1) Le origini della controversia
Era il 1920 quando l’economista austriaco Ludwig von Mises dava alle stampe un ambizioso articolo intitolato Il calcolo economico in un’economia socialista. Inizialmente confinato a una discussione teorica nell’area germanofona e ritenuto poco più di una voce fuori dal coro della montante insoddisfazione verso il laissez faire, il saggio godette di una rinnovata fama quando venne tradotto in inglese dal suo allievo di maggior arguzia, Friedrich von Hayek, per essere ripubblicato nel 1935 in un volume collettaneo dal titolo Collectivist Economic Planning.
L’obiettivo esplicito del testo, di cui il saggio d’apertura di Mises costituiva il principale riferimento teorico, era di mettere in guardia la società europea (in particolare gli accademici, secondo gli autori molto sensibili alle mode intellettuali) da un’illusione ritenuta deleteria: che un’economia a totale o prevalente proprietà pubblica dei mezzi di produzione potesse funzionare in maniera razionale, garantendo un utilizzo efficiente delle risorse e maggiore giustizia sociale. Gli argomenti sostanziali della critica alla pianificazione economica rimarranno gli stessi anche negli sviluppi successivi del dibattito, che vedrà come principali protagonisti Lionel Robbins e lo stesso Hayek, contrapposti a Maurice Dobb e Oskar Lange. I primi si adopereranno per riaffermare le virtù irrinunciabili del mercato, i secondi tenteranno una difesa della pianificazione scientificamente rigorosa, pur confutando le tesi liberiste austriache da riferimenti teorici opposti.
Nonostante il dibattito sia stato oggi quasi dimenticato, le ragioni che l’hanno mosso e le questioni che solleva riemergono nell’attualità tra le manifestazioni sintomatiche del neoliberismo. Gli squilibri ecologici ormai irreversibili, la disoccupazione di massa a dispetto di giganteschi bisogni insoddisfatti, la distribuzione del reddito che tende a polarizzarsi sono alcuni dei fenomeni strutturali che chiamano a riflettere sulle patologie dell’ordine sociale di mercato e sui criteri possibili di un’organizzazione economica alternativa. Se il crollo del socialismo reale sembrava aver condannato le riflessioni di Dobb e Lange all’anacronismo, le condizioni presenti ne dimostrano invece la rilevanza, rendendo possibile una nuova discussione critica.
2) Mises e la fallacia della pianificazione
Seguendo la ricostruzione di Claudio Napoleoni ne Il pensiero economico del 900, uno dei pochissimi testi in grado di affrontare con profondità la vexata quaestio riconducendola ai suoi fondamenti, la tesi di Mises è, in sostanza, la seguente:
Poiché scopo dell’economia, in qualunque contesto istituzionale, è quello dell’utilizzo più efficiente di risorse scarse nel perseguimento di certi fini, ne segue che ogni economia, per poter operare le scelte che l’efficienza della gestione richiede, ha bisogno che le risorse a disposizione possiedano dei rigorosi indici di scarsità, in mancanza dei quali ogni base per il raggiungimento di suddetta efficienza viene meno (Napoleoni, 1963, p. 150).
Il solo modo per disporre degli indici di scarsità, prosegue Mises, è permettere che funzioni integralmente (dove già esiste) o che si formi (dove ancora manca) un libero mercato dei beni e delle risorse:
I prezzi relativi misurano le scarsità relative e perciò l’assumerli come punto di partenza è condizione necessaria per la razionalità, cioè per l’efficienza, del processo di scelta (Napoleoni, 1963, p.150).
La critica di Mises alla pianificazione viene strutturata in due sotto-argomentazioni consequenziali: nella prima si sostiene che il sistema dei prezzi è indispensabile per qualsiasi economia e in qualunque contesto istituzionale, nella seconda che gli indici di scarsità possono formarsi esclusivamente in un sistema di mercato, in cui la domanda e l’offerta di beni e fattori produttivi vengono liberamente determinate dalle decisioni degli agenti economici. La conclusione è inevitabile: essendo l’economia pianificata per definizione priva di un sistema completo di mercati, verrebbe meno ogni criterio di scelta e le conseguenze inevitabili sarebbero l’arbitrio, il disordine e lo spreco. Il giudizio di Mises riguarda anche i gradi intermedi, ritenuti dagli austriaci intrinsecamente degenerativi, per cui ogni limitazione del mercato dovuta a interferenze pubbliche persistenti e permanenti sarebbe un allontanamento dall’ottimale organizzazione economica, che si avrebbe solo se il sistema dei prezzi fosse sgravato da qualsiasi vincolo esterno.
