Mario Draghi ha accettato dal presidente della Repubblica Mattarella l'incarico per la formazione di un governo. Ricapitoliamo la sua storia.
Mario Draghi si è laureato a "La Sapienza" con il professore keynesiano Federico Caffè nel 1970. Ottiene il dottorato al MIT sotto la supervisione dI Modigliani e di Robert Solow. È professore universitario fra il 1975 e il 1991. Nel 1991 diventa direttore generale del Tesoro, ruolo che ricopre fino al 2001. È dirigente in Goldman Sachs fra 2002 e 2005. Ricopre il ruolo di governatore di Bankitalia fra 2005 e 2011. Fra 2011 e 2019 è presidente della Banca Centrale Europea.
Il panfilo Britannia
Draghi partecipò al famoso incontro avvenuto sul panfilo "Britannia" nel 1992. Lì importanti membri delle classi dirigenti discussero con gli investitori internazionali i futuri assetti dell'economia italiana dopo lo scandalo di Mani Pulite. Molti analisti associano a quel meeting l'inizio del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche controllate dallo Stato italiano. Privatizzazioni che privarono lo Stato italiano di molti asset strategici.
Le privatizzazioni
Draghi era stato nominato direttore generale del Tesoro da Guido Carli ai tempi del governo Andreotti VII (1991). In quel ruolo coordinò le privatizzazioni durante tutti gli anni Novanta. Mantenne l'incarico di direttore generale fino al 2001 sotto sei diversi premier: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema.
Il ruolo in Europa
Draghi divenne capo della Banca centrale europea nel 2011. Poco prima dell'insediamento scrisse con il presidente uscente Trichet una lettera al governo italiano in cui sollecitava misure di austerità. Faticò a imprimere una svolta espansiva alla politica monetaria, fino al 2012, l'anno decisivo.
Il whatever it takes
La crisi finanziaria del 2008 aveva messo in luce le debolezze dell'UE. L’imperfetta architettura dell’euro aveva trasformato queste debolezze nella crisi dei debiti sovrani del 2012. Il 26 luglio 2012 Draghi disse che avrebbe fatto "whatever it takes" per salvare l'euro. La dichiarazione scongiurò la fine della moneta unica, ma non fermò del tutto la crisi economica.
Il QE e la Grecia
Draghi ottenne un cambio di politiche sul fronte monetario anche nel 2015 con il Quantitative Easing: un massiccio programma di acquisto di titoli di Stato dei Paesi europei.
Tuttavia, Draghi confermò il ruolo di vigilanza della BCE sulla Grecia, sottoposta ai memorandum dalla Troika dal suo predecessore Trichet.
Cosa pensa ora Draghi
Il 25 marzo, all'inizio della crisi Covid, l’ormai ex presidente della Banca centrale europea scrisse un articolo sul Financial Times. Draghi scrisse che in una crisi non bisogna preoccuparsi del debito pubblico, perché la priorità è salvare l’economia:
“È il ruolo vero e proprio dello Stato mettere in campo il suo bilancio per proteggere i cittadini e l’economia contro shock per cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire”.
Ma al Meeting di Rimini dell'estate 2020 Draghi disse:
"Dobbiamo ora pensare a riformare l'esistente senza abbandonare i principi generali che ci hanno guidato in questi anni: l'adesione all'Europa con le sue regole di responsabilità, ma anche di interdipendenza comune e di solidarietà".
Draghi non mette in discussione radicalmente le posizioni assunte dall'Europa politica nel corso degli anni. Posizioni che spesso, però, sono state scellerate: basti pensare al Patto di stabilità, sinonimo di austerità.
In ogni caso, siamo a una svolta, e non è detto che vada bene. O male.
[…] Mario Draghi è figura complessa e sfaccettata [4]. Formatosi in Italia sotto Federico Caffè, uno dei massimi studiosi di economia keynesiana [5] e intellettuale particolarmente sensibile alle implicazioni sociali della moderna società di mercato [6], si laurea con una tesi critica sull’Unione Monetaria Europea [7]. Conseguita una borsa di studio, si trasferisce poi in America sotto la supervisione di Robert Solow, Franco Modigliani e Stanley Fischer al Massachusetts Institute of Technology, cattedrale dell’economia ortodossa nella quale si è storicamente consumato il riassorbimento del paradigma keynesiano, svuotato di tutta la sua portata rivoluzionaria, all’interno dell’apparato teorico convenzionale [8]. Un percorso di formazione caratterizzato dunque da luci e ombre, nel quale i due paradigmi teorici complementari in politica economica – quello keynesiano e quello liberista – si intersecano. […]
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