La sentenza di Karlsruhe si appresta ad entrare nella storia, come la caduta del muro di Berlino, come la fine di una sperimentazione durata 40 anni economicamente contro natura e radicalmente anti-democratica: l’unione economica e monetaria.
La zona euro, economicamente subottimale e antidemocratica
Non sarà mai sufficiente evidenziare come l’euro rappresenti un handicap economico per la maggior parte dei paesi membri, eccezion fatta per la Germania. Infatti, da un lato il contesto dei tassi di cambio fissi offre alla Germania l’occasione di essere sempre più competitiva sul livello dei prezzi a spese dei partner europei in mancanza di meccanismi di riaggiustamento dei saldi commerciali con l’estero. D’altro canto, la governance dell’unione economica e monetaria ha privato lo Stato dei suoi principali strumenti di politica economica, le politiche monetarie e di bilancio, sterilizzate sul livello europeo.
La politica monetaria, proibita ai governi e sottratta al controllo democratico dei popoli per via dell’inaccettabile ideologia dell'“indipendenza” delle banche centrali, si presenta strutturalmente inadeguata per buona parte degli Stati dell’eurozona. Gli obiettivi statutari della castrata politica monetaria europea sono ridotti al garantire la stabilità dei prezzi, escludendo così il sostegno alla crescita e l’obiettivo della piena occupazione, a cui ambiscono tutte le banche centrali del pianeta.
La politica fiscale non esiste più, ostacolata com’è dai vincoli e gli handicap finanziari imposti dal 1992. Il primo vincolo è la trappola del debito, creata artificialmente e mantenuta attraverso il divieto del Trattato di Maastricht di finanziare il debito degli Stati, il tutto a spese dell’occupazione. Il risultato è un clima di crisi permanente.
Il divieto del finanziamento monetario, nodo di Gordio della sostenibilità dell’euro
È proprio il divieto del finanziamento monetario del debito la bomba ad orologeria pronta a far esplodere l’euro. Nell’agosto 2012 sono bastate le parole di Mario Draghi, allora neo presidente della BCE, il quale sfoggiò la minaccia di riacquisti illimitati da parte della BCE dei titoli di debito pubblico per i paesi in difficoltà (finanziamento monetario), per calmare la crisi che imperversava ormai da due anni nell’area europea.
Gennaio 2015: sette anni dopo i massicci piani di acquisto del debito da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, 22 anni dopo il divieto di Maastricht, l’eurozona ha finalmente il suo programma di riacquisto del debito pubblico, il Quantitative Easing (QE), ottenuto da Mario Draghi malgrado l’opposizione tedesca. Il programma di acquisto di titoli pubblici, questo è stato l’oggetto della sentenza della Karlsruhe datata 5 Maggio 2020.
Ufficialmente il programma è pensato per sostenere l’inflazione nel momento in cui si avvicina ai valori negativi (con riferimento al mandato della BCE: stabilità dei prezzi). In realtà si tratta di ridurre la pressione dei debiti pubblici violando così lo spirito del divieto di finanziamento monetario (anche se si tratta di riacquisti sul mercato secondario e non tramite emissione di moneta).
Una politica di sostegno massiccio ai debiti pubblici, con il pretesto dell’obiettivo dell’inflazione
I tedeschi non si sbagliano. Dalla prima sentenza sul caso, agosto 2017, prima del rinvio alla Corte di Giustizia Europea che darà luogo alla sua sentenza nel dicembre 2018, la corte costituzionale tedesca indica una serie di condizioni che permettono, nel loro insieme, di non considerare il QE europeo come monetizzazione del debito pubblico. La condizione più determinante è che i titoli di debito pubblico acquistati tramite l’Eurosistema vengano rivenduti prima della loro scadenza. Questa condizione impedisce che de facto il debito di uno Stato sia annullato tramite l’acquisto della sua banca centrale. Questo debito continua ad esistere poiché, grazie a Karlsruhe, è destinato a rientrare nel mercato.
I risultati della politica del QE, un’evidente deviazione dai divieti di Maastricht, saranno massicci. Considerando l’esempio della Francia (ma la proporzioni sono le stesse per ogni paese dell’Eurozona), alla fine del 2019, grazie a questa politica, circa il 32% del debito pubblico totale francese era stato riacquistato dall’Eurosistema (6% per mano della BCE, 26% tramite la Banque de France). Quando i titoli detenuti arrivano alla scadenza, degli altri sono acquistati affinché si mantenga l’esposizione creditizia prossima al 33%, limite auto-imposto dalla BCE in modo da non violare una delle condizioni di Karsruhe, legato alle soglie di voto nelle operazioni di ristrutturazione del debito.