3) Dobb e la natura della pianificazione
Muovendo da una prospettiva analitica classico-marxiana, incentrata sull’interdipendenza delle variabili economiche e la conflittualità strutturale del modo di produzione capitalistico, Maurice Dobb elabora la sua difesa della pianificazione in una serie di articoli apparsi perlopiù nel corso degli anni Trenta (su tutti Economic Theory and the Problems of a Socialist Economy del 1933), poi raccolti in un volume pubblicato nel 1955 e intitolato On economy theory and socialism.
Secondo l’economista inglese, la critica di Mises, per quanto formalmente coerente, non può ritenersi nella sostanza rilevante perché manca totalmente il bersaglio. I prezzi come indici di scarsità, se possono ambire a stabilire l’uso efficiente delle risorse date [1], nulla dicono di un aumento quantitativo delle risorse stesse, né possono conferire giudizi di valore sulla loro destinazione e quindi sui percorsi di sviluppo possibili della società. I vantaggi della pianificazione, proprio in quanto sistema sostitutivo del mercato, non vanno quindi ricercati nell’allocazione di risorse date, ma nella capacità di aumentare e mobilitare le risorse stesse per raggiungere efficacemente fini socialmente determinati, ossia secondo una scala di bisogni. Scrive Dobb:
Si può esprimere il succo della questione dicendo che la pianificazione, come meccanismo economico, ha fondamentalmente la funzione di sostituire la coordinazione ex ante degli elementi costitutivi di uno schema d’equilibrio – prima cioè che le decisioni si siano incarnate in azioni e impegni effettivi – alla coordinazione ex post che un sistema decentrato di prezzi fornisce attraverso l’effetto di «revisione» dei movimenti di prezzo, che sono l’effetto successivo e generalmente ritardato di precedenti decisioni (Dobb, 1960, p. 105).
La coordinazione a monte delle decisioni economiche è particolarmente importante quando cresce l’interdipendenza e la complementarità tra i diversi investimenti produttivi, come nel caso di un’economia tecnologicamente avanzata o, all’opposto, in contesti di sottosviluppo. In entrambi i casi, l’efficacia di una decisione presa in un punto del sistema dipende fortemente da altri provvedimenti paralleli e simultanei presi in punti diversi, a monte o a valle del processo economico.
Di conseguenza, certe direzioni di sviluppo (o anche l’avvio stesso di un processo) diventano possibili solo se il sistema viene «centralmente pianificato come un tutto organico» (Dobb, 1960, p. 104), permettendo la realizzazione delle aspettative necessarie affinché un determinato cambiamento si verifichi attraverso tutte le procedure intermedie che esso richiede. Il meccanismo del piano, continua Dobb, è il solo che può eliminare quell’incertezza soggettiva di ogni operatore economico relativa alle azioni presenti e future degli altri operatori economici, tipica di un’economia decentralizzata. La mancanza di una coordinazione a monte, soprattutto quando cresce l’investimento in capitale fisso e con esso la rilevanza dell’elemento tempo per l’adeguamento delle decisioni economiche, fa tendere le diverse parti dello schema di sviluppo «verso forme che comportano squilibri, frustrazioni e distorsioni» (Dobb, 1960, p. 105).
Lo spreco delle risorse, imputata da Mises all’incapacità della pianificazione di agire in base a criteri d’efficienza, si manifesta, secondo le argomentazioni di Dobb, tipicamente nel mercato, essendo connotata alla sua anarchia produttiva che non permette una visione d’insieme del sistema economico e non riesce a porsi, se non strumentalmente, fini collettivi. Questa la ragione per cui vengono intrapresi programmi di pianificazione, più o meno estesi, anche nell’ambito delle economie di mercato e perfino da governi liberali o conservatori: sono necessari a mobilitare un’enorme quantità di risorse economiche nel minor tempo possibile, che altrimenti rimarrebbe inutilizzata o sottoimpiegata. È il caso, ad esempio, delle crisi recessive o delle emergenze da shock esogeni, dove il mercato tende a invilupparsi in spirali deflazioniste anche di lungo periodo.
