L’economia è davvero il regno delle scienze esatte, così come cerca di convincerci ormai da molti anni la logica mainstream? È sensato affermare che i fenomeni economici debbano essere studiati alla stregua di rigorose leggi fisiche? Ragionando attentamente su questi insegnamenti ci si renderebbe conto infatti che, al contrario, essi non preparano per nulla su temi che devono essere analizzati con sguardo critico, senza pregiudizi e senza fornire mistificanti chiavi di lettura. Chiavi di lettura che molte volte non risolvono, anzi complicano i problemi reali di ogni giorno, in quanto inadatte a formulare spiegazioni che siano praticamente, piuttosto che solo teoricamente, accettabili.
Dobbiamo infatti ricordare che l’economia, prima di astrazioni, numeri e analisti statistiche, è fatta di persone, con dei doveri, diritti e bisogni molto più comuni di quel che molte scuole di pensiero e think tank (come la Rand Corporation) non riconoscono. Per cui proviamo a porci delle domande sui grandi tabù dell’ortodossia e prendiamo, ad esempio, un oggetto che riguarda la vita quotidiana di ogni cittadino, dal più povero al più ricco: il denaro.
Per molto tempo si è guardato alla moneta come un mezzo, come misura dei prezzi, oppure come qualcosa a cui ambire con avarizia (“quod non mortalia pectora cogis, / auri sacra fames”, avrebbe detto Virgilio nella sua Eneide [1]). Quasi mai si sente parlare dello scopo del denaro, per cui iniziamo ponendoci questa domanda: a che cosa serve il denaro? Non è necessario ricorrere a rigide e rigorose argomentazioni per giungere alla conclusione che il denaro serve a garantire una vita dignitosa e non certo ad impedirla, in quanto la moneta, nomisma in greco, come ci ricorda Aristotele, deriva da nomos, ovvero legge, e non v’è legge più giusta se non quella finalizzata a distribuire i beni necessari a chi ne ha maggiormente bisogno.
Quindi, solo lo Stato, tutore della “res publica”, può garantire un’adeguata distribuzione del lavoro e delle ricchezze, stabilendo la quantità e il valore del denaro in circolazione. Un concetto tanto chiaro che non sfuggì né ai grandi filosofi del passato, tra cui il sopracitato Stagirita, né ai pensatori moderni e contemporanei, tra cui spicca l’economista tedesco Silvio Gesell.
Andremo a esporre qualche cenno biografico sulla sua figura, sulla maniera in cui il suo socialismo si contestualizza storicamente (considerando l’affermazione in Europa, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, del marxismo e delle sue svariate interpretazioni) e il tratto distintivo del suo pensiero, ovvero le sue idee sul denaro.
Nato in Germania al confine col Lussemburgo nel 1862, Gesell, dopo varie esperienze da commerciante in giro per l’Europa, decise di stabilire i suoi affari in Argentina la quale, però, venne investita, come anche altri Paesi alla fine dell’800, da una forte crisi deflazionistica. Ciò lo spinse a scrivere vari opuscoli dove si interrogava sulle scottanti questioni monetarie, che lo coinvolsero al punto che decise sia di ritornare in Europa, sia di dedicare la propria vita a diffondere le sue idee in materia.
Divenne, a discapito di quel che si possa pensare, molto conosciuto fra i suoi contemporanei, al punto che venne chiamato alla fine della Prima guerra mondiale da Niekisch e Landauer, come Ministro delle Finanze nella Repubblica Socialista Bavarese dei Consigli, la cui esperienza durò poco più di qualche mese a causa della repressione militare della Germania di Weimar. Il suo testo di riferimento è “The Natural Economic Order” (L’Ordine Economico Naturale) dove, mostrando tutta la sua formazione anarchica e proudhoniana, sostenne che il socialismo si potesse realizzare solo eliminando le disuguaglianze fra gli uomini, in modo che potessero competere, con le stesse possibilità, coi mezzi forniti dalla natura, senza stato, burocrazia o partiti.
Riuscì quindi ad elaborare una teoria organicamente organizzata e nettamente opposta rispetto a un modello economico collettivista e pianificato (così come, invece, avvenne nella Russia Sovietica) non risparmiando critiche. Sia a chi propose soluzioni analoghe ma alternative prima di lui (come Proudhon, di cui considerava sbagliata l’idea di dover elevare il lavoro o il suo risultato al livello del denaro, ritenendo che, al contrario, si dovesse rendere la moneta alla stregua di una merce), sia a Marx, di cui non condivideva l’affermazione secondo cui “il valore è un fantasma” (qui Gesell si riferisce a una frase che si trova fra le prime pagine de “Il Capitale”: “Ma, se non si considera il valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro una sola qualità, quella di essere prodotti del lavoro” [2]) in quanto reputava impossibile che una proprietà, tale infatti è il valore, potesse astrarsi dalla sua sostanza, in questo caso le merci prodotte dal lavoratore.