Questa uscita dal mercato di un terzo del debito francese è stata finanziata tramite una pura creazione monetaria, la stampa di denaro, senza alcun impatto su quell’inflazione che la BCE sta cercando disperatamente di portare al 2% ma che non arriva a mantenersi sopra l’1%. L’impossibilità per la BCE di raggiungere l’obiettivo di inflazione ha portato l’autorità monetaria europea ad un prolungamento indefinito del QE, nonché la conservazione dei titoli di debito pubblico fino alla loro scadenza, per evitare una riduzione dell’esposizione creditizia. Tutto vietato secondo il principio del finanziamento monetario, ma giustificato con il pretesto dell’obiettivo di inflazione.
Per gli Stati membri dell’eurozona erano finiti i problemi grazie alla monetizzazione? Il lancio del PEPP del 18 Marzo 2020 ha dato quest’impressione, ma fino alla sentenza di Karslruhe del 5 Maggio
Cosciente della dimensione della terribile crisi economica provocata dal confinamento imposto alle popolazioni, la BCE, come la Federal Reserve statunitense, come le banche centrali giapponese e britannica, ha lanciato il 18 Marzo il primo Programma di Acquisti di Emergenza Pandemica (PEPP in inglese) tramite cui può riacquistare i debiti pubblici degli Stati membri. Mettendo insieme i vari programmi in corso della BCE, oltre 1000 miliardi di Euro di debito (8% del PIL dell’intera Eurozona) potrebbero essere immediatamente acquistati. Questo primo annuncio però deve essere seguito da altri: negli Stati Uniti la Federal Reserve si è impegnata a un riacquisto “senza limiti”, seguita dal Giappone.
Per mettere all’opera il programma di urgenza, la BCE ha tuttavia bisogno di liberarsi dei limiti definiti dalla prima sentenza di Karlsruhe del 2017: i limiti del 33% (si stima che in autunno 2020 per l’Italia e la Francia si supererà il 40%), rispetto ai diversi pesi degli Stati nel bilancio della BCE (con il PEPP la BCE ha riacquistato principalmente titoli italiani e francesi – nessun titolo tedesco) e l’obbligo di rimettere questi titoli sul mercato una volta passata l’emergenza sanitaria. Infatti una rivendita sul mercato dei titoli di Stato annullerebbe i benefici della monetizzazione e scatenerebbe una grossa crisi obbligazionaria. Bisogna quindi che la crisi continui. Il capo economista della BCE Philip Lane ha affermato che la crisi economica attuale durerà almeno 3 anni. In seguito ad un primo QE senza limiti di durata e quindi senza rientro dei titoli sul mercato, andremo verso un PEPP senza limiti quantitativi e per un periodo indefinito. Per il bene della Francia e dell’Italia.
Ma la Germania ha detto di no il 5 maggio. Durata indefinita, nessuna consegna sui mercati dei titoli prima della loro scadenza, inosservanza di una durata minima prima del riacquisto sul mercato secondario, superamento del limite del 33%, inosservanza delle proporzioni sul capitale della BCE: tutti elementi attivi nel PEPP ma che secondo la sentenza di Karlsruhe del 5 maggio sono caratteristiche essenziali del finanziamento monetario. Anche se questa sentenza riguarda teoricamente solo il primo QE (quello del 2015), sappiamo già che il PEPP in corso, sperando di assistere ad una monetizzazione del 50% del nostro debito pubblico, è già fuorilegge per la Corte tedesca.
La Germania ha deciso di rendere l’euro completamente tedesco, o di uscirne
Nella sentenza del 5 Maggio la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che “il governo federale e il Bundestag hanno il dovere di adottare misure attive contro il programma di acquisto della BCE nella sua forma attuale”. Si tratta di assicurare la “proporzionalità” delle misure adottate (l’acquisto massiccio di titoli) per garantire l’obiettivo dell’inflazione. Il ragionamento della Corte si basa sul fatto che l’impatto economico significativo (sostegno alle emissioni dei titoli di Stato, impatto negativo sui tassi d’interesse e quindi sui risparmiatori, finanziamento alle imprese non sostenibili per il riacquisto del debito privato etc..) non è in alcun modo proporzionato ai risultati scarsi ottenuti in termini di aumento dell’inflazione “un po’ al di sotto” del 2%.
Notiamo tra l’altro che la Corte non si preoccupa del tragico impatto economico che avrà la riemissione sul mercato dei titoli di debito pubblico italiano o francese, che porterebbe ad un default o ad una ristrutturazione del debito sotto la supervisione della Troika per l’Italia. La corte costituzionale tedesca si oppone quindi alla mancanza di proporzionalità delle azioni macroeconomiche espansive della BCE, ma sembra considerare normale una recessiva mancanza di proporzionalità della BCE con la vendita dei titoli per amore della legge. È tutto molto tedesco.
Tuttavia, la proporzionalità delle azioni della BCE in materia di QE non esiste affatto e pertanto non può essere giustificata. Il governo tedesco lo sa, il Bundestag lo sa. La Corte ha concesso tre mesi al governo, alla Bundesbank e al Bundestag per ottenere un impegno di conformità da parte della BCE prima che la Bundesbank si ritiri dal programma di QE. Sarà impossibile per la Bundesbank non ritirarsi dal PEPP, che è molto più vicino al concetto di finanziamento monetario rispetto al PSPP. Il Bundestag non lascerà cadere il caso. Il confronto politico in seno all’eurozona è ormai aperto e inarrestabile. La Germania ha messo sul tavolo la minaccia di una sua uscita dall’Euro.