La prospettiva di Dobb fa dunque luce sulla differente natura del mercato e della pianificazione, che rispondono a domande diverse e di differente rilevanza: l’allocazione efficiente delle risorse in base alla domanda pagante e una distribuzione della ricchezza ritenuta una condizione esogena, per il primo, la coordinazione dello sforzo produttivo collettivo al fine soddisfare i bisogni sociali e aumentare le risorse da destinare agli scopi prefissati, per il secondo. La preferenza, di conseguenza, diventa innanzitutto politica sulla base della consapevolezza economica, che in Dobb è in primo luogo critica della società borghese.
4) Lange e il socialismo di mercato
Molto diverso è l’approccio dell’economista polacco Oskar Lange, che a partire da due articoli pubblicati tra il 1936 e il 1937, intitolati On the economic theory of socialism, propone un’interpretazione della pianificazione economica in cui accetta la prima sotto-argomentazione di Mises (al sistema dei prezzi non si può del tutto rinunciare, se non a prezzo di gravi inefficienze), ma tenta di confutare la seconda, per la quale i prezzi esistono esclusivamente in una economia di mercato, ossia a proprietà privata dei mezzi di produzione.
Il tentativo è ambizioso e affascinante: confutare le tesi austriache dall’interno della prospettiva marginalista. Lange parte infatti dalla rivisitazione del massimo risultato scientifico dell’economia neoclassica, il modello dell’equilibrio economico generale elaborato da Léon Walras nel 1874, secondo cui il problema allocativo dell’economia si risolverebbe attraverso un sistema di equazioni simultanee in presenza di un sistema completo di mercati. Rielaborando lo schema originario, basato sul ruolo dirimente di un ipotetico banditore capace di ripristinare istantaneamente l’equilibrio tra domanda e offerta nei diversi mercati, Lange dimostra che i prezzi, intesi come indici di scarsità relativa, possono formarsi anche in assenza di un mercato reale. Concepisce quindi un insieme di imprese a proprietà pubblica, con ampia autonomia nel definire la combinazione di risorse, attribuendo però all’organo centrale del piano il compito di fissare gli orientamenti produttivi e i prezzi di conto iniziali, sulla base dei quali le imprese (definite unità produttive) possono prendere le loro decisioni. Se una volta effettuati gli investimenti e prodotti i beni viene a crearsi uno squilibrio tra domanda e offerta, l’organo centrale interviene per modificare i prezzi, adeguandoli alle necessità effettive e alle nuove condizioni, in un processo di progressivo adattamento per tentativi ed errori.
Diversamente dal banditore walrasiano tradizionale, in cui il processo economico è virtualmente congelato finché non si siano formati i prezzi di equilibrio, Lange propone un modello di economia pianificata in disequilibrio reale, dove l’uguaglianza tra domanda e offerta in tutti i settori non è persistente, né stabile. Ad ogni modo, secondo la sua costruzione teorica le prerogative del meccanismo di mercato verrebbero comunque combinate con i vantaggi della pianificazione, dal momento che sarebbero presenti indici di scarsità in grado di allocare con efficienza le risorse e allo stesso tempo la capacità di sviluppo del sistema economico non verrebbe deviata dagli sprechi, quindi da investimenti abbandonati o da una insufficienza di essi in alcuni punti del processo produttivo. La decentralizzazione produttiva viene infatti concepita come l’organizzazione pratica di un’unica procedura decisionale, garanzia di raggiungimento degli scopi fissati dall’organo pianificatore.
È evidente come Lange non riesca a immaginare un’economia pianificata se non come replica, benché con altri obiettivi e rapporti di produzione, del meccanismo di mercato. Lo riconosce anche Napoleoni, che però attribuisce alle tesi dell’economista polacco importanti meriti:
Con Lange, per la prima volta un sostenitore della pianificazione riconosce la serietà della critica di von Mises. Prima di Lange, infatti, la letteratura socialista era stata caratterizzata dall’incapacità di rendersi conto di quali siano i problemi effettivi di un’economia pianificata. In effetti, il problema posto da von Mises, il problema cioè della razionalità, non è affatto, come questa letteratura tendeva allora a ritenere, un problema tipico dell’economia borghese, ma è un problema generale, poiché qualunque economia ha da risolvere il problema dell’utilizzo efficiente di risorse scarse (Napoleoni, 1963, p. 154).