Scrive Gesell: “Quando un commerciante parla del valore di una cosa, parla del prezzo che il suo proprietario riuscirebbe probabilmente a ottenere in quelle specifiche circostanze di tempo e luogo. Il valore […] è una valutazione che […] viene convertita in prezzo […] una teoria del prezzo si deve applicare allo stesso modo sia al prezzo che al valore: una teoria specifica del valore è superflua” [3]. Più in senso lato, invece, non condivideva coi marxisti ortodossi l’idea che nei periodi di crisi il capitalismo fosse morto, in quanto riteneva che proprio nelle depressioni economiche il capitalismo fosse più vivo che mai: “Il capitalismo è la condizione economica per cui ogni ricchezza diventa capitale, e cioè produce interessi. Per poter creare ricchezza […] che produca interesse, è necessario limitarne la produzione in modo che la domanda non possa essere soddisfatta interamente […] la produzione dei beni capitali deve essere inferiore alla loro domanda per poter controllare questo premio di interesse, vale a dire che una certa condizione di mercato deve prevalere, ed essere mantenuta in questo senso, per poter preservare il Capitalismo” [4].
Fino ad ora può sembrare niente più che un classico esponente del socialismo non marxista, che per giunta lo stesso Marx avrebbe bollato come “socialismo conservatore e borghese”, ampiamente criticato nel suo scritto “Miseria della filosofia”. Ma c’è appunto un tema che rende il suo pensiero estremamente attuale, ovvero il denaro, da lui inteso come artificio umano al servizio delle persone, non come suo nemico, come facilitatore dei commerci e degli scambi, non come mezzo di accumulazione di ricchezza per banchieri, usurai e capitalisti.
Per teorizzare il “denaro libero”, Gesell partì dall’idea secondo cui “le condizioni economiche si sono dovute adattare al denaro, e cioè il volume di produzione si è dovuto adattare al volume di denaro disponibile” [5]. Per eliminare questa condizione, oltre a un controllo statale della moneta, propose anche che il denaro venisse depurato dai suoi privilegi materiali, come il fatto di non deperire o andare a male a differenza delle merci, e di venire pertanto tesaurizzato piuttosto che speso.
Corollario di queste affermazioni è che la forma del denaro risulta irrilevante, assume semmai importanza la sua quantità: finché si vive in una società dove è presente la divisione del lavoro una valuta deve necessariamente esistere e, considerata la sua natura di mezzo di scambio, non può essere soggetta a una libera produzione, e deve quindi esistere un’istituzione pubblica che ne abbia controllo: “non è il materiale di cui il denaro è fatto, ma la funzione del denaro come mezzo di scambio a offrire copertura al denaro e ad assicurare la sua domanda economica” [6].
Un altro grande tema affrontato è quello della legge della domanda e dell’offerta: appurato che fosse questa a determinare i prezzi, Gesell stabilì che non si potesse regolare semplicemente agendo sulla quantità della moneta, ma che occorresse intervenire anche sulla sua circolazione, in quanto molte possono essere le situazioni in cui segretamente si custodiscono traboccanti forzieri pieni d’oro in luoghi in cui apparentemente, a causa dei prezzi bassi, risulta essercene poco, o viceversa: “fintantoché il denaro, in quanto merce, sarà superiore alle merci in generale, fintantoché i risparmiatori preferiranno il denaro alle merci […], fintantoché gli speculatori potranno abusare impunemente del denaro per manipolare il mercato, il denaro non potrà mediare lo scambio di merci a meno di individuarne uno speciale tributo che sia al di sopra del profitto legittimo del commercio” [7].
Accumulazione, speculazione, crisi, determinazione della domanda e dell’offerta: questi sono i principali aspetti considerati nella teorizzazione della Moneta Libera da parte di Gesell. Sapere la quantità di merci prodotte in un determinato momento significa saper determinare l’offerta di denaro così come, al contrario, sapere la quantità di moneta in circolazione fornisce un metro di misura per la domanda.
Ma come propose di realizzarla? L’economista tedesco ideò la creazione di una valuta parallela costruita per perdere una parte del suo valore nominale ogni mese o anno, a meno di applicare un timbro o una marca da bollo. Questa trovata “porterebbe il denaro a una circolazione costante, poiché tutti cercherebbero di evitare la perdita facendo girare le banconote. La circolazione del denaro sarebbe dunque soggetta a una spinta, con il risultato che la gente sarebbe orientata a pagare immediatamente i propri acquisti. Allo stesso modo si obbligherebbe a trovare un investimento o a subire una perdita per qualsiasi somma di surplus immagazzinata nelle casse di risparmio” [8].
Le scienze economiche sono meno scienze esatte di quanto non si voglia far credere. Pensatori, filosofi ed economisti come Gesell hanno potuto dimostrare che, lungi da limitarsi a uno studio di traiettorie di corpi in movimento, l’economia ha a che fare con i modi più adatti di lanciarli, affinché attraversino precisi percorsi politicamente scelti.
Note:
[1] Virgilio. Eneide. Libro III: vv 56-57
[2] Marx, K. 2018. Il Capitale. Newton Compton Editori, Settima Edizione Gold: 55.
[3] Gesell, S. 2014. Il valore del denaro. Mimesis edizioni: 68-69.
[4] In Butchart, M. 2019. Il denaro di domani. Mimesis edizioni: 20.
[5] Ibidem: 21.
[6] Ibidem: 22.
[7] Ibidem: 31.
[8] Ibidem: 36.