Con la sua decisione di “politica monetaria” del 4 giugno, la BCE ha scelto da che parte stare. Questa decisione avrà delle conseguenze molto serie: l’uscita della Germania dalla politica di acquisti di attività della BCE nell’estate 2020, emblema dello smantellamento della zona euro così come la conosciamo.
La scelta della BCE espressa tramite la decisione del 4 giugno è quella di perseguire e accelerare energicamente la monetizzazione del debito avviata fin dal 2015 (ovvero il riacquisto del debito da parte della banca centrale e la sua detenzione fino a scadenza), questo malgrado la sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe del 5 maggio scorso.
Quella della BCE è l’unica scelta giusta e possibile per rendere sostenibile il debito francese, anche perché le alternative alla monetizzazione sono impossibili da attuare.
L’austerità fiscale è controproducente: ottenere un avanzo primario del 3 o del 4% del PIL, livello che sarà in teoria il requisito per ridurre il rapporto debito/PIL, uccide la crescita (il denominatore del rapporto) e riduce fortemente le entrate fiscali, rendendo sempre più difficile il conseguimento di un avanzo primario.
L’Italia conosce bene questo circolo vizioso: sin dal Trattato di Maastricht ha realizzato un consolidamento di bilancio doppio rispetto a quello della Germania; in particolare l’Italia è riuscita nell’impresa di ottenere un avanzo di bilancio primario in 24 anni sugli ultimi 25 (nell’ordine del 2% del PIL in media nell’ultimo decennio). Il risultato è che il livello del PIL italiano corretto per l’inflazione, nel 2020 è allo stesso livello del 2000: crescita zero e rapporto debito/PIL che continua inesorabilmente a crescere.
Il default, seguito da una ristrutturazione del debito grazie ad un haircut, per utilizzare un inglesismo, non è nemmeno una soluzione possibile. Il debito francese, attività sicura e liquida, è concentrato ovunque nei portafogli degli investitori, funge da garanzia di numerose operazioni finanziarie e soprattutto costituisce una fetta importante delle attività delle banche francesi, quattro delle quali sono di importanza sistemica mondiale. Se ci mancava un pelo che queste banche scomparissero in seguito al default della Grecia, una insolvenza sovrana dell’Italia o della Francia avrebbe delle ripercussioni drammatiche sulla stabilità finanziaria mondiale.
In confronto, la monetizzazione del debito è indolore. Le banche centrali (80% quella nazionale francese e 20% la BCE) stampano moneta per riacquistare stock di debito esistente e conservare i titoli fino a scadenza, operazione che de facto (per non dire de jure) costituisce una cancellazione del debito. Per la fine del 2020 si prevede che la BCE (per 1/5) e la Banque de France (per 4/5) deterranno il 40% del debito francese. Noi non siamo dei pionieri: la Banca del Giappone detiene attualmente il 50% del debito pubblico giapponese. La Federal Reserve statunitense in aprile ha adottato un programma di QE senza limiti e sta attualmente acquistando tutto ciò che viene emesso.
Ma la decisione della BCE sancisce il superamento ineluttabile delle linee rosse poste da Karlsruhe.
Mentre dal 2015 la BCE continuava a violare lo spirito dei trattati (che vietano la monetizzazione) e allo stesso tempo sosteneva di rispettare le norme alla lettera, i giudici costituzionali tedeschi hanno raggiunto l’istituzione di Francoforte e chiesto che le ambiguità della zona euro fossero sciolte. In particolare la Corte ha tracciato una serie di linee rosse che la BCE non avrebbe dovuto superare affinché non si rendesse colpevole di finanziamenti monetari illegali:
- gli importi totali dei riacquisti devono essere noti in anticipo;
- solamente le informazioni aggregate sui programmi di acquisti dell’eurosistema devono essere pubblicate;
- il limite del 33% per linea di emissione (identificabile tramite il suo numero ISIN) deve essere rispettato;
- i riacquisti devono aver luogo conformemente ai criteri di capital key;
- i titoli di debito delle autorità pubbliche possono essere riacquistati solo se l’emittente ha un rating che gli consente l’accesso ai mercati finanziari;
- i riacquisti devono essere ridotti o interrotti, e i titoli di debito rivenduti sui mercati, se la prosecuzione degli interventi sui mercati non è più necessaria per conseguire l’obiettivo di inflazione.