Muovendosi agevolmente all’interno della prospettiva marginalista, il socialismo di mercato appariva agli occhi di Hayek e Robbins non solo teoricamente ostico, ma anche politicamente pericoloso. Il marginalismo, va ricordato, era nato negli anni Settanta dell’Ottocento anche in reazione alle implicazioni sociali delle teorie economiche prima ricardiana e poi marxiana, le cui spiegazioni del valore e della distribuzione poggiavano sul conflitto tra capitale e lavoro, facendo emergere i meccanismi dello sfruttamento con esiti potenzialmente rivoluzionari. Un indebolimento delle garanzie di univocità politica dell’approccio marginalista avrebbe potuto rendere l’economia pianificata compatibile con qualsiasi modello teorico e non solo conseguenza pratica del marxismo. In realtà, la debolezza del tentativo di Lange stava proprio nell’essersi servito con disinvoltura di una teoria economica che, rimuovendo la classe sociale come categoria economica e fondandosi sull’azione di agenti individuali, risultava in principio più conforme a legittimare il funzionamento del mercato e delle relative forze che condurrebbero il sistema all’equilibrio, quali la concorrenza e la perfetta sostituibilità tra i fattori della produzione.
Nel merito, Hayek e Robbins ribatterono al fascinoso modello di Lange che, anche qualora il calcolo economico fosse teoricamente concepibile in assenza di mercati, esso sarebbe nella pratica impossibile. La massa di informazioni da gestire si presenterebbe così grande e complessa da richiedere un tempo di elaborazione talmente lungo che nel corso del calcolo gli stessi dati iniziali, usati come riferimento, sarebbero cambiati, costringendo a ricominciare il processo dall’inizio in una rincorsa senza fine.
La critica si concentra dunque sull’effettiva capacità di un’economia senza mercato, quindi priva di un sistema di prezzi che non sia un surrogato, di funzionare efficacemente in quanto sottoposta a una condizione di disequilibrio reale. Va precisato che il marginalismo austriaco, soprattutto con l’opera di Hayek, si allontana notevolmente dall’idea walrasiana di equilibrio perché concepisce il sistema economico come un processo dinamico, in cui è decisivo il coordinamento spontaneo nel mercato delle attività indipendenti di tanti individui, che perseguono fini diversi e hanno fonti diverse di conoscenza. Scrive Franco Donzelli nell’introduzione a un volume con alcuni degli scritti più rilevanti di Hayek sull’argomento, riassumendo efficacemente le ragioni di fondo della critica a Lange:
In un sistema in cui i prezzi possono essere modificati solo dall’autorità centrale, è difficile immaginare che i cambiamenti di prezzo possano essere frequenti. Ma se i prezzi restano invariati per intervalli piuttosto lunghi di tempo, mentre le circostanze in cui si svolge l’attività economica sono continuamente mutevoli, si è costretti ad ammettere che il sistema si trova perennemente in uno stato di disequilibrio; e si deve anche ammettere che, contrariamente a quanto accadrebbe in un sistema autenticamente concorrenziale, questo disequilibrio può persistere, e perfino aggravarsi, senza mettere in moto alcun meccanismo correttivo automatico (F. Donzelli, in F. A. Hayek, 1988, pp. 59-60).
Dal suo canto, Lange, in un articolo pubblicato nel 1967, rispose a distanza di trent’anni alle obiezioni di Hayek e Robbins, a cui pure era stato molto sensibile, con risoluto ottimismo: «Se dovessi riscrivere oggi il mio saggio, il mio compito sarebbe molto più semplice. La mia risposta a Hayek e Robbins sarebbe: allora, qual è il problema? Mettiamo le equazioni simultanee in un computer e otterremo la soluzione in meno di un secondo» (Lange, 1967, p. 158).
