Menichella e tesa a ricondurre il controllo della massa monetaria sotto Palazzo Koch, nonché le spinte politiche della classe dirigente liberale, portarono, nel 1953, alla fine del vantaggio competitivo sul fronte della raccolta. Da quel momento in poi, fino alla fine del secolo, la Cassa sperimentò un declino in termini relativi nella quota depositi e concentrò i propri impegni finanziari in prestiti agli enti locali, sempre più gravati dalle repentine trasformazioni socioeconomiche e demografiche dell’Italia del miracolo economico.
Una volta ripercorsi i passaggi chiave durante il diciannovesimo e ventesimo secolo, occorre soffermarsi con maggiore attenzione alla riforma del 2003, non solo poiché definisce l’assetto dell’attuale Cassa depositi e prestiti, ma anche perché costituisce uno spartiacque nella sua operatività. Con la legge n. 323 del 2003, la Cassa venne trasformata in Società per Azioni, ma lo Stato mantenne la maggioranza nel capitale sociale. La riforma fu promossa con decisione dall’allora Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il quale, superando le resistenze parlamentari e quelle di Banca d’Italia, volle adeguare l’istituto italiano alle “sorelle” francesi e tedesche: la Kreditanstalt fur Wiederaufbau Bankengruppe (KfW), ossia Banca della Ricostruzione, e la Caisse des Dépôts et Consignation (CDC). La trasformazione in S.p.A. permise da un lato di creare un modello di Cassa il più possibile flessibile e dall’altro, ottenendo da Eurostat la qualifica di market unit, di far uscire l’istituto dal perimetro delle amministrazioni pubbliche.
In questo modo, la Cdp poteva assumere partecipazioni e soprattutto far sì che un’eventuale espansione della sua attività finanziaria non andasse ad incidere sul disavanzo di bilancio: un espediente contabile significativo, se si tiene conto delle rigide regole sul debito dell’Unione Europea. Dal punto di vista della struttura organizzativa, la riforma del 2003 stabilì per la Cassa la fissazione di un “sistema separato ai soli fini contabili ed organizzativi, la cui gestione è uniformata a criteri di trasparenza e salvaguardia dell’equilibrio economico”. [1] In questa gestione “separata”, ritroviamo la tradizionale attività di raccolta e mobilizzazione del risparmio postale, che continua a godere della garanzia statale. Parallelamente alla gestione separata, la riforma istituì una gestione ordinaria, avente ad oggetto l’investimento in gestori pubblici, organizzati nella forma di società di capitali, per finanziamenti di opere, impianti, reti e servizi. Questa gestione si sostiene attraverso l’emissione di obbligazioni senza la garanzia statale.
Si tratta, in sostanza, di un modello organizzativo duale unico nel suo genere. In virtù della sua forma “bicefala”, dunque, nel 2006 la Cdp venne qualificata come “istituzione finanziaria monetaria”, non iscritta all’albo bancario, soggetta alla riserva obbligatoria, ma non alle regole prudenziali di vigilanza. Ma è sotto il profilo operativo che la “nuova” Cassa mostrò fin dal 2003 tutto il suo ritrovato protagonismo, acquisendo dal Ministero di Economia e Finanza pacchetti di partecipazioni nelle utilities di Stato come Eni, Enel Terna e poi Snam e F2i (il maggiore gestore indipendente italiano di fondi infrastrutturali), divenendo in questo modo una vera e propria holding pubblica che “si è surrogata di fatto nella funzione di indirizzo imprenditoriale sulle partecipazioni pubbliche”. [2]
In seguito alla recessione innescata nel 2008 dalla crisi dei subprime e prolungatasi in seguito alle politiche di austerità, la Cassa venne chiamata a sostenere l’economia del Paese. Ciò che rileva ai nostri fini è comprendere il ruolo sistemico esercitato da Cdp durante questi anni e in questo senso si può evidenziare come la Cassa abbia potuto ampliare notevolmente la propria attività sul fronte della gestione ordinaria, mostrando tutta la flessibilità di intervento di cui era stata dotata: tra il 2008 e il 2013 ha aumentato del 60% le acquisizioni di partecipazioni azionarie per un valore complessivo di 33 miliardi di euro. [3] Tra le diverse operazioni compiute, la più significativa è sicuramente stata la rilevazione dal MEF dell’intero capitale di Finteca, gruppo nato nel ’93, che raccoglieva oltre 200 aziende di Stato tra cui Fincantieri e Tirrenia. Durante gli anni della crisi, la Cassa ha inoltre giocato un ruolo chiave nella difesa dei settori strategici dalle incursioni dei capitali esteri attraverso una stretta collaborazione con il Fondo Strategico Italiano (FSI), creato nel 2011.
Se questa attività è stata portata a termine con successo durante gli anni più bui della crisi, la stessa cosa non può essere detta per la fase successiva, ovvero quella della stagnazione. Durante questo periodo, infatti, in particolare a partire dal 2014, una parte importante del tessuto industriale italiano è stata oggetto di acquisizioni straniere sia europee che extra-comunitarie. La Cassa si era presentata alla fine del decennio con un ambizioso piano industriale da 111 miliardi con l’intento di smuovere l’anemica crescita del Paese. La crisi pandemica ha costretto Via Goito ad esercitare, come durante le precedenti crisi, un ruolo primario tanto sul fronte degli investimenti, quanto su quello “imprenditoriale”. Cdp ha infatti dapprima varato un maxipiano di rinegoziazione dei mutui con gli enti locali dal valore complessivo di 1,4 miliardi e, successivamente, erogato, attraverso la controllata SACE, azienda attiva nell’export credit, come disposto dal decreto liquidità, 200 miliardi di euro in favore delle imprese esportatrici.