Francia e Italia non possono permettersi di restare dentro un euro “Post-Karlsruhe” se la Germania avrà successo
È infatti impossibile per Francia e Italia accettare la fine della monetizzazione del debito messa in atto dalla BCE a partire dal 2015 e accelerata da marzo 2020. Questa monetizzazione era già necessaria prima della crisi portata dalla pandemia globale: attualmente però è vitale. Il debito italiano raggiungerà il 180% del PIL, quello francese probabilmente il 120%. Senza il finanziamento/monetizzazione, bisognerà avere saldi primari positivi nell’ordine del 5% del PIL in un periodo compreso tra i 30 e i 50 anni per mantenere il debito su una traiettoria di leggera decrescita. Il che risulta impossibile, non fosse altro che un tale livello di avanzo primario ha un effetto recessivo sulla crescita. E senza crescita del PIL diventa impossibile raggiungere una riduzione del rapporto debito/PIL.
Tali avanzi primari non sarebbero macroeconomicamente sostenibili. L’Italia ha realizzato per molti anni avanzi primari dall’1.5 al 2% del PIL, senza riuscire nella missione di stabilizzare il debito (il debito cresce, ma non il PIL). Negli ultimi 25 anni, a partire dal 1995, l’Italia ha registrato 24 anni di avanzi primari e il suo sforzo di consolidamento del bilancio è stato molto più significativo rispetto alla Germania e ai Paesi Bassi. La “spesa” pubblica ha già avuto un effetto di moltiplicatore negativo in Italia da un quarto di secolo. Una politica di austerità più dura e più lunga non potrebbe essere che applicata sotto il controllo delle finanze pubbliche del paese in una nuova versione della Troika a suo tempo applicata alla Grecia. Una ristrutturazione del debito si tradurrebbe nello stesso potere di controllo da parte della Troika e avrebbe come controparte un saccheggio delle attività italiane, più rapido e ancora più grande.
La situazione francese, che, contrariamente all’Italia non è mai riuscita ad ottenere avanzi primari (ed è tanto meglio per l’economia del paese), sarebbe altrettanto complicata. Una ristrutturazione del debito francese in cambio del controllo fiscale sotto forma della Troika si renderebbe necessario come per l’Italia. Senza la monetizzazione della BCE, il debito francese diventa all’improvviso insostenibile.
Verso la fine dell'eurozona
La reazione di panico delle differenti autorità coinvolte (in Francia, in Italia e alla BCE) è stata unanime: fin de non-recevoir. Ignoriamo e disprezziamo la sentenza della corte costituzionale tedesca e andiamo avanti. La Germania non cederà e vuole che la BCE diventi tedesca nella sua logica e funzionamento. Tuttavia la Francia non ha la possibilità di accettare la fine della monetizzazione del QE nella sua forma attuale. E l’Italia non sopravviverà più dentro l’euro senza il QE. Prima del giudizio di Karlsruhe c’è stato un dibattito sul controllo dei movimenti di capitale in Italia al fine di prelevare forzatamente le risorse italiane per alleggerire il debito, anche se il PEPP funzionava a pieno regime e in teoria era sufficiente. Quando verranno istituiti controlli sui capitali, l’Italia si troverà (come la Grecia a partire da Luglio 2015) nella sua particolare zona euro, anticamera possibile per un’uscita definitiva dall’unione monetaria.
Quando la Bundesbank, al termine dei tre mesi concessi dalla Karlsruhe, si sarà ritirata dalle operazioni di acquisto della BCE, comincerà, come viene richiesto dalla Corte, a rimettere sul mercato centinaia di miliardi di Bund acquistati nell’ambito del QE. Queste vendite faranno risalire i tassi di mercato in Germania, effetto ardentemente desiderato dai risparmiatori, ma che sarà contrastato dalla fuga di capitali da Italia e Francia per acquistare debito tedesco. La stessa Germania sarà quindi spinta a mettere in atto controlli di capitale, anticamera della propria uscita dall’unione monetaria.
In sintesi, la Germania esce dall’euro oppure resta perché avrà vinto contro la BCE. Ma in tal caso la Francia e l’Italia dovranno uscire per riprendere controllo delle proprie banche centrali al fine di rendere il loro debito sostenibile: questo scontro frontale è irrinunciabile. In questo contesto, la migliore soluzione collettiva sarebbe una pianificazione concertata per lo smantellamento della zona Euro.
Mais, comme l’a théorisé Hegel, l’Histoire est avant tout tragique.
Articolo pubblicato originariamente in francese su Atlantico. Traduzione di Giorgio Michalopoulos.