Se la BCE si conformasse alle richieste di Karlsruhe, la monetizzazione diventerebbe impossibile. I titoli di debito francesi e italiani non potrebbero più essere detenuti fino alla scadenza e questi due paesi, per evitare il default, non avrebbero altra scelta che quella di uscire dalla zona euro per poter riprendere controllo delle proprie banche centrali e proseguire con la monetizzazione del debito.
Ma la BCE ha chiaramente scelto come comportarsi scavalcando lo scorso 4 giugno quasi tutte le linee rosse abbozzate da Karlsruhe. La decisione in questione riguarda contemporaneamente il suo programma pandemico (PEPP) sia il QE precedente (APP), cui fa parte il PSPP giudicato da Karlsruhe.
Questa decisione è una vera e propria dichiarazione di guerra:
- i programmi sono presentati senza un termine temporale prevedibile, espandibili secondo necessità, dunque le disponibilità saranno evidentemente in aumento nel corso del tempo.
- la BCE ricorda la sua politica di “flessibilità”, vale a dire svincolarsi “temporaneamente” del limite del 33% (la soglia minima bloccante nel corso di una ristrutturazione del debito – la BCE non può superare questa soglia per evitare di essere nella posizione di autorizzare un haircut, che ci riporta all’unica soluzione del finanziamento monetario) e di sbarazzarsi “temporaneamente” delle condizioni di ripartizioni nazionali.
- è stato esplicitato che la BCE non ha alcuna intenzione di rivendere i titoli di debito che ha acquistato. La BCE prevede quindi che i titoli arrivati a scadenza saranno sostituiti da altri al fine di sostenere l’esposizione creditizia.
La Germania da un lato, la Francia e l’Italia dall’altro: non è più possibile una convivenza all’interno della stessa unione monetaria.
Le istruzioni di Karlsruhe sono chiare: se entro il 5 agosto la BCE non avrà adottato una nuova decisione che dimostra in modo chiaro e giustificato che la sua politica di riacquisto di attività non è una politica economica dissimulata ma è proporzionata al suo obiettivo di inflazione (a cui non sembra per niente avvicinarsi), la Bundesbank dovrà ritirarsi dal PSPP e cominciare a vendere i titoli di debito tedesco acquistati nell’ambito di questo programma. La Germania uscirà dunque da questa politica monetaria comune di riacquisti delle attività. Per lo meno dal PSPP in un primo momento, anche se il PEPP (la sua estensione) è ancora più direttamente colpevole.
La Germania si sentirà molto a suo agio in questo nuovo contesto. Non parteciperà più a questi programmi “illegali” che turbano la coscienza dell’ordoliberalismo tedesco, congelato com’è in una comprensione pre-keynesiana, per non dire preistorica, della macroeconomia. In seguito alla vendita (progressiva) di centinaia di miliardi di euro di Bund acquistati nel quadro del PSPP, i tassi di interesse di mercato saliranno finalmente con buona pace dei risparmiatori tedeschi. A meno che gli italiani e altri investitori non si precipitino per riacquistarli, facendo crescere in tal modo gli squilibri del saldo Target 2, cosa che indurrebbe i tedeschi ad introdurre controlli sui capitali.
Dopo che la BCE ha passato il Rubicone, verrà creato un limes tra la Germania e gli altri membri della zona euro. A meno che i Paesi Bassi, l’Austria, la Finlandia e quale altro paese baltico-anseatico non si unisca rapidamente alla Germania nel suo confinamento contro il virus della stampa di denaro.
Se il giudizio di Karlsruhe ha avviato lo smantellamento della zona euro, la decisione di politica “monetaria” della BCE datata 4 giugno ha tracciato un possibile perimetro di questa disintegrazione: una separazione tra la zona euro-Sud e la zona euro-Nord.
Articolo originariamente pubblicato in francese su Atlantico e tradotto da Giorgio Michalopoulos.
[…] il lavoro pesante. Christine ha detto che le banche centrali ci sono e stanno svolgendo il loro lavoro, non ne dubito. Ma valutiamo la qualità dell’energia in gioco, la liquidità fornita delle […]
[…] great financial crisis. Christine said that Central Banks are here and that they are doing their job, I do not doubt that. But how good is the energy here, the liquidity that Central Banks provide. […]