Inoltre, Via Goito svolgerà un ruolo significativo nella ricapitalizzazione delle imprese aventi ricavi maggiori ai 50 milioni di euro: nello specifico, il “Decreto Rilancio” autorizza la Cdp a costituire un “patrimonio destinato” da 44 miliardi di euro alimentato da apporti del Ministero dell’Economia, principalmente titoli di Stato. Ma è nelle operazioni di mercato che si è manifestato il forte attivismo dell’Istituto: durante il 2020 la Cassa attraverso Cdp Equity ha portato avanti dapprima la fusione tra la controllata Sia e l’inglese Nexi, creando la più grande paytech d’Europa nel settore dei pagamenti digitali e, successivamente, acquisito il 7,3% del capitale di Euronext nell’ambito dell’operazione Borsa Italia.
Inoltre, Cassa depositi e prestiti è in trattative con Atlantia per l’acquisto di Autostrade per l’Italia, un’operazione che se andasse in porto rafforzerebbe ulteriormente la presenza pubblica nelle infrastrutture del Paese. Ma l’operazione che desta maggiore attenzione è sicuramente quella sulla rete unica in cui appare inevitabile che la Cassa, essendo azionista di Tim e di Open Fiber, i due soggetti interessati dalla fusione, prenda il controllo della nuova società garantendo, al contempo, la neutralità della rete dagli operatori e il controllo dello Stato in un settore tanto delicato come è quello delle telecomunicazioni.
Abbiamo dunque visto come la Cassa, fin dalle sue origini, abbia svolto un ruolo sistemico per la finanza pubblica, gli investimenti e l’industria del Paese, tuttavia la grave congiuntura, nonché i difetti strutturali che affliggono la nostra economia impongono un ulteriore ampliamento dei suoi compiti istituzionali e, per poter delineare brevemente alcune proposte, può risultare utile paragonare la nostra Cdp alle omologhe francesi e tedesche. La Caisse des Dépôts et Consignation e soprattutto la tedesca Kfw svolgono il proprio ruolo istituzionale in modo più ampio e flessibile: per esempio l’Istituto di Promozione tedesco finanzia il tessuto delle imprese facendo leva quasi esclusivamente sull’emissione obbligazionaria con garanzia pubblica, una pratica che, se attuata con le medesime dimensioni anche dalla Cassa depositi e prestiti, aumenterebbe notevolmente le capacità di sostegno all’imprenditoria del Paese. Anche sulla base dell’esempio francese, si dovrebbe affermare un vero e proprio modello di “banca pubblica per gli investimenti”: un qualcosa che come accennato si sta tentando di fare con il fondo “patrimonio destinato”, ma che andrebbe rafforzato e inserito in un più ampio disegno di politica industriale.
In conclusione, nonostante la profonda riorganizzazione e ridefinizione dei ruoli, la Cassa ha saputo gestire la transizione al nuovo modello con grande efficienza e flessibilità; ed è proprio la capacità all’adattamento il maggiore punto di forza che ha da sempre caratterizzato la sua virtuosa storia. Le diverse attività svolte in questo secolo e mezzo ci dimostrano come flessibilità e adattabilità siano state le maggiori qualità gestionali impiegate per far fronte alle innumerevoli sfide e difficoltà della nostra storia unitaria. Caratteristiche queste destinate a essere determinanti nel mondo globalizzato in cui viviamo. Con la fine dello “Stato imprenditore”, la Cassa è chiamata, ancor di più che in passato, a riempire il vuoto lasciato, impostando un’ambiziosa strategia economica volta al rilancio del sistema Paese.
La recente linea d’azione costituita da interventi quali finanziamenti “corporate”, il “project financing”, l’acquisizione di importanti quote partecipative in società strategiche e profittevoli e la sottoscrizione di fondi equity infrastrutturali, va proprio in questa direzione. Con l’emergere della nuova grande recessione, la tendenza a una maggiore presenza di Cdp nell’impresa e nella finanza italiana appare ineluttabile. La Cassa, con i propri piani industriali, de facto accompagna la politica economica del governo, se non addirittura vi si sostituisce, considerando la precaria stabilità delle maggioranze dell’esecutivo e soprattutto l’asfissiante vincolo esterno rappresentato dai mercati e dalle norme europee. Dunque, alla luce di quanto espresso, è opportuno affermare che il giudizio complessivo su questi primi vent’anni della “nuova Cassa” è senza dubbio positivo. Certamente molto di più poteva essere fatto, ma l’aver saputo insediare un presidio nell’economia di mercato moderna ha rappresentato e rappresenta per le sfide del domani un’inestimabile risorsa.
Riferimenti:
[1] D. Colaccino, La dismissione e la razionalizzazione di partecipazioni societarie dello Stato, in Giornale di diritto amministrativo, 12/2012
[2] G. Di Gaspare, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, Cedam, Padova, 2011
[3] M. De Cecco, G. Toniolo, Storia della Cassa depositi e prestiti. Un nuovo corso: la società per azioni, Laterza, Bari, 2014
[5] https://it.businessinsider.com/banche-decreto-rilancio-garanzia-passivita-patrimonio-destinato/