L’economics viene modellata negli anni Settanta dell'Ottocento da Stanley Jevons, Carl Menger e Leon Walras. Nel tentativo di formare lo status scientifico dell'economia, l’intuizione dei neoclassici fu di trasferire in economia le idee e l'apparato matematico della fisica senza però curarsi troppo di “ragionar d’economia”.
I concetti di base della fisica classica della metà del XIX secolo sono tradotti in linguaggio economico da Irving Fisher e Pareto: i punti materiali (rappresentativi di sistemi di particelle identiche o sistemi macroscopici come i pianeti) divengono astrazioni delle entità economiche (gli individui, le imprese, le famiglie, i consumatori, etc.), la forza è sostituita dall’utilità marginale, l'energia considerata equivalente all'utilità e la legge dell'equilibrio trasferita dalla fisica all'economia.
In fisica, un punto di equilibrio è determinato dal bilanciamento di forze equipollenti ed opposte in corrispondenza del massimo della funzione dell'energia netta, mentre la posizione di equilibrio in economia è determinata dall’uguaglianza tra domanda ed offerta in corrispondenza del massimo della funzione obiettivo. La base metodologica analizza i mercati e le economie come sistemi chiusi che cercano di raggiungere uno stato di equilibrio. Solo nel caso di sistemi riducibili è possibile tal isomorfismo, cioè solo quando il comportamento aggregato equivale alla somma di quelli individuali. Condizione questa che implica l’assenza di ogni forma di interazione diretta tra gli agenti, ossia di non-linearità (vedi nota sotto).
Nota: Nell’economia mainstream le funzioni devono essere non lineari perché ci sia una soluzione min-max. Ciò è in contraddizione con l’ipotesi di AR – da cui l’isomorfismo – poiché la letteratura dimostra che l’AR vale solo se la funzione obiettivo è lineare, il che contraddice la metodologia min-max: per avere coerenza analitica non si può ovviare all’eterogeneità.
La relazione tra economia e fisica è però assai pericolosa, poiché trascura la storia, ignora l’interazione descrivendo un sistema ergodico e dimentica che è la prima è una scienza sociale mentre la seconda è una scienza naturale. Negli ultimi 150 anni una serie di scoperte rivoluzionarie avvenute in fisica sono state ignorate dall'economia mainstream poiché minano dalle fondamenta la conoscenza economica tradizionale. L’economia mainstream ha problemi di coerenza interna – capitolo 1 – ed esterna, cioè non può spiegare l’evidenza empirica poiché è basata su assiomi – che in quanto principi primi o primitivi non devono essere verificati – e non ha un livello di analisi meso – dove le distribuzioni delle caratteristiche degli agenti non sono normali ma, come molti studi dimostrano, sono caratterizzati da code grasse, chiaro indice del fatto che il tutto non è la sommatoria dei comportamenti individuali ma qualcosa di diverso, di complesso.
Ci troviamo così con modelli che ricordano molto da vicino l’economia computazionale “our task […] it is to write a FORTRAN program that will accept specific economic rules as input and will generate as output statistics describing the operating characteristics ot [selected] time series” (Lucas, 1981: p. 709) e, a volte, sono capaci di produrre serie storiche in parte compatibili con l’evidenza macro, ma sicuramente incompatibili coi livelli inferiori (micro e meso). La più importante delle debolezze dell’applicazione pratica del mainstream è l’impossibilità di determinare con precisione il valore dei parametri. Questo dipende dalla non-linearità delle dinamiche, cioè dall'esistenza del caos deterministico e della complessità che caratterizzano il mondo reale.
Gli econometrici assumono la correttezza di un modello predeterminato con un numero di parametri sconosciuti e quindi cercano di abbinarlo a una serie temporale non stazionaria mediante la migliore scelta di parametri. Tuttavia, le dinamiche non-lineari indicano che abbinando qualsiasi modello di precisione infinito (stocastico o deterministico) a dati di precisione intrinsecamente finiti, la non unicità non può essere evitata. La fonte di tali problemi è la dipendenza sensibile dai parametri nei sistemi dinamici non-lineari, in cui i valori dei parametri associati alle orbite periodiche stabili possono essere vicini ai valori dei parametri caotici. Inoltre, non potendo determinare con infinita accuratezza le condizioni iniziali dei sistemi studiati, siamo esposti all'effetto farfalla.
L’ABM (agent-based models n.d.r.) è stato in grado di replicare l’evidenza empirica con modelli ancora incompleti – comunque meglio di avere modelli rigorosamente sbagliati come quelli dei mainstream. Metodologicamente, poi, l’economia neoclassica come fenomeno di equilibrio è un caso particolare dell’economia del disequilibrio. Le maggiori differenze tra economia della complessità ed economia mainstream riguardano molte questioni: ne ricordiamo alcune.
