Ha fatto recentemente molto discutere la rivelazione anticipata da Radio Popolare e rilanciata da Repubblica sulla nomina della multinazionale leader nella consulenza strategica, McKinsey, come partner del governo nella fase di riscrittura del Recovery Plan, uno degli obiettivi su cui Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco sono maggiormente focalizzati.
Tra richieste di chiarimenti, opacità e cortocircuiti comunicativi, nel tardo pomeriggio del 6 marzo il Mef ha diramato uno scarno comunicato in cui ha confermato l’indiscrezione sottolineando che McKinsey “non è coinvolta nella definizione dei progetti del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza ndr)” e che l’accordo con la società “ha un valore di 25mila euro + IVA”, prevedendo operazioni finalizzate alla consulenza sull’apparato burocratico-amministrativo complementare alla definizione dei progetti del Recovery italiano.
La nomina di McKinsey ha suscitato diverse critiche tra gli oppositori e i critici del nuovo esecutivo: Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), Giuseppe Provenzano e Francesco Boccia (Pd) sono stati solo alcuni degli esponenti che hanno rilevato la problematicità, accusando il governo Draghi di affidarsi a società esterne per lavorare al grande progetto che il governo Conte II ha, con grande approssimazione, lasciato incompiuto. Un’interrogazione sarà depositata anche da Federico Mollicone di Fratelli d’Italia: “McKinsey, una società straniera, ottiene una consulenza per l’analisi di impatto: il governo dei migliori chiamato per scrivere il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza fa peggio di Conte e affida valutazioni chiave a tecnici senza responsabilità. Il Parlamento deve essere centrale nella riscrittura del Pnrr, con più fondi per l’innovazione, la cultura, lo sport, l’editoria”, ha dichiarato.
La scelta di McKinsey è stata da più parti aspramente criticata a causa del coinvolgimento della capogruppo statunitense nello scandalo degli oppiacei, avendo McKinsey contribuito a costruire le campagne mediatiche e promozionali con cui la Purdue Pharma, azienda travolta da diversi scandali legati all’epidemia di dipendenza da antidolorifici che sta lacerando gli Usa, ha messo in commercio i suoi prodotti, pagando di recente una sanzione di mezzo miliardo di dollari oltre Atlantico.
In questo contesto, riteniamo necessaria una critica costruttiva alla scelta di McKinsey che sappia capire dove e in che misura tale scelta possa essere migliorata.
Il mito del “metodo McKinsey”
In primo luogo, va capito se la critica è da rivolgere alla nomina dell’azienda in questione o al processo che porta società di consulenza e gruppi affini ad affiancare istituzioni e governi nella scrittura dei progetti e nel supporto burocratico-amministrativo. Sul secondo fronte, vogliamo evitare di sollevare polveroni e sottolineiamo che il coinvolgimento delle società di consulenza strategica al fianco delle amministrazioni pubbliche è ormai prassi consolidata: nella prima parte del Recovery Plan scritta durante il governo Conte-bis, ha scritto Il Fatto Quotidiano, sono state ad esempio coinvolte due delle “big four”, Kpmg e Pwc, per le schede sulla Sanità; Mediobanca e Credit Suisse affiancano il Mef per il processo di privatizzazione di Monte dei Paschi; Deloitte ha importanti dipartimenti dedicati al management dei fondi europei.
La questione appare dunque proprio centrata sulla scelta di McKinsey in quanto tale. E qui molte critiche appaiono legittime. Sfuggiamo da ogni giacobinismo e non vogliamo impiccare i professionisti italiani della società basata a New York per il caso oppiacei, che riguarda una singola branca di progetti della capogruppo, che su Inside Over chi scrive non ha mancato di definire in ogni caso un affare con risvolti inquietanti. Chi conosce il mondo della consulenza sa che in gruppi tanto consolidati spesso ogni macroarea è sostanzialmente indipendente sul fronte strategico dalle altre: non si può ritenere complice dunque McKinsey Italia dello scandalo legato a Purdue Pharma.
Piuttosto, è il “metodo McKinsey” che in questa sede vogliamo mettere in discussione. Il modello di consulenza professionale proposto da McKinsey è funzionale alle dinamiche contemporanee del capitalismo finanziario: le attività promosse dalla consulenza professionale del gruppo mirano, sostanzialmente, a garantire alle società partner un’aggressiva crescita dei margini di profitto e di ritorno sull’investimento nei settori di pertinenza. Indicatori e parametri di redditività sono considerati benchmark da battere indipendentemente dalle condizioni di mercato, e questo spesso si ripercuote sul lavoro dei consulenti del gruppo, che a stipendi ben sopra la media dei parigrado di altre aziende uniscono ritmi di lavoro sregolati e spesso logoranti e rigide condizioni di permanenza legate alla stretta realizzazione di obiettivi di profitto e rendimento. Come sottolinea The Atlantic in un’analisi dedicata al percorso dell’ex candidato dem alla Casa Bianca Pete Buttigieg in McKinsey, molto spesso questo si concretizza nella dismissione di aree aziendali a favore di subforniture o precarizzazione del lavoro.
