Davide Amato oggi ci presenta il secondo articolo del dossier "AMERICANA", realizzato congiuntamente da Kritica Economica e Osservatorio Globalizzazione, nonchè il primo a presentare lo stato dell'arte della contrapposizione tra Usa e Cina nella fase più calda della campagna elettorale statunitense.
Risalgono solo a pochi giorni fa i discorsi tenuti da Trump e Xi Jinping all’assemblea generale delle Nazioni Unite, in occasione del settantacinquesimo anniversario dalla fondazione. Discorsi che hanno suscitato un acceso dibattito, e che rappresentano plasticamente la situazione internazionale degli ultimi mesi. Sembra registrarsi un progressivo deterioramento dei rapporti internazionali, connesso al retrocedere del processo di globalizzazione.
Da una parte Donald Trump non ha perso occasione per definire il Coronavirus come “The China Virus”, attribuendo alla nazione cinese la pesante responsabilità di aver lasciato che la pandemia si diffondesse in tutto il mondo, avendola già accusata non solo di divulgare notizie false, ma di controllare politicamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Del resto le conseguenze del virus negli Stati Uniti sono state molto più severe che in Cina: al fronte dei 202 mila morti degli USA (nella Prima Guerra Mondiale ne erano morti quasi la metà nella stessa nazione), in Cina, secondo i dati dichiarati, i morti sarebbero cinquemila. Trump, con le elezioni alle porte, vede forse nella nazione cinese il capro espiatorio per non prendersi le responsabilità di tale fallimento.
D’altra parte il discorso di Xi Jinping va in una direzione del tutto diversa: si pone a difesa dei rapporti internazionali paritari e suggerisce di non “politicizzare la pandemia”, come invece starebbe cercando di fare Donald Trump, le cui accuse definisce “infondate”. Lo stesso leader cinese ha dichiarato: "Non vogliamo guerre fredde né calde con nessun Paese. La Cina continuerà ad essere un elemento che forgia la pace nel mondo, contribuisce allo sviluppo globale e sostiene l'ordine internazionale".
Tutto ciò va ovviamente letto in una prospettiva molto più ampia, che è lo scontro decennale tra la nazione comunista e la patria del capitalismo; uno scontro finora più o meno “silenzioso” ma artefice di numerose tensioni, soprattutto per gli Stati Uniti, ovvero l’epicentro globale delle ultime crisi economiche capitalistiche. Il più grande pericolo che preoccupa lo Zio Sam è la possibilità che con l’ascesa dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), ed in particolare con l’ascesa repentina della Cina, l’ordine mondiale guidato economicamente e militarmente dall’Occidente potrebbe essere sovvertito.
Forse è per questo che Trump ha recentemente annunciato di voler creare il più potente arsenale nucleare del mondo. Sul piano militare, in effetti, gli Stati Uniti dominano ancora incontrastati, e ciò rappresenta la principale garanzia di serrare la propria egemonia planetaria, disponendo del resto di 686 basi militari sparse nel mondo (di cui 59 sul suolo italiano), al fronte delle sole 2 basi cinesi in territorio estero. E perciò la corsa al riarmo sembra essere ricominciata: la posta in gioco è il dominio imperialistico dell’ordine globale. Se il sistema di economia mista cinese riuscisse a superare il modello neoliberista statunitense ed europeo, le élite occidentali potrebbero non avere altra scelta se non di ricorrere all’uso bellico delle armi pur di difendere la propria egemonia.
Un’egemonia messa sempre più in discussione, soprattutto nel contesto dei paesi in via di sviluppo: solo di recente, con gli scontri in Bielorussia sull’elezione del presidente Lukashenko e con la risoluzione del parlamento europeo che non riconosce la validità delle votazioni, sono stati Putin e Xi Jinping a sostenere il presidente eletto. Forte di questo sostegno, le ingerenze imperialistiche occidentali in Bielorussia perdono di efficacia. Ma questo vale anche per i paesi del cosiddetto Terzo Mondo, per i paesi dell’Africa e dell’Asia che adesso, con l’ascesa dei BRICS, dispongono di un’alternativa al modello di sviluppo neoliberista occidentale.
Ciò a cui stiamo assistendo infatti non è solo un conflitto egemonico tra nazioni strutturalmente (in senso economico e politico) uguali, ma si tratta di un vero e proprio scontro tra modelli diversi fra loro. Oggi la Cina dichiara apertamente la propria progettualità in senso socialista, indagata in questo articolo, ed il Partito Comunista Cinese non nasconde di voler superare (nel lungo periodo) il modello capitalistico di produzione e consumo. La recente decisione di inserire funzionari di partito all’interno delle grandi aziende private va letta proprio in questa prospettiva pluridecennale di superamento dell’economia di mercato. La posta in gioco è quindi la sopravvivenza del sistema capitalista e del paradigma neoliberista. Solo il futuro ci dirà quale sistema avrà la meglio.
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“Americana”, il dossier congiunto di Kritica Economica e Osservatorio Globalizzazione, è realizzato col patrocinio dell’associazione culturale “Krisis".
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