1. La dinamica
La linearità consiste nel ridurre le relazioni tra i fenomeni a modelli di variazione proporzionale. Se, in un certo sistema, un cambiamento di una variabile in un dato tempo di un certo multiplo o frazione cambierà la stessa o un'altra variabile in un momento successivo in modo proporzionale a questo multiplo o frazione, allora il sistema in esame è lineare. In tali condizioni, il fenomeno delle fluttuazioni economiche può essere spiegato solo facendo riferimento allo shock esogeno casuale ed il ciclo si riduce al fenomeno del ritorno all’equilibrio. Inoltre, si noti che gli shock sono dipendenti dalla struttura e dal contesto; e.g., una siccità produce effetti diversi sul PIL se un’economia ha un rapporto tra valore aggiunto dell’agricoltura e PIL del 2% o del 70%, o che un piccolo disturbo può produrre grandi conseguenze se l’economia è indebitata, come nel 2007, o no.
2. Gli agenti
Le nuove idee sviluppate dall'economia della complessità indicano che i mercati e le economie tendono a operare in condizioni ben lungi dall'essere equilibrate e che agenti diversi dovrebbero essere modellati individualmente come entità autonome, attive ed interattive, capaci di decidere e non solo di reagire ad uno stimolo. Di solito hanno informazioni incomplete, commettono errori, ma hanno anche la capacità di apprendere e di adattarsi.
3. Le reti
Il comportamento strategico tra agenti eterogenei che interagiscono con preferenze ed informazioni incomplete ed asimmetriche genera una rete, un insieme di relazioni dove i nodi sono gli agenti ed i legami le interazioni. Nella realtà le reti sono multiple, cioè si trovano gerarchie di reti incomplete e dal loro funzionamento dipendono sia la fragilità sia resilienza dell’economia.
4. L'emergenza
La caratteristica principale dei sistemi complessi adattivi è l'emergenza, che consiste nella loro capacità di creare fenomeni collettivi ordinati, meso e macro, che possono essere descritti solo a un livello superiore a quello utilizzato per descrivere le componenti individuali. Certi fenomeni emergono per effetto dell’interazione effettiva fra costituenti eterogenei e non possono essere spiegati a partire da date regole di base con cui questi individui si comportano. Per osservare l’emergenza di dati fenomeni, non è sufficiente considerare un’eterogeneità minimale di pochi gruppi differenti, ma internamente omogenei al punto da poterli ridurre ad agenti rappresentativi, che non interagiscono effettivamente.
5. L'evoluzione
L’evoluzione che ci interessa nello studiare i sistemi socioeconomici non si limita a tracciare traiettorie, più o meno regolari, che spiegano la successione degli stati del sistema a date scadenze, più o meno ravvicinate. L’evoluzione che ci interessa è quella del cambiamento strutturale del sistema, della gerarchia di reti con cui gli individui interagiscono, scambiano informazioni ed apprendono nel tempo a far cose ignote o a far meglio cose note. L’evoluzione socioeconomica non può basarsi su una condizione iniziale fissa e senza tener conto del fatto che le condizioni al contorno cambiano per via dell’innovazione e della tecnologia. Se, come si osserva, la struttura cambia allora possono darsi momenti di rottura o discontinuità col passato che rendono necessario cambiare la condizione iniziale e rivisitare quelle al contorno. L’evoluzione è un fatto storico, mantenere tutto fisso anche quando molti aspetti dovrebbero cambiare è come far finta che le conquiste tecnologiche e della scienza non abbiano alcun effetto sulla società, che il modello di mercato locale del baratto vada bene anche quando si opera su un mercato globale del commercio telematico. L’ipotesi del lungo periodo non può essere adeguata se nell’arco di un decennio si affrontano due crisi economiche di natura differente (e.g. quella del 2007-8 e quella del 2020) che riconfigurano profondamente le relazioni fra le grandezze fondamentali del sistema. L'economia della complessità ha le sue fonti nella biologia, che si basa sulla morfogenesi, strutture, forme, capacità di auto-organizzazione e cicli di vita.
6. Le preferenze
La formazione delle preferenze individuali è una questione centrale nell'economia della complessità e gli agenti non devono necessariamente essere egoisti. Possono essere razionali ma non come calcolatori che ottimizzano una funzione obiettivo, la razionalità degli agenti è piuttosto ragionevolezza nel prendere decisioni in dati contesti, condizionatamente al contesto.
