Oggi l’individuo sembra aver smarrito il suo legame con la società, vessato da condizioni di lavoro umilianti, frustrato da desideri ed illusioni offerte dall’edonismo della società dei consumi, come direbbe Pasolini. L’uomo è slegato da ogni tradizionale legame di senso: da cittadino si è trasformato in consumatore, da indagatore della realtà è divenuto oggetto di indagine.
È quindi di vitale importanza riprendere in mano un libro: la Politica di Aristotele. È il primo saggio che nella storia della civiltà occidentale ha affrontato con perizia scientifica i temi della politica e dell’economia. Certo, la società di Aristotele era una società schiavista, elitaria, piena di contraddizioni, che il filosofo non riesce del tutto a superare, ma dalla Politica ci arrivano numerose indicazioni, da cui vale la pena ripartire.
L’affermazione più nota del libro definisce l’uomo un "animale sociale". Viene giudicato in maniera negativa chi si chiama fuori dal vincolo comunitario:
O è un abietto o è superiore all’uomo. Proprio come quello biasimato da Omero ‘privo di fratria, di leggi, di focolare’: tale è per natura costui e, insieme, anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedina al gioco dei dadi
Lo Stato è invece, secondo la dottrina della potenza e atto, suprema attuazione ma, come la forma rispetto alla materia,
per natura lo Stato è anteriore alla famiglia e a ciascuno di noi perché il tutto deve essere necessariamente anteriore alla parte: infatti, soppresso il tutto, non ci sarà più né piede né mano se non per analogia verbale.
Il bene del singolo individuo, però, a differenza che in Platone (che elimina la proprietà privata) non è sacrificato nei confronti di quello collettivo, anzi ne è parte costitutiva e con esso deve trovare un’armonica composizione.
Aristotele analizza poi i meccanismi economici, interni alla polis, contrapponendo il modello idealizzato dell’economia domestica, l’oikonomia appunto, alle contraddizioni causate da un uso del denaro improprio e immorale.
Esistono per il filosofo due modi naturali di procurarsi le ricchezze, uno derivato dalle attività produttive, e l’altro dal baratto.
Esiste poi una terza forma non naturale denominata ‘crematistica’, ‘arte che produce i beni’. È a causa di tale arte che non si dà alcun apparente limite alla ricchezza e all’acquisizione [...] La crematistica ha per oggetto il denaro, e la sua specifica funzione è sapere da quali fonti ricavare il maggior numero di beni, perché la crematistica è un’arte tesa alla produzione di ricchezza e di beni. Non a caso, è idea comune che la ricchezza coincida con l’abbondanza di denaro, perché è il denaro l’oggetto del commercio e della crematistica
Aristotele mette poi in evidenza come una ricchezza di questo tipo non abbia di per sé alcun valore se sganciata dall’economia reale:
Basta che i soggetti dello scambio ne mutino il valore convenzionale, ed ecco che il denaro non vale più nulla e non riesce più a soddisfare alcun bisogno vitale; sicché, chi è ricco di denaro, spesso, non avrà di che mangiare. E davvero è una ricchezza ben curiosa, quella che farà morire di fame chi ne è ricco: come quel Mida della leggenda, che volle troppo, e pregò che diventasse oro tutto ciò che gli si presentava.
E ancora:
È per questo che si va alla ricerca di un altro tipo di ricchezza, o di crematistica: e non a torto. C’è un altro tipo di ricchezza, un altro tipo di crematistica, ed è l’economia in senso autentico. Quella fondata sul commercio, invece, produce beni, sì, ma non in senso assoluto: produce beni solo attraverso lo scambio di beni. E ha per oggetto il denaro, perché il denaro è elemento e fine dello scambio. E quella che deriva dalla crematistica è una ricchezza che non ha alcun limite.
Nell’orizzonte del denaro fine a sé stesso l’economia perde il suo scopo, quello di venire incontro ai bisogni naturali. Questi hanno un limite fissato in natura, oltre il quale non è lecito moralmente andare.
Secondo Aristotele, infatti, in un sistema economico che ha come scopo solo l’accumulazione di denaro “si stravolge il senso del vivere, perché si usa la vita per produrre il danaro e non il danaro per vivere”.
Una vita vissuta in questo modo è per il filosofo innaturale, poiché ci distrae dalla “vita buona”, che è quella ordinata dalla politica attraverso la Costituzione.
Servendosi di questa legge il cittadino deve perseguire i beni esterni e quelli corporei, in funzione di quelli spirituali, in modo da raggiungere la vita felice, quella cioè che deriva dalla pratica delle virtù etiche e dianoetiche - legate alla conoscenza suprema, la metafisica.
Aristotele auspica quindi un’economia che "deve curarsi più degli uomini che della proprietà inanimata e delle virtù dei primi più che di quella della proprietà che chiamiamo ricchezza".
Un concetto questo, che sembra in controtendenza rispetto alla concezione oggi dominante in ambito economico. Se Aristotele vivesse nel nostro tempo, condannerebbe la trasformazione malsana della crematistica rappresentata dai mercati finanziari, che fanno merce di ciò che merce non è, cioè della moneta.
E sarebbe uno dei primi a difendere il “pieno sviluppo della persona umana”, come definito dall’articolo 3 della Costituzione italiana, sacrificato in nome dei vincoli di bilancio e di una concezione distorta dell’oikonomia.
[…] della riflessione economica è riconducibile alla Grecia classica e, in particolare, al pensiero di Aristotele. Il filosofo greco limitò il proprio studio dell’economia alle attività che egli definiva […]
[…] previsioni di questi algoritmi? Forse è doveroso ricordare, la politica come la descriveva Aristotele, politica nella quale il fine della politica stessa era lo Stato, che si poneva come medium tra le […]
[…] in generale l’organizzazione e l’amministrazione della vita pubblica, originariamente la oikonomia per Aristotele si riferiva alla “legge” che regola i beni della sfera dell’oikos, cioè della casa, che […]
Ceh voi sappiate esistono economisti, magari universitari, che studiano l’Economia basata sulle risorse (RBE) ?