La consulenza di McKinsey al Mef avrà obiettivi e parametri talmente limitati da rendere evitabile qualsiasi commistione del genere, ma in un mondo in cui il metodo McKinsey e la gestione “manageriale” della spesa pubblica hanno dimostrato di essere sorpassati da tempo, è lecito interrogarsi sulla saggezza della scelta del gruppo come consulente.
Soluzioni alternative: le realtà italiane di eccellenza
In secondo luogo, ci si potrebbe interrogare perché nell’affidamento del ruolo di consulenza al Mef non si sia valutata l’apertura del progetto di gestione del Pnrr a realtà nazionali. Non mancano, in ogni settore, le società di consulenza attive nel promuovere la loro attività con grande rigore e professionalità. “È il caso di Sogei, società del Tesoro che svolge attività di monitoraggio e realizza servizi informatici per il ministero, la Corte dei Conti, le Agenzie fiscali e altre Pa”, nota Formiche. “O ancora di Studiare Sviluppo Srl, società partecipata al 100% dal Mef che svolge attività di supporto all’analisi, alla programmazione, all’attuazione e valutazione delle politiche pubbliche per lo sviluppo in qualità di in house delle Amministrazioni centrali dello Stato. Si tratta di strutture agili e con costi limitati che spesso passano in sordina sulla stampa e si occupano da decenni della consulenza economica (dal 2002 nel caso di Studiare Sviluppo”. Società che Draghi e Franco, navigati civil servants assurti alle più alte cariche dello Stato, non possono non conoscere.
Anche nel settore privato italiano non mancano realtà di consulenza strategica e manageriale capaci di interagire con profitto con gli apparati della pubblica amministrazione: ad esempio Prometeia, società basata a Bologna che è in prima fila nel monitoraggio e nella reportistica sull’economia italiana ed internazionale e lo scorso anno fu tra i primi gruppi a intuire, con la pandemia in sdoganamento, che la recessione sarebbe stata decisamente dura per il Paese; in tal senso è ottimamente proiettata anche una branca specializzata del forum European House Ambrosetti. Per la natura duttile del gruppo e per la qualità rilevata nel lavoro dai clienti che hanno lavorato al suo fianco, è da segnalare anche una dinamica realtà basata a Milano, Long Term Partners, che rappresenta in prospettiva un futuro protagonista del mondo della consulenza strategica italiana.
Non dimentichiamo, in questo contesto, che l’Italia può vantare un apparato molto spesso dimenticato come il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (Cnel), organo di rilevanza costituzionale che avrebbe tra le sue funzioni quello di sostenere in occasioni come il Pnrr le amministrazioni pubbliche nell’elaborazione dei loro progetti. Il Cnel è oggi presieduto da un giurista come Tiziano Treu e ha come suo segretario generale uno storico funzionario pubblico del calibro di Paolo Peluffo, e di fronte alla necessità di operare in futuro scelte strategiche l’amministrazione pubblica difficilmente potrà fare a meno di una struttura di questo livello, che può produrre in-house soluzioni di valore.
In conclusione, la nomina di McKinsey può creare incomprensioni per il precedente che costituisce: in future campagne più strutturate, infatti, l’amministrazione pubblica potrà essere spinta a ricorrere a consulenze esterne. Ebbene, è interessante ricordare che la soluzione ottimale passa per il consolidamento dell’amministrazione pubblica stessa e lo sfruttamento degli organi a disposizione dello Stato, che può creare al suo interno le necessarie competenze organizzative e manageriali.
Rappresenta in tal senso un segno di attenzione alla rilevanza strategica dello Stato che va in controtendenza con il mandato affidato a McKinsey l'interessamento di Draghi e del Ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta a un nuovo accordo collettivo con le organizzazioni sindacali, sostanziato nel patto concluso il 10 marzo, che apre la strada a un rafforamento degli organici della burocrazia nazionale e al miglioramento dei trattamenti economici per i suoi addetti.
Un segnale importante, che apre alla possibilità di vedere in futuro costruite "in-house" negli organi dello Stato molte delle funzioni di assistenza al processo legislativo e politico oggi affidate a società esterne. Tuttavia, qualora ciò si rivelasse un progetto lungo, il Paese non può dimenticare di aver nel suo territorio interessanti realtà imprenditoriali capaci di svolgere lavoro di consulenza oltre i rigidi e molto spesso limitanti modelli del “metodo McKinsey”. Che in tanti campi sanno di vecchio.