5) Le ragioni della pianificazione: conclusioni
Le difese di Dobb e Lange della pianificazione muovono da teorie economiche reciprocamente alternative. Si pongono agli antipodi per alcuni aspetti interpretativi cruciali del sistema economico oggetto della loro critica: il mercato. Il modello di Dobb riflette più da vicino l’esperienza sovietica almeno fino agli anni Cinquanta, di cui l’economista inglese era attento studioso (la sua Storia dell’Economia Sovietica del 1957 è ancora una pietra miliare sull’argomento). Il socialismo di mercato di Lange, invece, ha riscosso maggiore attenzione in alcuni Paesi appartenenti al blocco dei cosiddetti “non allineati”, che durante la Guerra Fredda cercavano un’alternativa economica per non essere schiacciati dalla logica dei blocchi contrapposti. Tra questi soprattutto la Jugoslavia, per la quale Lange collaborò all’elaborazione di un modello economico socialista decentralizzato a carattere cooperativista, ma anche l’India e l’Egitto.
Al di là delle vicende storiche, dei successi e dei fallimenti, le critiche al mercato e la difesa della pianificazione proposte da Dobb e Lange rimangono rilevanti nella misura in cui si conserva delle loro argomentazioni la carica provocatoria. L’analisi comparativa di criteri organizzativi dell’economia alternativi al mercato rimane infatti una condizione necessaria per comprendere a fondo la natura del nostro sistema economico e individuare le direzioni possibili di una sua trasformazione. La pianificazione non rappresenta l’esito necessario dell’attuale crisi da ristrutturazione capitalistica, nemmeno quello attualmente più probabile.
Al tempo stesso, la regolazione del sistema economico secondo criteri diversi da quelli connaturati al mercato non prefigura uno scenario utopico o la rievocazione di un sogno infranto, almeno per due ordini di motivi. Il primo, emerso dall’analisi di Dobb, riguarda un dato di fatto: l’economia di mercato si avvale con sempre maggiore ampiezza dello strumento del piano (basti pensare alle strategie pluriennali delle multinazionali) con scopi però di autoconservazione, quindi regressivi. Il secondo, accennato icasticamente da Lange, riguarda gli strumenti: mai come oggi la società dispone dell’armamentario tecnologico per orientare efficacemente la produzione verso fini diversi dalla massimizzazione del profitto privato, quali la soddisfazione dei bisogni materiali e immateriali dell’essere umano. Rifletteva il filosofo Horkheimer in uno dei suoi libri di pensieri: «In realtà questa società possiede i mezzi umani e tecnici per abolire la miseria nella sua forma materiale più rozza. Non conosciamo alcuna epoca in cui questa possibilità sia stata grande come oggi. Alla sua attuazione si frappone solo l’attuale ordinamento proprietario» (Horkheimer, Crepuscolo 1926-1931, p. 51).
[1] Peraltro, come sottolinea Dobb, a condizioni molto restrittive e accettando ipotesi per nulla neutrali: i prezzi relativi si formano a partire da una previa distribuzione del reddito, la quale andrebbe pertanto spiegata, non assunta come un dato esogeno. Ammettere come premessa ciò che invece va analizzato come effetto, continua l’economista britannico, non è altro che un velo ideologico che giustifica lo stato di cose esistenti (una buona sintesi della critica metodologica alla teoria economica “borghese” è in M. Dobb, Le ragioni del socialismo, Editori Riuniti, Roma, 1973).
Riferimenti bibliografici
Dobb Maurice, On economy theory and socialism, Routledge & Kegan Paul PLC, London, 1955.
Dobb Maurice, Storia dell’economia sovietica, Editori Riuniti, Roma, 1957.
Dobb Maurice, Le ragioni del socialismo, Editori Riuniti, Roma, 1973.
Hayek F. A., Conoscenza, mercato, pianificazione, Il Mulino, Bologna, 1988.
Lange Oskar, On economic theory of socialism. Part one and two, The Review of Economic Studies, Oxford University Press, vol. 4, num. 1-2, 1936.
Napoleoni Claudio, Il pensiero economico del 900, Einaudi, Torino, 1963.
Horkheimer Max, Crepuscolo 1926-1931, Einaudi, Torino, 1977.