7. Orizzonte di prevedibilità
Il metodo dell'economia convenzionale è radicato nella fisica del XIX secolo, nella dinamica dell'equilibrio e della sua stabilità: l’esistenza dell’equilibrio è stata provata da Arrow-Debreu (1954), perfezionata da Debreu (1959), al costo di assunzioni tanto astratte da non trovare argomento nel “ragionar d’economia” ma solo nel “ragionar di matematica”, ben più forti sono le condizioni necessarie per dare risposta al problema della stabilità (per una ricognizione storica si veda Ingrao and Israel, 1991; cap. XII). Lo studio dell’economia dal punto di vista della complessità, cioè dei sistemi evolutivi adattivi caratterizzati dall’emergenza, non consente esercizi di previsione nel senso usuale del termine perché (a) osserva di equilibrio solo nei termini di una distribuzione di probabilità, non di punto di bilanciamento o di traiettoria stazionaria, e, per via dell’interazione, (b) tiene conto dei punti di discontinuità che si generano dall’innovazione e dal cambiamento strutturale. Per questo le uniche previsioni ammissibili sono circoscrivibili al breve periodo ed in termini scenariali, cioè condizionate al cambiamento strutturale e delle condizioni al contorno.
8. Politica economica
Quando una teoria si fonda su principi primi assiomatizzati il modello che ne consegue è predeterminato come un teorema discende dai suoi assiomi. In quanto tale, il modello risulta definito ed immutabile, come adatto per una legge naturale, quindi, apparentemente, si presenta come lo strumento formale più affidabile per il policy design. Questa considerazione è valida a patto che il modello sia coerente (consistenza) e che il mondo descritto dal modello sia una buona approssimazione di quello reale (correttezza). Ma se il mondo cambia, perché cambiano le relazioni tra le grandezze fondamentali, e la rigidità del modello non tiene conto di questa possibilità allora la sua affidabilità come strumento di policy design viene meno. Il fatto è che gli individui possono subire gli effetti (normativi) della teoria quando questa influisce sui policy makers ma, dopo tutto, non è per questo che gli individui cambiano i loro schemi di preferenza, decisione ed azione. Sono le loro reti di relazione ed interazione che inducono il cambiamento e, quindi, il mondo cambia quando emergono dal basso dei fenomeni che non possiamo né prevedere né spiegare solo guardando al comportamento di individui eterogenei, tanto meno possiamo farlo assiomatizzando riduzionisticamente una teoria dell'azione basata su principi primi. I modelli di teorie assiomatiche si riducono ad esercizi formali con cui, al più, possiamo descrivere il mondo come vorremmo che fosse piuttosto che rappresentare il mondo com'è. Per quanto nessun modello sarà mai completo, ma tutti dovrebbero essere almeno coerenti, il grado di affidabilità di ciascuno come strumento di policy è correlato alla capacità di cogliere i cambiamenti e spiegarli in buon accordo con i fatti osservabili. Nessuno ha la sfera di cristallo, dunque nessuno può davvero prevedere il futuro, ma si può migliorare molto sul fronte della versatilità, e l'economia della complessità si mette nelle condizioni in cui il cambiamento e l'evoluzione della struttura del sistema sia possibile e contemplata. Infine si noti che sia il livello meso che i network rendono possibili nuovi scenari – e strumenti - di politica economica.
Con l’ABM la metodologia è “dal basso”: vengono stimati i parametri individuali con esperimenti e indagini econometriche, valutata la loro robustezza statistica – come la distribuzione – ad un livello intermedio tra la micro e la macro, e infine esaminate per verificare se nell’insieme fanno emergere regolarità aggregate. Insomma c’è una convalida empirica micro, meso e macro e nuove applicazioni e strumenti della politica economica sia per il livello meso, di settore, che per le reti con le quali si possono analizzare le interazioni. La differenza tra microeconomia e macroeconomia è che quest'ultima è il risultato emergente dell'interazione e del comportamento degli agenti a livello microeconomico.
I modelli mainstream impongono frequentemente una serie di restrizioni che sono in conflitto diretto con l’evidenza empirica a livello individuale o meso. Se però un modello è stato rifiutato lungo alcune dimensioni, allora una statistica che misura la bontà di adattamento lungo altre dimensioni non ha senso ed è poco affidabile per la politica economica.
Nella complessità l'economia è un sistema emergente che si sviluppa e cambia strutturalmente nel tempo e si occupa di un approccio più generale rispetto al mainstream. Questo è ben rappresentato da analisi su innovazione, sviluppo economico e cambiamenti strutturali che trattano l’economia come un sistema complesso e l'ABM è la sola metodologia capace di tenerne conto.
L’economia della complessità si può leggere come un’evoluzione dell’economia di equilibrio al non equilibrio. E poiché il non equilibrio contiene l'equilibrio, la complessità è una generalizzazione inevitabile della teoria Arrow-Domar. È dunque l'inizio di un nuovo progetto di ricerca se non di un nuovo paradigma. C’è quindi molto lavoro da fare: speriamo che i lettori si uniscano all'impresa.
Questo scritto è tratto dal capitolo 4 di “Economics Complexity and ABM”, CUP, in corso di pubblicazione.